32
«Ci siamo quasi» disse Anderson guidando Langdon e Sato lungo il corridoio apparentemente infinito che si sviluppava per l’intera lunghezza delle fondamenta est del Campidoglio. «Ai tempi di Lincoln, questo passaggio aveva il fondo in terra battuta ed era pieno di topi.»
Langdon fu sollevato dal fatto che il pavimento fosse stato piastrellato; non era un grande estimatore dei topi. Il gruppetto continuò a camminare, e i passi provocavano un’inquietante eco irregolare nel corridoio lungo il quale erano allineate numerose porte, alcune chiuse, molte semiaperte. Parecchie stanze sembravano abbandonate.
Langdon notò che i numeri sulle porte erano in ordine decrescente e, dopo un po’, gli sembrò che la numerazione stesse per esaurirsi.
SB4… SB3… SB2… SBl…
Passarono davanti a una porta priva di indicazioni, poi Anderson si bloccò di colpo non appena i numeri ripresero a salire.
HBl… HB2…
«Scusate» disse il capo della sicurezza. «Mi era sfuggito. Non scendo quasi mai quaggiù.»
Il gruppo tornò indietro di qualche metro e si fermò davanti a una vecchia porta metallica.
Langdon notò che si trovava nel punto centrale del corridoio: il meridiano che separava il Senate Basement (SB, il seminterrato del Senato) dallo House Basement (HB, il seminterrato della Camera).
In realtà la porta era contrassegnata da un’indicazione, ma la scritta era così sbiadita da essere quasi illeggibile.
SBB
«Ci siamo» annunciò Anderson. «Le chiavi arriveranno da un momento all’altro.»
Sato corrugò la fronte e guardò l’orologio.
Langdon studiò la sigla SBB e chiese a Anderson: «Come mai questo spazio è riferito al Senato nonostante si trovi al centro?».
Anderson sembrò perplesso. «Cosa intende dire?»
«Lì c’è scritto SBB: comincia con la esse, non con l’acca.»
Anderson scosse la testa. «Quella esse non sta per Senato. Sta per…»
«Capo?» si udì in lontananza. Un agente di sicurezza stava correndo verso di loro mostrando la chiave che aveva in mano. «Spiacente, signore: ci è voluto qualche minuto. Non riuscivamo a trovare la chiave principale dell’SBB. Questa è una copia presa dalla cassetta di scorta.»
«L’originale non si trova?» si stupì Anderson.
«Probabilmente è andato perso» rispose l’agente, senza fiato, raggiungendo il gruppo. «Sono secoli che nessuno chiede di scendere quaggiù.»
Anderson prese la chiave. «E quella dell’SBB 13 ?»
«Mi dispiace, ma finora non siamo riusciti a trovare le chiavi di nessuna stanza dell’SBB. McDonald si sta dando da fare per cercarle.» L’agente estrasse la radio. «Bob? Sono con il capo. Qualche novità sulla chiave dell’SBB 13?»
La radio gracchiò, poi una voce rispose: «In effetti, sì. Però è strano. Da quando abbiamo informatizzato tutto, non risulta che vi sia entrato nessuno e i registri scritti a mano indicano che tutte le stanze dell’SBB sono state sgombrate e abbandonate più di vent’anni fa. Vengono indicate come spazi inutilizzati.» L’agente fece una pausa. «Tutte tranne l’SBB 13.»
Anderson afferrò la radio. «Parla il capo. Cosa intendi dire con "tutte tranne l’SBB 13"?»
«Ecco, signore» rispose la voce «leggo qui un’annotazione scritta a mano che indica la stanza SBB 13 come "privata". L’annotazione risale a molto tempo fa, ma è scritta e firmata dall’architetto in persona.»
Langdon sapeva che il termine "architetto" non si riferiva all’uomo che aveva progettato il Campidoglio, ma a colui che lo dirigeva. Simile a un building manager, chi veniva nominato architetto del Campidoglio aveva il compito di occuparsi di tutto, compresi la manutenzione, il restauro, la sicurezza, l’assunzione del personale e l’assegnazione degli uffici.
«La cosa strana» riprese la voce alla radio «è che l’annotazione dell’architetto indica che quello spazio privato è riservato a Peter Solomon.»
Langdon, Sato e Anderson si scambiarono occhiate stupefatte.
«Signore» continuò la voce «io penso che il signor Solomon potrebbe essere in possesso della chiave originale dell’SBB e di quella dell’SBB 13.»
Langdon n o n riusciva a credere alle sue orecchie. Peter dispone di una sua stanza privata nel sotterraneo del Campidoglio? Aveva sempre saputo che Peter Solomon aveva dei segreti, ma questo era davvero sorprendente.
« Okay » disse Anderson in tono serio. «Noi vogliamo entrare proprio nell’SBB 13 , per cui continuate a cercare la chiave.»
«Certo, signore. Stiamo anche lavorando su quell’immagine digitale che lei ha richiesto e…»
«Grazie» lo interruppe Anderson, chiudendo il contatto radio. «È tutto. Non appena sarà disponibile, trasmettete quel file al BlackBerry del direttore Sato.»
«Benissimo, signore.» La radio tacque.
Anderson restituì l’apparecchio all’agente, che estrasse di tasca la fotocopia di una pianta e la porse al suo capo. «Signore, abbiamo contrassegnato con una X la stanza SBB13, per cui non dovrebbe essere difficile trovarla. È un’area molto piccola.»
Anderson ringraziò l’agente e, mentre questi si allontanava velocemente, rivolse l’attenzione alla pianta. Guardò anche Langdon, che rimase sorpreso nel vedere il numero stupefacente di cubicoli che componevano quel bizzarro labirinto sotto il Campidoglio degli Stati Uniti.
Anderson studiò per un momento la pianta, annuì e poi si mise il foglio in tasca. Voltandosi verso la porta con la scritta SBB, alzò la mano che stringeva la chiave, ma poi esitò, quasi a disagio all’idea di aprire.
Langdon provava un’inquietudine molto simile: non aveva idea di cosa ci fosse oltre quella porta, ma era sicurissimo che, qualunque cosa Solomon avesse nascosto laggiù, lui avrebbe voluto che restasse riservata. Molto riservata.
Sato si schiarì la voce e Anderson recepì il messaggio. Fece un respiro, inserì la chiave nella serratura e provò a girarla. La chiave non si mosse. Per una frazione di secondo Langdon sperò che fosse la chiave sbagliata. Ma al secondo tentativo la serratura scattò.
Il pesante battente si mosse cigolando verso l’esterno e nel corridoio si riversò un’ondata di aria umida.
Langdon sbirciò nel buio, ma non riuscì a vedere nulla.
«Professore» gli disse Anderson, voltandosi verso di lui mentre cercava alla cieca un interruttore «per rispondere alla sua domanda: la esse di SBB non sta per Senato. Sta per "sub", sotto.»
«Sotto?» ripetè Langdon perplesso.
Anderson annuì e premette l’interruttore accanto allo stipite interno. Un’unica lampadina illuminò un’inquietante scala che scendeva molto ripida in un buio d’inchiostro. «SBB sta per "subbasement", il sotterraneo del Campidoglio.»
33
Mark Zoubianis, esperto in sicurezza dei sistemi informatici, sprofondò ancora di più nel futon e aggrottò la fronte mentre leggeva sullo schermo del suo laptop.
Che cavolo di indirizzo è mai questo?
I suoi migliori trucchi da hacker si stavano rivelando del tutto inefficaci nel tentativo sia di aprire il documento sia di smascherare il misterioso indirizzo IP di Trish. Erano già passati dieci minuti e il programma di Zoubianis continuava a infrangersi contro i firewall, che a quel punto lasciavano ben poche speranze di penetrazione. Non c’è da stupirsi che mi paghino così tanto. Stava per riprogrammare il tutto e tentare un approccio diverso quando squillò il telefono.
Cristo santo, Trish, ti ho detto che avrei chiamato io. Tolse il volume alla partita di football e rispose. «Sì?»
«Parlo con Mark Zoubianis?» domandò una voce maschile. «Residente al 357 di Kingston Drive a Washington?»
Zoubianis sentiva altre conversazioni smorzate in sottofondo. Telemarketing durante i playoff? Sono matti? «Mi lasci indovinare: ho vinto una settimana ad Anguilla?»