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Katherine Solomon stava quasi per perdere conoscenza quando fu riscossa dall’onda d’urto di un’esplosione assordante.

Qualche istante dopo, sentì odore di fumo.

Le fischiavano le orecchie.

C’erano voci smorzate. Distanti. Grida. Passi. D’un tratto si accorse che respirava meglio. Qualcuno le aveva tolto lo straccio di bocca.

«È salva» le sussurrò una voce di uomo. «Tenga duro.»

Si aspettava che lui le sfilasse l’ago dal braccio, invece stava gridando ordini.

«Portate la borsa medica… attaccate una flebo all’ago… iniettatele del Ringer lattato… prendetele la pressione.» Mentre l’uomo cominciava a controllarle i parametri vitali, le chiese: «Signora Solomon, chi le ha fatto questo… dov’è andato?».

Katherine si sforzò di parlare, ma non ci riuscì.

«Signora Solomon» ripetè la voce. «Dov’è andato?»

Quando Katherine cercò di aprire gli occhi, si sentì svenire.

«Abbiamo bisogno di sapere dov’è andato» insistette l’uomo.

In risposta, lei sussurrò tre parole, benché sapesse che non avevano senso. «La… montagna… sacra…»

Sato scavalcò la porta d’acciaio divelta e scese una rampa che portava in uno scantinato.

Un agente la aspettava in fondo. «Direttore, credo che le interesserà vedere una cosa.»

Sato lo seguì in una stanzetta a cui si accedeva dallo stretto corridoio. Il locale era illuminato a giorno e spoglio, a parte un mucchio di vestiti per terra. Lei riconobbe la giacca di tweed e i mocassini di Langdon.

L’agente indicò un grosso contenitore, simile a una bara, appoggiato alla parete di fronte.

Ma che diavolo è?

Sato si accostò al contenitore e si accorse che era alimentato da un tubo di plastica trasparente che correva lungo il muro. Guardinga, si avvicinò ancora di più e vide che sul coperchio c’era uno sportellino scorrevole. Lo fece scivolare da un lato e scoprì una finestrella simile a un oblò.

Sato fece un balzo indietro.

Sotto il plexiglas… ondeggiava il volto sommerso e inanimato del professor Langdon.

Luce!

Il vuoto infinito in cui era sospeso Langdon fu d’un tratto riempito da un sole accecante. Raggi di luce bianca incandescente si diffondevano nell’oscurità dello spazio, perforandogli la mente.

La luce era dappertutto.

All’improvviso, tra le nuvole raggianti davanti a lui, apparve una silhouette. Era un viso… sfocato e indistinto… due occhi che lo fissavano attraverso il vuoto. Il volto era circondato da raggi di luce, e Langdon si domandò se stesse per caso guardando in faccia Dio

Sato continuava a fissare nel contenitore e intanto si chiedeva se il professor Langdon avesse idea di quello che era successo. Ne dubitava. Dopotutto, il disorientamento era lo scopo principale di quella tecnologia.

Le vasche di deprivazione sensoriale erano in circolazione fin dagli anni Cinquanta ed erano tuttora una popolare forma di evasione per i ricchi appassionati di new age. Il "galleggiamento", come veniva chiamato, permetteva di sperimentare un ritorno trascendentale alla vita intrauterina… una specie di stimolo alla meditazione che rallenta l’attività del cervello eliminando tutte le sollecitazioni sensoriali: luci, suoni, contatti, persino la forza di gravità. Nelle vasche tradizionali, la persona galleggiava supina in una soluzione ipersatura di solfato di magnesio che consentiva di tenere la testa a pelo dell’acqua per respirare.

In anni più recenti, però, la tecnologia di queste vasche aveva fatto un incredibile balzo in avanti.

Fluorocarbonio ossigenato liquido.

La nuova tecnologia, nota come "ventilazione liquida totale", era così avanzata che pochi credevano alla sua esistenza.

Liquido respirabile.

Questo tipo di liquido era una realtà già nel 1966, quando Leland C. Clark era riuscito a tenere in vita un topo immerso per diverse ore nel fluorocarbonio ossigenato liquido. Nel 1989 la tecnologia della ventilazione liquida aveva fatto la sua sensazionale comparsa nel film Abyss, benché pochi si fossero resi conto che si trattava di vera scienza.

La ventilazione liquida totale era nata dai tentativi della medicina moderna di aiutare i neonati prematuri a respirare, riportandoli alla condizione uterina di immersione completa in un liquido, alla quale i polmoni umani, dopo avere trascorso nove mesi nell’utero, sono abituati. Il fluorocarbonio ossigenato all’inizio era troppo viscoso per poter essere respirato agevolmente, ma i progressi della scienza l’avevano reso più simile, come consistenza, all’acqua.

I ricercatori del dipartimento di Scienza e tecnologia della CIA — i "maghi di Langley", come sono soprannominati all’interno della comunità dell’intelligence — hanno condotto esperimenti su vasta scala con il fluorocarbonio ossigenato per sviluppare tecnologie utili all’esercito americano. I sommozzatori della marina militare operanti negli abissi oceanici hanno trovato che respirare un liquido ossigenato, invece dei soliti heliox o trimix, dà loro la possibilità di immergersi a profondità assai maggiori senza il rischio di sindrome nervosa da alta pressione. Allo stesso modo la NASA e l’aeronautica militare hanno verificato che i piloti equipaggiati con autorespiratori a ossigeno liquido, anziché quelli tradizionali, possono resistere meglio alla forza gravitazionale perché il liquido, rispetto al gas, distribuisce più uniformemente questa forza sugli organi interni.

Sato aveva sentito dire che esistevano "laboratori di esperienze estreme" in cui si potevano provare queste vasche di ventilazione liquida totale… o "macchine per meditare", come venivano chiamate. La vasca che lei aveva davanti agli occhi probabilmente era stata installata per gli esperimenti privati del proprietario, anche se l’aggiunta di robusti chiavistelli provvisti di serratura lasciava pochi dubbi sulle applicazioni assai più sinistre di quel contenitore… una tecnica inquisitoria con cui la CIA aveva grande familiarità.

Gli ignobili interrogatori che fanno ricorso al waterboarding, cioè a un annegamento simulato, sono molto efficaci perché la vittima crede davvero di affogare. Sato era a conoscenza di parecchie operazioni segrete nelle quali vasche di deprivazione sensoriale come quella erano state usate per aumentare la sensazione fino ad arrivare a livelli terrificanti. Una vittima immersa in un liquido respirabile poteva letteralmente essere "affogata". Il panico derivante dalla sensazione di annegare di solito impediva alle persone torturate di rendersi conto che il liquido che stavano respirando era leggermente più viscoso dell’acqua. Quando il liquido invadeva i polmoni, le vittime spesso svenivano per la paura e poi si risvegliavano in quella "cella di isolamento" estrema.

Anestetici, farmaci paralizzanti e allucinogeni venivano mescolati al liquido ossigenato caldo per dare al prigioniero la sensazione di essere completamente separato dal proprio corpo. Quando la sua mente impartiva il comando di muovere un arto, non succedeva niente. L’impressione di essere "morto" era già agghiacciante di per sé, ma il vero disorientamento derivava dal processo di "rinascita", che, grazie all’aiuto di luci accecanti, aria fredda e rumori assordanti, poteva essere estremamente traumatico e doloroso. Dopo un ciclo di annegamenti e successive rinascite, il prigioniero era così frastornato che non sapeva nemmeno più se fosse morto o vivo… e avrebbe detto qualunque cosa a chi lo stava interrogando.

Sato si chiese se dovesse aspettare un medico per tirare fuori Langdon dalla vasca, ma si rendeva conto di non avere molto tempo. Devo scoprire che cosa sa.

«Spegnete le luci» ordinò. «E trovatemi delle coperte.»

Il sole accecante era svanito. Anche la faccia era scomparsa. Era tornata l’oscurità, ma Langdon adesso riusciva a sentire sussurri lontani che echeggiavano attraverso gli anni luce dello spazio vuoto. Voci smorzate… parole incomprensibili. Avvertiva delle vibrazioni, come se il mondo stesse per collassare.

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