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"Zachary, aspetta!" Peter gli era corso dietro. "Qualunque cosa tu decida, ricorda che non dovrai parlare con nessuno della piramide che hai visto!" Gli si era incrinata la voce. "Con nessuno, capito? Mai!"

Ma Zachary lo aveva ignorato ed era scomparso nel buio.

Solomon era tornato alla scrivania e si era seduto sulla poltrona di pelle, gli occhi grigi pieni di rammarico. Dopo un lungo silenzio, aveva alzato lo sguardo e, con un sorriso forzato, aveva detto: "Poteva andare peggio"

Anche Bellamy era addolorato. "Peter, non vorrei infierire, ma… ti fidi di Zachary?"

Solomon fissava il vuoto.

"Voglio dire…" aveva insistito Bellamy. " S i a m o sicuri che n o n parlerà della piramide?"

Solomon aveva lo sguardo assente. "Non ne ho idea, Warren. Non lo riconosco più."

Bellamy si era alzato e aveva camminato avanti e indietro per un po’. "Peter, hai fatto il tuo dovere come vuole la tradizione di famiglia, ma ora, alla luce di quello che è successo, penso sia il caso di prendere alcune precauzioni. Ti restituirò la cuspide, in maniera che tu possa affidarla a qualcun altro."

"Perché?" aveva domandato Solomon.

"Se Zachary dovesse mai lasciarsi sfuggire della piramide… e che io ero presente stasera… ’

"Non sa della cuspide ed è troppo immaturo per comprendere il valore della piramide. Non occorre che le affidiamo a qualcun altro. Io continuerò a tenere la piramide nella mia cassaforte e tu terrai la cuspide dove l’hai sempre conservata. Resterà tutto come prima."

Alcuni giorni dopo l’irruzione dell’assassino di Zachary in casa Solomon, sei anni più tardi, Peter aveva convocato Bellamy nel suo studio. Aveva preso la piramide dalla cassaforte e l’aveva posata sulla scrivania. "Avrei dovuto darti ascolto."

Bellamy sapeva che Peter era roso dai sensi di colpa. "Non sarebbe cambiato niente."

Solomon aveva sospirato. "Hai portato la cuspide?"

Bellamy aveva tirato fuori dalla tasca un pacchetto. Era a forma di cubo, avvolto in carta marrone sbiadita e legato con un cordino. Recava il sigillo dell’anello dei Solomon. Bellamy l’aveva posato sulla scrivania e aveva pensato che le due metà della mappa erano troppo vicine l’una all’altra, quella sera. "Trova qualcun altro a cui affidarla. E non dirmi il suo nome"

Solomon aveva annuito.

"Conosco un luogo adatto a nascondere la piramide" aveva aggiunto Bellamy, suggerendo il sotterraneo del Campidoglio. "Non c’è posto più sicuro, a Washington."

Solomon si era dichiarato subito d’accordo, perché anche dal punto di vista simbolico non c’era luogo migliore del centro della nazione. Tipico di Solomon, aveva pensato Bellamy, essere idealista anche nei momenti di crisi.

Erano passati dieci anni da allora, e quella sera Bellamy, spintonato nei labirinti della Biblioteca del Congresso, stava vivendo una nuova crisi. Aveva scoperto a chi Solomon aveva affidato la cuspide e sperava con tutto il cuore che Robert Langdon si rivelasse all’altezza.

62

Mi trovo sotto Second Street.

Langdon teneva gli occhi chiusi mentre il nastro lo trasportava verso il John Adams Building. Cercava di non pensare alle tonnellate di terra sopra la sua testa e allo stretto cunicolo nel quale era costretto. Sentiva il respiro di Katherine a pochi metri da lui. Fino a quel momento, la donna non aveva detto una parola.

E’ sotto shock. Langdon non aveva il coraggio di rivelarle che suo fratello aveva perso una mano. Glielo devi dire, Robert. È giusto che lo sappia.

«Katherine?» la chiamò dopo un po’, senza aprire gli occhi. «Stai bene?»

Gli rispose una voce tremula, che pareva provenire dall’oltretomba. «Robert? La piramide che hai nella borsa… è di Peter, vero?»

«Sì» rispose Langdon.

Seguì un lungo silenzio. «Io credo che… mia madre sia stata uccisa per quella piramide.»

Langdon non conosceva le circostanze esatte della morte di Isabel, e Peter non aveva mai accennato alla piramide in sua Presenza. «Non so di cosa parli, Katherine.»

Lei gli raccontò con voce commossa i particolari dell’assassinio di sua madre. «È passato molto tempo, ma ricordo benissimo che quello sconosciuto voleva una piramide. Disse che aveva saputo della sua esistenza da mio nipote Zachary, in prigione… E che era stato lui ad ammazzarlo.»

Langdon ascoltò sconcertato quel tragico racconto, che aveva dell’incredibile.

Katherine gli spiegò che aveva sempre creduto che l’uomo fosse morto, invece poche ore prima, quel pomeriggio, era riapparso. Si era fatto passare per lo psichiatra di Peter e l’aveva attirata con l’inganno a casa sua. «Conosceva dettagli molto intimi, sapeva della morte di mia madre e persino del mio lavoro» disse angosciata. «Erano cose che poteva avergli riferito solo Peter e così… mi sono fidata di lui. Ecco perché è riuscito a entrare nello Smithsonian Museum Support Center.» Fece un respiro profondo e gli rivelò che le aveva distrutto il laboratorio.

Langdon l’ascoltava scioccato. Per un po’ rimasero in silenzio, ma lui sapeva di doverle dire di suo fratello. La prese alla lontana: le spiegò che Peter gli aveva affidato un pacchetto diversi anni prima e che qualcuno gli aveva fatto credere di doverlo portare a Washington quella sera. Alla fine, le raccontò che nella Rotonda del Campidoglio era stata trovata la mano destra di suo fratello.

Katherine reagì con un silenzio carico di emozione.

Langdon intuiva che era sconvolta e avrebbe voluto consolarla, ma non era facile in quella situazione. «Sono certo che se la caverà» sussurrò. «È vivo: lo troveremo.» Cercò di infonderle un po’ di speranza. «Il suo rapitore mi ha promesso di non ucciderlo… se io risolverò per lui l’enigma della piramide.»

Katherine continuava a stare in silenzio.

Langdon riprese a parlare. Le disse della piramide di granito, dell’iscrizione cifrata, della cuspide e del fatto che, secondo Bellamy, si trattava della leggendaria piramide massonica, una sorta di mappa capace di condurre a una lunga scala a chiocciola che scendeva per decine di metri verso un antico tesoro mistico sepolto lì a Washington da tempo immemorabile.

Alla fine Katherine parlò con voce piatta e priva di emozione. «Robert, apri gli occhi.»

Aprire gli occhi? Langdon non aveva nessuna voglia di vedere quanto era angusto lo spazio in cui si trovava.

«Robert!» insistette Katherine in tono più perentorio. «Apri gli occhi! Siamo arrivati.»

Langdon sollevò le palpebre e vide che il nastro lo stava portando finalmente fuori del tunnel, passando per un buco nel muro simile a quello sotto la sala di lettura. Katherine stava già scendendo dal tapis roulant. Prese la borsa e aspettò che Langdon si mettesse seduto e saltasse a sua volta sul pavimento di mattonelle, appena prima che il nastro trasportatore girasse e ritornasse indietro. Si trovavano in una stanza molto simile a quella da cui erano partiti. Una targhetta diceva: JOHN ADAMS BUILDING: SALA DI DISTRIBUZIONE NUMERO 3.

A Langdon pareva di aver rivissuto l’esperienza della nascita. Si voltò verso Katherine. «Stai bene?»

Lei aveva gli occhi rossi ed era chiaro che aveva pianto, ma annuì con risoluto stoicismo. Prese la borsa di Langdon e, senza dire una parola, attraversò la stanza fino a un tavolo ingombro di fogli. Vi posò sopra la borsa e, dopo avere acceso l’alogena, aprì la zip e guardò dentro.

Ammirò l’austera piramide di granito alla luce della lampada. Passò le dita sull’iscrizione massonica e Langdon si rese conto che era emozionata. Poi, lentamente, infilò la mano nella borsa ed estrasse il pacchetto. Lo avvicinò alla luce e lo esaminò con attenzione.

«Come vedi, il sigillo sulla ceralacca è quello dell’anello di Peter» spiegò Langdon. «Mi ha confidato che è stato usato oltre cent’anni fa per chiudere questo pacchetto.»

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