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Arrivò in First Street proprio mentre un suv Escalade nero con i finestrini oscurati superava la doppia linea continua per andare a inchiodare davanti al punto in cui si erano dati appuntamento. Scese un agente.

«Notizie di Langdon?» gli chiese Sato.

«Siamo fiduciosi» rispose l’uomo, calmissimo. «Sono appena arrivati i rinforzi e tutte le uscite della biblioteca sono sorvegliate. Abbiamo chiesto supporto aereo. Lo bombarderemo di gas lacrimogeno e gli taglieremo qualsiasi via di fuga.»

«E Bellamy?»

«È sul sedile dietro. Legato.»

Bene. La spalla le faceva ancora male.

L’agente le porse una busta trasparente con un cellulare, un mazzo di chiavi e un portafoglio. «Gli effetti personali di Bellamy.»

«Nient’altro?»

«Nossignora. La piramide e il pacchetto devono essere rimasti a Langdon.»

«Okay» replicò il direttore dell’OS. «Bellamy sa, ma non vuole parlare. Lo interrogherò personalmente.»

«Sissignora. Lo porto a Langley, allora?»

Inoue Sato fece un sospiro e iniziò a camminare avanti e indietro. I protocolli relativi agli interrogatori di privati cittadini americani erano rigidissimi: la legge non le consentiva di parlare con Bellamy se non a Langley con registrazione video, in presenza di testimoni, avvocati eccetera eccetera. «No» rispose cercando di farsi venire in mente un posto più vicino. E più riservato.

L’agente non replicò e rimase accanto alla macchina con il motore acceso, in attesa di ordini.

Sato si accese una sigaretta, aspirò una lunga boccata di fumo e guardò la busta che conteneva gli effetti personali di Bellamy. Nel mazzo c’era anche una chiave elettronica con la scritta USI3G.

Sato capì subito a quale istituzione pubblica desse accesso quella chiave. Era vicina e, a quell’ora, assolutamente deserta.

Sorrise e si infilò la chiave in tasca. Perfetto.

Si aspettava che l’agente rimanesse sorpreso nel sentire dove intendeva portare Bellamy, invece questi si limitò ad annuire. Impassibile, le aprì la portiera.

Sato apprezzava la professionalità.

Langdon era nei sotterranei del John Adams Building e guardava incredulo le parole elegantemente incise su una faccia della cuspide d’oro.

Tutto qui?

Katherine, accanto a lui, teneva la cuspide sotto la luce e scuoteva la testa. «Ci deve essere qualcos’altro» insisteva. Si sentiva tradita. «E mio fratello ha custodito questa cosa per anni?»

Neanche Langdon capiva: Peter Solomon e Warren Bellamy dicevano che la cuspide consentiva di risolvere l’enigma della piramide e lui si aspettava qualcosa di più illuminante, di più utile. Qualcosa di meno ovvio e banale.

Lesse le sei parole delicatamente incise sulla faccia della cuspide:

Il segreto si cela dentro L’Ordine

Il segreto si cela dentro L’Ordine?

A prima vista, sembrava un’ovvietà: le lettere della piramide erano in disordine e il segreto stava nel trovare la giusta sequenza. Ma quella lettura, oltre che essere lapalissiana, era improbabile anche per un altro motivo. «"L’Ordine", con la "L" e la "O" maiuscole» fece notare Langdon.

Katherine annuì. «Sì, ho visto.»

Il segreto si cela dentro L’Ordine. Langdon vedeva un’unica soluzione logica. «L’Ordine deve essere quello massonico.»

«Sì, lo penso anch’io» rispose Katherine. «Ma non mi sembra che saperlo ci sia molto utile.»

Langdon dovette convenirne. Dopotutto, era ovvio che il segreto di una piramide massonica fosse nascosto all’interno della massoneria.

«Robert, Peter n o n ti aveva detto che grazie a questa cuspide saresti stato in grado di vedere ordine dove gli altri vedono solo caos?»

Langdon annuì. Era frustrato e, per la seconda volta quella sera, si sentiva un inetto.

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Mal’akh finì di occuparsi della sua ospite inattesa, una guardia giurata della Preferred Security, e ritoccò la vernice sul vetro attraverso il quale l’intrusa aveva visto il suo sacro laboratorio.

Uscì dallo scantinato e salì la rampa che conduceva alla porta segreta del soggiorno. Si fermò un istante ad ammirare lo spettacolare dipinto delle Tre Grazie e ad assaporare gli odori e i suoni della sua casa.

Presto me ne andrò per sempre. Mal’akh sapeva che non sarebbe mai più tornato in quel posto. Dopo stasera non ne avrò più bisogno. Quel pensiero lo fece sorridere.

Si chiedeva se Robert Langdon avesse compreso il potere della piramide e l’importanza del ruolo che il destino gli aveva assegnato. Non ha ancora chiamato, pensò dopo aver controllato i messaggi sul telefonino. Erano le 22.02. Gli restano meno di due ore.

Salì di sopra, entrò nel bagno di marmo italiano e accese la doccia a vapore. Si tolse i vestiti e cominciò, metodico, il suo rituale di purificazione.

Bevve due bicchieri d’acqua per calmare i morsi della fame e poi andò a guardarsi allo specchio a figura intera. Dopo due giorni di digiuno, la sua muscolatura era ancora più definita. Non potè fare a meno di ammirarsi. All’alba sarò ancora meglio.

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«Dobbiamo andarcene da qui» disse Langdon a Katherine. «Non impiegheranno molto a capire dove siamo.» Sperava che Bellamy fosse riuscito a scappare.

Katherine non poteva staccare gli occhi dalla cuspide d’oro. Continuava a leggere l’iscrizione, senza capacitarsi della sua inutilità. L’aveva tirata fuori dalla scatola e l’aveva esaminata da tutti i lati. La rimise al suo posto, facendo attenzione.

Il segreto si cela dentro L’Ordine, pensò Langdon. Bell’aiuto.

Si chiese se Peter avesse capito male: la piramide e la cuspide erano state realizzate molto prima che lui nascesse, e forse si era limitato a fare ciò che i suoi antenati gli avevano detto, ovvero custodire un segreto tanto misterioso per lui quanto per sua sorella e per Langdon.

Che cosa mi aspettavo? Più cose apprendeva riguardo alla leggenda della piramide massonica, meno gli appariva plausibile. Sto cercando una scala a chiocciola nascosta, coperta da una grande pietra? Gli pareva di dare la caccia alle ombre. D’altra parte, risolvere l’enigma della piramide sembrava l’unico modo per salvare Peter.

«Robert? Ti dice qualcosa la data 1514?»

Langdon si strinse nelle spalle. Gli sembrava una domanda futile. «No. Perché?»

Katherine gli porse il cubo di pietra. «Guarda. La scatola è datata. Vieni qui alla luce.»

Langdon si sedette alla scrivania e studiò la scatola. Katherine gli posò una mano sulla spalla e si chinò a indicargli la minuscola iscrizione che aveva trovato su una faccia esterna del cubo, nell’angolo in basso.

«C’è scritto: "1514 AD".»

L’iscrizione recava in effetti il numero 1514 e una bizzarra sigla stilizzata, formata da una A e da una D.

Il simbolo perduto - pic_13.jpg

«Che sia quello che ci mancava per decifrare la mappa?» chiese Katherine speranzosa. «Questo cubo potrebbe simboleggiare una pietra angolare, la prima pietra di una costruzione massonica. Forse è un modo per indicarne una vera, posata nel 1514 Anno Domini… Ti viene in mente un edificio costruito in quell’anno?»

Ma Langdon non l’ascoltava più, immerso nei propri pensieri.

2514 AD non è una data…

Il simbolo TDT era una sigla molto famosa e qualunque storico dell’arte l’avrebbe riconosciuta all’istante. In passato parecchi filosofi, letterati e artisti si firmavano con un monogramma. Era un modo per aggiungere mistero alle loro opere e per proteggersi dalle persecuzioni, nel caso esse avessero suscitato le ire dei potenti.

La A e la D incise sulla scatola di pietra non stavano per Anno Domini… Non era latino, ma tedesco.

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