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IL QUADRATO DI FRANKLIN DI ORDINE OTTO

Uno dei quadrati magici più noti della storia è il quadrato di ordine otto pubblicato nel 1769 dallo scienziato americano Benjamin Franklin, diventato famoso perché includeva anche le somme sulle linee diagonali a freccia mai considerate fino allora. L’interesse di Franklin per questa forma di arte mistica molto probabilmente nasceva dalla frequentazione di importanti alchimisti e mistici del suo tempo, oltre che dalla sua personale fede nell’astrologia, che furono i fondamenti delle predizioni del suo Almanacco del povero Richard.

Il simbolo perduto - pic_27.jpg

Mal’akh osservò la famosa creazione di Franklin — una composizione unica dei numeri da 1 a 64 — la cui somma in ogni riga, in ogni colonna e in ogni diagonale a freccia dava sempre la stessa magica costante. Il segreto si cela dentro il quadrato di Franklin di ordine otto.

Mal’akh sorrise. Con mani tremanti per l’eccitazione, prese la piramide di pietra e la rovesciò, esaminandone la base.

Quei sessantaquattro simboli dovevano essere semplicemente riorganizzati secondo la sequenza definita dai numeri del quadrato magico di Franklin. Pur non riuscendo a immaginare come quella caotica griglia potesse acquisire un significato se disposta con ordine diverso, lui aveva fiducia nell’antica promessa.

Ordo ab chao.

Il simbolo perduto - pic_28.jpg

Con il cuore che gli batteva forte, prese un foglio di carta e a rapidi tratti disegnò una griglia vuota di ordine otto. Poi cominciò a inserire i simboli, l’uno dopo l’altro, nelle nuove posizioni definite. Con suo grande stupore la griglia cominciò quasi subito ad assumere un senso.

Ordine dal caos!

Terminata la decrittazione, osservò incredulo il risultato. Era comparsa un’immagine schematica. La griglia era stata trasformata… riorganizzata… e, sebbene non riuscisse ancora ad afferrare il significato di tutto il messaggio, aveva capito abbastanza per sapere esattamente dove andare.

La piramide indica la via.

La griglia indicava uno dei grandi luoghi mistici del mondo. Incredibilmente, era lo stesso luogo in cui Mal’akh aveva sempre sognato di completare il suo viaggio.

Quando si dice il destino.

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Katherine sentiva il freddo del tavolo di pietra sotto la schiena.

Nella mente le turbinavano senza sosta le immagini terribili della morte di Robert, insieme al pensiero di suo fratello. Sarà morto anche Peter? Come se non bastasse, l’insolito coltello appoggiato su un tavolo lì vicino continuava a farle venire dei flash di quello che probabilmente sarebbe capitato anche a lei.

Sarà davvero questa la fine?

Per quanto strano, si ritrovò d’un tratto a riflettere sulla sua ricerca… sulle scienze noetiche… e sui recenti progressi. Tutto perso… finito in fumo. Non avrebbe mai avuto la possibilità di condividere con il mondo quello che aveva imparato. La sua scoperta più scioccante era avvenuta solo qualche mese prima, e le conseguenze avrebbero potuto ridefinire l’attitudine degli esseri umani nei confronti della morte. Si stupì del fatto che ripensare in quel momento ai suoi esperimenti le procurasse un inaspettato sollievo.

Da giovane, Katherine si era spesso posta la domanda se ci fosse una vita dopo la morte. Esiste il paradiso? Cosa succede quando moriamo? Maturando, gli studi scientifici avevano rapidamente cancellato ogni nozione fantasiosa di paradiso, inferno e aldilà, e lei era giunta alla conclusione che il concetto di "vita dopo la morte" fosse una creazione umana, una favola destinata ad alleviare la terribile verità della nostra condizione mortale.

O almeno così credevo…

Un anno prima, Katherine e Peter avevano discusso una delle questioni più controverse della filosofia, l’esistenza dell’anima, e in particolare se gli esseri umani possedessero o no una specie di coscienza in grado di sopravvivere al di fuori del corpo.

Entrambi avevano la sensazione che l’anima umana extracorporea probabilmente esistesse, e la maggior parte delle filosofie antiche avallava quell’ipotesi. La tradizione buddhista e brahmanica ammetteva la metempsicosi, cioè la trasmigrazione dell’anima in un nuovo corpo dopo la morte; i platonici definivano il corpo "una prigione" dalla quale l’anima fuggiva e gli stoici chiamavano l’anima "apospasma tou theu" — una particella di Dio — e credevano che fosse reclamata da Dio dopo la morte.

L’esistenza dell’anima umana, aveva notato Katherine con una certa frustrazione, era con ogni probabilità un concetto che non sarebbe mai stato scientificamente dimostrato. Sostenere che la coscienza sopravvivesse al di fuori del corpo dopo la morte era come esalare uno sbuffo di fumo e sperare di ritrovarlo anni dopo.

In seguito alla loro discussione, a Katherine era venuta una strana idea. Suo fratello aveva menzionato il libro della Genesi e la descrizione che lì si faceva dell’anima come Neshemah: una specie di "intelligenza" spirituale separata dal corpo. Le era venuto in mente che la parola "intelligenza" suggeriva la presenza del "pensiero". Le scienze noetiche ipotizzavano esplicitamente che i pensieri fossero dotati di massa, quindi c’era ragione di credere che anche l’anima ne avesse una.

Posso pesare un’anima umana?

L’idea era impossibile, naturalmente… era sciocco persino concepirla.

Tre giorni dopo, però, Katherine si era svegliata di soprassalto da un sonno profondo e si era seduta di scatto sul letto. Si era alzata, era andata in auto al laboratorio e si era messa immediatamente al lavoro per progettare un esperimento che era al tempo stesso incredibilmente semplice… e terribilmente audace.

Non aveva la minima idea se avrebbe funzionato e aveva quindi deciso di non parlarne con Peter finché non l’avesse portato a termine. C’erano voluti quattro mesi, ma alla fine Katherine aveva invitato suo fratello al Cubo. Aveva tirato fuori una grossa macchina su rotelle che teneva nascosta nel locale di alimentazione.

"L’ho progettata e costruita da sola" aveva detto a Peter mostrandogli la sua invenzione. "Indovina cos’è…"

Suo fratello aveva guardato la strana apparecchiatura. "Un’incubatrice?"

Katherine aveva riso e scosso la testa, anche se era un’ipotesi plausibile. Il congegno assomigliava davvero abbastanza alle incubatrici trasparenti per i neonati prematuri che si vedono in ospedale. Quella, però, era di dimensioni adatte per accogliere un adulto: una lunga capsula di plastica trasparente a tenuta stagna, simile a una specie di bozzolo futuristico per dormire, montata sopra un grosso dispositivo elettronico.

"Vediamo se questo ti aiuta a indovinare" gli aveva detto Katherine infilando la spina in una presa elettrica. Si era acceso un display digitale, con i numeri che impazzivano mentre lei calibrava alcuni quadranti.

Quando tutto era a posto, sul display si leggeva:

0,0000000000 kg

"Una bilancia?" le aveva chiesto Peter.

"Ma non una bilancia qualunque." Katherine aveva preso un minuscolo foglietto di carta da un ripiano lì vicino e l’aveva posato delicatamente sulla capsula. I numeri sul display erano impazziti un’altra volta e poi si erano assestati su una nuova lettura:

0,0008194325 kg

"Una microbilancia d’alta precisione" gli aveva spiegato. "La risoluzione arriva fino a qualche microgrammo."

Peter era sembrato perplesso. "Hai costruito una bilancia di precisione per… gli uomini?"

"Esattamente." Katherine aveva sollevato il coperchio trasparente della macchina. "Una persona dentro questa capsula, con il coperchio abbassato, si trova in un sistema completamente sigillato. Non può entrare e non può uscire niente. Né gas, né liquido, né particelle di polvere. Nulla può sfuggire… non le esalazioni del respiro, né il sudore che evapora, né i fluidi corporei."

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