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Perché Trish ci sta mettendo tanto?

Katherine Solomon controllò di nuovo l’orologio. Si era dimenticata di avvertire il dottor Abaddon del bizzarro tragitto per arrivare al suo laboratorio, ma non si sarebbe mai immaginata che il buio li avrebbe rallentati così tanto.

Dovrebbero essere già qui, ormai.

Si avviò verso l’ingresso e aprì con un certo sforzo la porta dalla cornice in piombo che dava sul vuoto. Rimase in ascolto per un istante, ma non sentì niente. «Trish?» chiamò, e la sua voce fu inghiottita dall’oscurità.

Silenzio.

Perplessa, chiuse la porta, estrasse il cellulare e chiamò l’atrio. «Sono Katherine. Trish è lì?»

«No, dottoressa» rispose la guardia. «È tornata indietro con il suo ospite dieci minuti fa.»

«Davvero? Non credo che siano già entrati nel modulo 5.»

«Attenda in linea mentre controllo.» Katherine sentì le dita della guardia che digitavano sulla tastiera del computer. «Ha ragione. Stando alle registrazioni della chiave elettronica della signorina Dunne, lei non ha ancora aperto la porta del modulo 5. La sua ultima entrata è avvenuta circa otto minuti fa… nel modulo 3. Immagino che starà accompagnando il suo ospite in un piccolo giro turistico.»

Katherine si accigliò. A quanto pare. Le sembrava un po’ strano, Però sapeva che Trish non sarebbe rimasta a lungo nel modulo 3. L’odore là dentro è terribile. «È già arrivato mio fratello?»

«No, dottoressa, non ancora.»

«Grazie lo stesso.»

Mentre riagganciava, Katherine si sorprese nel provare una certa trepidazione. Si soffermò un attimo su quella sensazione. Era la stessa ansia che aveva avvertito quando era entrata in casa del dottor Abaddon. In quell’occasione il suo intuito femminile l’aveva ingannata, mettendola in una situazione imbarazzante. Molto.

Non è niente, si disse.

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Langdon studiò la piramide di pietra. Non è possibile.

«Un antico linguaggio codificato» disse Sato senza alzare lo sguardo. «Secondo lei, questo può essere definito così?»

Sulla faccia della piramide che gli era stata appena mostrata era incisa con cura nella pietra liscia una serie di sedici caratteri.

Il simbolo perduto - pic_7.jpg

Accanto a Langdon, Anderson era rimasto a bocca aperta, non meno scioccato di lui. Sembrava che il capo della sicurezza avesse appena visto una specie di tastierino proveniente da qualche mondo alieno.

«Professore?» disse Sato. «Immagino che lei riesca a interpretarlo, no?»

Langdon si voltò. «Cosa glielo fa pensare?»

«Il fatto che lei sia stato convocato qui, professore. Lei è stato scelto. Questa iscrizione assomiglia a una sorta di codice e, considerata la sua reputazione, mi sembra ovvio che lei sia stato condotto qui per decifrarla.»

Langdon doveva ammettere che, dopo le sue esperienze a Roma e a Parigi, aveva ricevuto continue richieste per collaborare alla decifrazione di alcuni dei più importanti codici della storia ancora insoluti: il disco di Festo, il cifrario Dorabella, il misterioso manoscritto Voynich.

Sato fece scorrere le dita sull’iscrizione. «Mi sa spiegare il significato di queste icone?»

Non sono icone, pensò Langdon. Sono simboli. Aveva riconosciuto subito il tipo di codice: un linguaggio criptato del tredicesimo secolo. Lui sapeva benissimo come decifrarlo. «Signora» disse esitante «questa piramide è proprietà privata di Peter.»

«Privata o no, se il codice è davvero il motivo della sua presenza a Washington, non ho intenzione di lasciarle scelta. Voglio sapere cosa dice.»

Il BlackBerry di Sato emise un segnale acustico e lei lo estrasse di scatto dalla tasca, studiando per diversi secondi il messaggio appena arrivato. Langdon era sbalordito che la rete wireless del Campidoglio raggiungesse anche quella profondità.

Sato brontolò qualcosa e inarcò le sopracciglia, lanciando una strana occhiata a Langdon. «Anderson» disse rivolgendosi al capo della sicurezza. «Posso scambiare due parole in privato con lei?» Gli fece cenno di seguirla e sparirono nel buio pesto del corridoio, lasciando Langdon da solo alla luce tremolante della candela, nel gabinetto di riflessione di Peter.

Anderson si domandò quando sarebbe finita quella notte. Una mano mozza nella mia Rotonda? Un reliquiario nel mio sotterraneo? Bizzarre incisioni su una piramide di pietra? Per qualche motivo, la partita dei Redskins non sembrava avere più significato.

Mentre seguiva Sato nell’oscurità del corridoio, Anderson accese la sua torcia elettrica. Il raggio era debole, ma meglio di niente. Sato avanzò per qualche metro, lontano dalla vista di Langdon.

«Dia un’occhiata» sussurrò a Anderson porgendogli il BlackBerry.

Anderson lo prese e guardò il display socchiudendo gli occhi. Mostrava un’immagine in bianco e nero: la radiografia della borsa di Langdon che il capo della sicurezza aveva chiesto di inviare a Sato. Come sempre con l’uso dei raggi X, gli oggetti di maggiore densità apparivano di un bianco marcato. Nella borsa di Langdon uno risaltava su tutti gli altri. Evidentemente molto denso, brillava come un gioiello in mezzo al mucchio più scuro degli altri oggetti. La sua sagoma era inconfondibile.

Se l’è portata dietro tutta la sera? Anderson osservò Sato sorpreso. «Per quale motivo Langdon non ce ne ha parlato?»

«Bella domanda» bisbigliò il direttore dell’OS.

«La forma… non può trattarsi di una coincidenza.»

«No» convenne Sato, e il suo tono adesso era di rabbia. «Direi proprio di no.»

Un debole fruscio nel corridoio attirò l’attenzione di Anderson. Allarmato, puntò la torcia lungo quel passaggio buio. Il raggio morente rivelò solo un corridoio deserto, lungo il quale si allineavano delle porte aperte.

«Ehi» disse Anderson. «C’è qualcuno?»

Silenzio.

Sato gli rivolse un’occhiata storta perché probabilmente non aveva sentito nulla.

Anderson restò in ascolto ancora qualche momento, poi si riscosse. Devo andarmene da qui.

Rimasto solo nella camera illuminata dalla candela, Langdon sfiorò i bordi dell’iscrizione perfettamente incisa nella piramide. Era curioso di sapere cosa dicesse il messaggio, eppure non aveva intenzione di immischiarsi nella vita privata di Peter Solomon più di quanto avesse già fatto. E poi perché questo pazzo dovrebbe essere interessato a una piccola piramide?

«Abbiamo un problema, professore» annunciò perentoria la voce di Sato dietro di lui. «Ho appena ricevuto un’informazione e ne ho abbastanza delle sue bugie.»

Langdon si voltò e vide il direttore dell’OS che entrava a passo deciso, con il BlackBerry in mano e il fuoco negli occhi. Preso alla sprovvista, Langdon guardò Anderson in cerca di aiuto, ma questi era rimasto di guardia alla porta e aveva anche lui un’espressione poco amichevole.

Arrivata di fronte a Langdon, Sato gli sbatté il BlackBerry davanti alla faccia.

Sconcertato, Langdon fissò il display che mostrava una specie di fotografia in bianco e nero al contrario, come un negativo spettrale. Ritraeva un insieme di oggetti, uno dei quali si stagliava con maggiore intensità. Benché obliquo e decentrato, quell’oggetto era senza ombra di dubbio una piccola piramide appuntita.

Una pìccola piramide? Langdon guardò Sato. «Che cos’è?»

La domanda parve esasperare ulteriormente la donna. «Fa anche finta di non saperlo?»

A Langdon saltarono i nervi. «Non sto facendo finta! Non ho mai visto questa cosa in vita mia!»

«Stronzate!» sbottò Sato fendendo l’aria stantia con la sua voce. «È tutta la sera che se la porta in giro nella borsa!»

«Io…» Langdon si bloccò a metà della frase e il suo sguardo si spostò lentamente sulla borsa che aveva a tracolla. Poi tornò a fissare di nuovo il BlackBerry. Mio Dio… il pacchetto. Osservò più da vicino l’immagine e lo vide: un cubo spettrale che racchiudeva la piramide. Sbalordito, si rese conto che stava guardando un’immagine ai raggi X della sua borsa… e anche del misterioso pacchetto a forma di cubo di Peter. Il cubo, in realtà, era una scatola… che conteneva una piccola piramide.

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