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Simkins avanzò verso la porticina e vide che lo spazio al di là di essa era illuminato. «La luce è accesa!» urlò, sperando che bastasse farsi sentire per convincere Bellamy e Langdon a uscire con le mani alzate.

Non successe niente.

E va bene, faremo nell’altro modo…

Simkins si avvicinò ulteriormente alla porticina e udì una specie di brontolio che proveniva dall’interno: sembrava esserci un macchinario in funzione. Si fermò e cercò di pensare a cosa potesse produrre quel rumore in uno spazio così limitato. Accostò l’orecchio e sentì delle voci. Poi, appena varcata la soglia, la luce si spense.

Grazie mille, pensò, sistemandosi il visore notturno. Così ci date un vantaggio.

Guardò all’interno e si trovò di fronte una vista inaspettata. Quello che gli era sembrato un armadio nascondeva la scala che scendeva in un vano sottostante. Simkins scese, imbracciando il fucile. Il ronzio del macchinario si faceva sempre più forte.

Cosa cavolo è questo posto?

Il vano tecnico sotto la sala di lettura era piuttosto piccolo. A produrre il rumore che Simkins aveva sentito era effettivamente un macchinario. L’agente non sapeva se fossero stati Langdon e Bellamy ad attivarlo o se rimanesse in funzione ventiquattr’ore su ventiquattro. Non che fosse importante accertarlo. I fuggitivi avevano lasciato tracce termiche sull’unica uscita presente: una pesante porta di acciaio sul cui tastierino apparivano quattro chiare impronte rosse. La porta era contornata da un bagliore arancione, a indicare che dall’altra parte la luce era accesa.

«Abbattete la porta!» ordinò Simkins. «Sono scappati di qua!»

Ci vollero otto secondi per inserire e far detonare il Key4. Quando il fumo si disperse, gli agenti si trovarono di fronte a quello strano mondo sotterraneo conosciuto come "il deposito".

La Biblioteca del Congresso aveva chilometri e chilometri di scaffali, la maggior parte dei quali sottoterra. Le lunghissime file di tomi che si diramavano in ogni direzione come un gioco di specchi davano un senso di vertigine.

Un cartello annunciava:

AMBIENTE A TEMPERATURA CONTROLLATA TENERE LA PORTA CHIUSA

Simkins scavalcò la porta distrutta. Nel sentire la corrente di aria fredda che lo investiva, sorrise. Sempre più facile… Negli ambienti a temperatura controllata le tracce termiche erano luminose come brillamenti solari, e il suo visore già evidenziava una ditata rosso fuoco su una ringhiera a cui Bellamy o Langdon dovevano essersi aggrappati correndo.

"Correte, correte, tanto non vi potete nascondere" sussurrò.

Mentre avanzava con i suoi uomini in quel dedalo di scaffalature cariche di libri, pensava che le condizioni erano talmente favorevoli che probabilmente sarebbe riuscito a catturare le sue prede anche senza visore. A un primo sguardo il deposito della biblioteca poteva sembrare un nascondiglio di tutto rispetto, ma per motivi di risparmio energetico vi era stato installato un sistema di illuminazione a sensori di movimento, per cui la strada percorsa dai fuggitivi risultava adesso luminosa come la pista di un aeroporto. La vivida scia si estendeva serpeggiando tra gli scaffali, fino in lontananza.

Gli agenti si tolsero il visore e si misero a correre lungo la traccia, zigzagando in quel labirinto apparentemente infinito. Dopo un po’, Simkins cominciò a vedere davanti a sé un baluginio di luci. Stiamo per raggiungervi! Accelerò ancora, finché sentì un respiro affannoso e vide il fuggitivo.

«Avvistato!» urlò ai suoi.

Warren Bellamy doveva essere allo stremo delle forze: barcollava senza fiato tra gli scaffali, in giacca e cravatta. Non puoi farcela!

«Si fermi, signor Bellamy!» urlò Simkins.

Bellamy continuò a correre tra le file di libri. A ogni curva, nuove luci si accendevano sopra la sua testa.

Quando gli agenti furono a una ventina di metri da lui, gli gridarono un’altra volta di fermarsi, ma Bellamy li ignorò.

«Bloccatelo!» ordinò Simkins.

L’agente che imbracciava il fucile non letale prese la mira e fece fuoco. Il "proiettile" che raggiunse Bellamy e gli immobilizzò le ginocchia si chiamava Silly String ed era stato inventato ai Sandia National Laboratories. In schiuma di poliuretano, a contatto con il bersaglio si induriva immediatamente. Veniva definito "inabilitante" e, su un bersaglio in corsa, aveva l’effetto di un bastone fra i raggi di una ruota. Bellamy perse l’equilibrio e cadde faccia a terra, scivolò in avanti ancora per qualche metro e poi si fermò. Le luci sopra di lui si accesero.

«Io penso a Bellamy» urlò Simkins. «Voi cercate Langdon. Dev’essere più avanti…» Si interruppe nel vedere che le luci oltre quel punto erano tutte spente. Evidentemente nel deposito non c’era nessun altro. Bellamy è solo?

L’architetto era bocconi, con ginocchia e caviglie bloccate, e respirava affannosamente. L’agente gli si avvicinò e lo voltò a faccia insù con un piede.

« D o v ’ è ? » gli chiese.

Nella caduta, Bellamy si era tagliato un labbro. «Chi?»

L’agente Simkins alzò il piede e lo posò sull’elegante cravatta dell’architetto del Campidoglio. Si piegò in avanti, premendogli lo scarpone sul petto. «Mi creda, Bellamy, non le conviene fare il furbo con me.»

59

Robert Langdon aveva la sensazione di essere sepolto vivo.

Era supino, con le braccia incrociate sul petto, nascosto in uno spazio angusto e nel buio più totale. Katherine era poco lontano, più o meno nella stessa posizione, ma lui non la vedeva. Teneva gli occhi chiusi: non voleva sapere cosa aveva intorno.

Era infilato in un cunicolo.

Un cunicolo strettissimo.

Sessanta secondi prima, mentre le porte della sala di lettura della biblioteca venivano abbattute, lui e Katherine avevano seguito Bellamy dentro il mobile al centro del bancone ed erano scesi nel locale sottostante.

Langdon aveva capito subito dove si trovavano. Nel cuore del sistema circolatorio della Biblioteca del Congresso. Il centro di distribuzione dei volumi sembrava la sala dove si ritirano i bagagli in aeroporto, con una serie di nastri trasportatori che scomparivano in direzioni differenti. Poiché la biblioteca occupava tre edifici diversi, i libri da consegnare nella sala di lettura spesso venivano trasferiti grazie a una rete di tapis roulant in tunnel sotterranei.

Bellamy era corso verso una porta di acciaio, aveva inserito la sua chiave magnetica e premuto una serie di tasti per far scattare la serratura. I sensori di movimento, rilevando l’apertura della Porta, erano subito entrati in azione, comandando l’accensione delle luci più vicine.

Quando Langdon aveva visto quello che c’era oltre la porta, aveva capito di avere di fronte qualcosa che solo a pochissimi era concesso vedere: il deposito di libri della Biblioteca del Congresso. Il piano di Bellamy gli era piaciuto subito. Esiste nascondiglio migliore di un labirinto gigantesco?

Bellamy, però, non li aveva invitati a seguirlo. Aveva messo un libro a terra per tenere aperta la porta e si era voltato verso di loro. "Speravo di potervi dare qualche spiegazione in più, ma non c’è tempo." Aveva consegnato a Langdon la sua chiave magnetica. "Questa vi servirà."

"Non vieni con noi?" gli aveva domandato Langdon.

Bellamy aveva fatto cenno di no con la testa. "Se non ci dividiamo, ci prenderanno. La cosa più importante è che piramide e cuspide siano in mani sicure."

Langdon, però, non vedeva altra via di uscita che le scale per tornare nella sala di lettura. "Tu dove vai?"

"Li attirerò nel deposito, lasciando via libera a voi" aveva risposto Bellamy. "Almeno così potrete fuggire." Senza lasciare a Langdon il tempo di chiedere come, aveva tolto una pesante cassa di libri da un nastro trasportatore. "Sdraiatevi qui" aveva detto "e tenete le braccia lungo i fianchi."

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