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«Ordine dal caos» replicò Langdon con un sorrisetto. «Proprio come aveva promesso tuo fratello.» Prese dalla tasca la griglia copiata dalla piramide. «Per ora, questa serie di lettere è incomprensibile.» Stese il foglio sul tavolo.

Caos.

Il simbolo perduto - pic_14.jpg

Katherine la osservò. Incomprensibile è la parola giusta.

«Dürer però la trasformerà.»

«E come?»

«Alchimia linguistica.» Langdon le indicò lo schermo. «Guarda bene: in questo disegno è nascosta la chiave per comprendere le nostre sedici lettere.» Aspettò un momento, poi aggiunse: «Non lo vedi? Cerca il numero 1514».

Katherine non aveva nessuna voglia di giocare agli indovinelli: non era dell’umore giusto. «Non lo vedo, Robert. Dov’è? Sulla sfera, sulla scala a pioli, sul coltello, sul poliedro, sulla bilancia? Mi arrendo.»

«Sullo sfondo. Guarda. Inciso sul muro della costruzione alle spalle dell’angelo, sotto la campana, c’è un quadrato pieno di numeri.»

Lei lo notò solo in quel momento. Fra i numeri c’erano anche, vicini, il 15 e il 14.

«Katherine, questo quadrato è la chiave per decifrare la piramide!»

Lei lo fissò sbigottita.

«Non è un quadrato normale» replicò Langdon sorridendo. «Questo, dottoressa Solomon, è un quadrato magico.»

69

Dove diavolo mi stanno portando?

Bellamy era ancora incappucciato nel SUV. Fatta una breve sosta davanti alla Biblioteca del Congresso, l’auto era ripartita e si era fermata di nuovo… un minuto dopo. Doveva aver percorso al massimo un isolato.

Sentì alcune voci sommesse.

«No… impossibile…» diceva qualcuno in tono autoritario. «A quest’ora è chiuso…»

L’uomo alla guida del SUV replicò, altrettanto perentorio: «Indagini… CIA… sicurezza nazionale…». Evidentemente, sia la risposta sia le sue credenziali erano state convincenti, perché il tono cambiò di colpo.

«Sì, certo… entrata di servizio…»

Si udì un rumore come della saracinesca di un garage che si alzava. Una voce chiese: «Vi accompagno dentro? Non vorrei che poi non riusciste a…».

«No, grazie. Abbiamo la chiave.»

Se la guardia era rimasta sorpresa, ormai era troppo tardi per protestare: il SUV era ripartito. Dopo una cinquantina di metri, si fermò. La saracinesca si richiuse.

Silenzio.

Bellamy si rese conto di tremare.

La portiera si aprì e Bellamy si sentì afferrare sotto le ascelle e trascinare giù dalla macchina. Senza dire una parola, i suoi sequestratori lo fecero avanzare in uno spazio vuoto, dove c’era uno strano odore che lui non riuscì a identificare. Sentiva i passi di un’altra persona, che però non aveva ancora aperto bocca.

Si fermarono e Bellamy udì il rumore di una serratura magnetica. Una porta si aprì e lui venne accompagnato lungo una serie di corridoi, sempre più caldi e umidi. Una piscina, forse? No, l’odore non era di cloro. Era molto più… terroso.

Dove mi hanno portato? Sapeva solo che erano vicini al Campidoglio. Si fermarono nuovamente e Bellamy riconobbe il bip di una porta di sicurezza, che un momento dopo si aprì con un sibilo. Si sentì spingere all’interno e riconobbe l’odore, inconfondibile.

Aveva capito dove l’avevano condotto. Mio Dio! Ci andava spesso, anche se non passava mai dall’entrata di servizio. La splendida costruzione tutta vetri era a soli trecento metri dal Campidoglio e faceva parte del complesso. È sotto la mia responsabilità! In quel momento si rese conto che avevano usato la sua chiave.

Lo fecero camminare lungo un tortuoso percorso che conosceva molto bene. Il caldo umido di quel luogo in genere gli piaceva, ma quella sera gli sembrava soffocante. Era tutto sudato.

Che cosa siamo venuti a fare qui?

A un certo punto si fermarono e lo fecero sedere su una panchina, poi gli tolsero le manette il tempo sufficiente per agganciargliele allo schienale.

«Che cosa volete da me?» chiese Bellamy, con il cuore che gli batteva forte.

Nessuna risposta: solo un rumore di scarpe pesanti sul pavimento e poi lo scorrere di una porta a vetri.

Silenzio.

Silenzio di tomba.

Mi hanno mollato qui? Bellamy provò a liberarsi delle manette dietro la schiena, con il risultato che iniziò a sudare ancora più copiosamente. Non riesco nemmeno a togliermi il cappuccio!

«Aiuto!» gridò. «Qualcuno mi aiuti!»

Sapeva che nessuno lo avrebbe sentito. Quell’enorme serra, che chiamavano la "Giungla", aveva porte a tenuta stagna.

Mi hanno lasciato nella Giungla! pensò. Non mi troveranno fino a domattina.

Fu in quel momento che lo sentì.

Era un rumore sommesso, ma lo riempì di terrore come mai prima di allora. Qualcuno sta respirando. Incollato a me.

Non era solo, su quella panchina.

Udì il sibilo di un fiammifero, talmente vicino alla faccia che avvertì il calore della fiamma. Si spostò di lato e si fece male ai polsi.

Una mano gli sfiorò la faccia: gli stavano togliendo il cappuccio.

La fiamma illuminò gli occhi scuri di Inoue Sato. Stava accendendo la sigaretta che teneva fra le labbra, a pochi centimetri da lui.

Al chiarore della luna che filtrava attraverso il soffitto a vetrate, la donna gli lanciò un’occhiata gelida. Sembrava godere della sua paura.

«Allora, signor Bellamy» gli disse spegnendo il fiammifero. «Da dove vogliamo cominciare?»

70

Un quadrato magico. Katherine annuì nel vedere la griglia di numeri nell’incisione di Dürer. Capì che Langdon aveva ragione, anche se molti forse l’avrebbero preso per pazzo.

I quadrati magici non hanno nulla di mistico. Sono un gioco matematico: una tabella di numeri disposti in maniera da dare la stessa somma in tutte le file, in verticale, in orizzontale e in diagonale. Creati quattromila anni fa da matematici egizi e indiani, continuano a essere considerati magici da molte persone. Katherine aveva letto che ancora oggi in India, nei riti puja, si usa disegnare sugli altari quadrati magici di nove numeri, detti "Kubera Kolam". In generale, tuttavia, l’uomo moderno li ha relegati al ruolo di gioco enigmistico, solo per appassionati. Una specie di Sudoku per geni.

Katherine osservò il quadrato di Dürer, calcolando mentalmente.

Il simbolo perduto - pic_15.jpg

«Il risultato è 34» dichiarò. «Se sommi i numeri di qualsiasi fila, ottieni sempre 34.»

«Esattamente» rispose Langdon. «Sapevi che questo quadrato è famoso perché Dürer è riuscito in un’impresa praticamente impossibile?»

Mostrò a Katherine che a dare come risultato 34 non erano soltanto le file orizzontali, verticali e diagonali, ma anche i quattro quadranti in cui poteva essere divisa la tabella, il quadrato formato dai quattro numeri al centro e persino i quattro angoli.

«Per di più, Dürer riuscì anche a mettere in basso al centro i numeri 15 e 14, in modo da datare la sua formidabile impresa.»

Katherine constatò, strabiliata, che era proprio così.

Il tono di Langdon si fece più concitato. «E straordinario che Melancolia I rappresenti il primo quadrato magico mai raffigurato

in un’opera d’arte europea. Secondo alcuni storici, per Düreùera un modo per comunicare in ma misteri erano usciti dalle scuole egizie ed erano ormai custoditi dalle società segrete europee.» Dopo un attimo di silenzio, aggiunse: «E questo ci riporta a noi».

Indicò il foglio sul quale aveva copiato la sequenza di lettere della piramide.

Il simbolo perduto - pic_16.jpg

«Riconosci il modello?» chiese Langdon. «Immagino che ormai ti sarà familiare.»

«Un quadrato quattro per quattro.»

Lui prese una matita e trascrisse il quadrato magico di Dürer di fianco alla griglia di lettere. Katherine capì che a quel punto sarebbe stato semplicissimo.

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