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«Come faccio a sapere che non chiamerà la polizia?»

«Perché non posso rischiare. La vita di Peter non è l’unica carta che lei ha in mano. Io so qual è la posta in gioco questa notte.»

«Lei si rende conto» proseguì l’uomo al telefono «che se mi viene anche solo il minimo sospetto che in Franklin Square ci sia qualcun altro oltre a lei, tirerò dritto e non troverete mai più neppure un capello di Peter Solomon? E ovviamente… questo sarà il minore dei vostri problemi.»

«Verrò da solo» replicò cupo Bellamy. «Quando mi consegnerà Peter, le darò tutto ciò che vuole.»

«Al centro della piazza. Ci metterò almeno venti minuti per arrivare là. Le suggerisco di aspettarmi per tutto il tempo che ci vorrà.»

La conversazione si interruppe.

Immediatamente la sala si animò. Sato cominciò a impartire ordini, e alcuni agenti presero le radio e si diressero verso la porta. «Presto! Presto!»

Nella confusione, Langdon guardò Bellamy nella speranza di capire cosa stesse succedendo quella notte, ma gli agenti stavano già spingendo l’architetto verso la porta.

«Io voglio vedere mio fratello!» urlò Katherine. «Lei deve lasciarci andare!»

Sato le si avvicinò. «Io n o n devo fare proprio nulla, dottoressa Solomon. S o n o stata chiara?»

Katherine non si fece intimorire e la fissò dritto negli occhi.

«Dottoressa Solomon, la mia priorità adesso è catturare quell’uomo a Franklin Square, e lei resterà qui con uno dei miei agenti finché non avrò portato a termine la missione. Allora, e solo allora, ci occuperemo di suo fratello.»

«Lei non capisce!» disse Katherine. «Io so dove vive quel tizio! Abita a Kalorama Heights, a cinque minuti di macchina da qui, e a casa sua troverete prove che potrebbero esservi utili! E poi lei ha detto di voler tenere segreta questa faccenda. Chissà cosa potrebbe rivelare Peter alla polizia una volta che si sarà ripreso.»

Sato serrò le labbra, riflettendo sulle parole di Katherine. Fuori, le pale dell’elicottero ripresero a girare. Sato aggrottò la fronte, poi si voltò verso uno dei suoi uomini e gli ordinò a bassa voce: «Hartmann, tu prendi l’Escalade e accompagna la dottoressa Solomon e il signor Langdon a Kalorama Heights. Peter Solomon non deve parlare con nessuno. Intesi?»

«Sì, signora» rispose l’agente.

«Chiamami quando arrivi e dimmi cos’hai trovato. E non perdere di vista questi due.»

Con un secco cenno del capo, l’agente Hartmann prese le chiavi dell’Escalade e si diresse verso la porta. Katherine lo seguì da vicino.

Sato si voltò verso L a n g d o n . «A p i ù tardi, professore. So c h e lei pensa che io sia il nemico, ma le assicuro che non è così. Vada subito da Peter. Non è ancora finita.»

Il reverendo Galloway se ne stava seduto in silenzio davanti al tavolino, di fianco a Langdon. Le sue dita avevano trovato la piramide nella borsa posata lì sopra e ne accarezzavano la superficie tiepida.

«Reverendo, viene con noi da Peter?» gli chiese Langdon.

«Vi farei soltanto perdere tempo.» Il decano tolse le mani dalla borsa e richiuse la cerniera. «Resterò qui a pregare per la guarigione di Peter. Ci sentiremo più tardi. Ma… quando farà vedere la piramide a Peter, potrebbe riferirgli una cosa da parte mia, per favore?»

«Certamente.» Langdon si mise la borsa a tracolla.

«Gli dica questo.» Galloway si schiarì la voce. «La piramide massonica ha sempre custodito il suo segreto… sinceramente.»

«Non capisco.»

Il decano ammiccò a Langdon. «Lei si limiti a riferirgli queste parole. Lui capirà.»

Detto questo, il reverendo G a l l o w a y chinò il capo e cominciò a pregare.

Langdon, perplesso, lo lasciò lì e corse fuori. Katherine era già a bordo del suv, sul sedile anteriore, e dava istruzioni all’agente. Lui salì dietro e non fece quasi in tempo a chiudere la portiera che il gigantesco veicolo stava già attraversando il prato a tutta velocità, diretto a Kalorama Heights.

93

Franklin Square, la piazza delimitata da K Street e Thirteenth Street, si trova nel quadrante nordovest del centro di Washington. Ospita molti edifici storici, tra i quali la Franklin School, dalla quale nel 1880 Alexander Graham Bell inviò il primo messaggio vocale senza fili.

Un elicottero Sikorsky si avvicinò veloce da ovest. Aveva coperto la distanza dalla cattedrale di Washington a Franklin Square in pochissimi minuti. Più che in tempo, rifletté Sato osservando la piazza sotto di loro. Era fondamentale che i suoi uomini riuscissero a prendere posizione senza essere visti prima dell’arrivo del loro obiettivo. Ha detto che non sarebbe arrivato prima di venti minuti.

Su ordine di Sato, il pilota effettuò un volo a punto fisso sul tetto della costruzione più alta prospiciente la piazza, il famoso One Franklin Square, un prestigioso edificio di dodici piani adibito a uffici e sormontato da due torri con il pinnacolo dorato. La manovra era illegale, ovviamente, ma l’elicottero rimase sospeso sul tetto solo pochi secondi e i pattini sfiorarono appena il lastrico solare. Quando tutti furono saltati giù, il pilota si risollevò immediatamente, virando verso est e portandosi a una quota di sicurezza per fornire appoggio senza essere visto.

Sato attese che la sua squadra raccogliesse l’attrezzatura e preparasse Bellamy per il compito che lo attendeva. L’architetto pareva ancora frastornato dopo aver visto il file sul laptop protetto di Sato. Come ho detto… è una questione di sicurezza nazionale.

Bellamy aveva capito al volo ciò che la dorma stava dicendo e adesso cooperava pienamente.

«È tutto pronto, signora» disse l’agente Simkins.

A un segnale di Sato, gli agenti accompagnarono Bellamy oltre la porta che dava sulla tromba delle scale, diretti al pianterreno, dove avrebbero preso posizione.

Sato si avvicinò al parapetto e guardò giù. Il giardino, una distesa alberata di forma rettangolare, occupava l’intera piazza. Abbiamo tutta la copertura che vogliamo. I suoi uomini avevano pienamente compreso l’importanza di agire senza essere visti. Se il loro obiettivo avesse avvertito una presenza e deciso di allontanarsi… Sato non voleva neppure pensarci.

Sul tetto soffiava a raffiche un vento freddo. Sato si strinse le braccia intorno al busto e puntò forte i piedi per evitare di essere spinta oltre il parapetto. Da lassù Franklin Square sembrava più piccola di come la ricordava, e con meno edifici. Si chiese quale di essi corrispondesse al numero otto. Era quella l’informazione che aveva chiesto alla sua collaboratrice, Nola, dalla quale aspettava una risposta da un momento all’altro.

Bellamy e gli agenti comparvero in strada, piccoli come formiche, e si sparpagliarono nell’area verde. Simkins posizionò Bellamy in uno spiazzo vicino al centro del giardino, a quell’ora deserto, quindi lui e la sua squadra si mimetizzarono nell’ambiente circostante. Nel giro di pochi secondi Bellamy si ritrovò solo e cominciò a camminare avanti e indietro, infreddolito, alla luce di un lampione vicino al centro del giardino.

Sato non provava la minima pietà.

Si accese una sigaretta e tirò una lunga boccata, assaporando il calore che le si diffondeva nei polmoni. Accertatasi che giù tutto fosse a posto, si allontanò dal parapetto in attesa delle due telefonate che aspettava, da Nola e dall’agente Hartmann che aveva mandato a Kalorama Heights.

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