Литмир - Электронная Библиотека
Содержание  
A
A

111

I rintocchi della campana nella torre dell’orologio echeggiarono per tre minuti buoni, facendo vibrare il lampadario di cristallo sospeso sulla testa di Langdon. Qualche decennio prima, lui aveva frequentato le lezioni in quell’aula magna alla Phillips Exeter Academy, a cui era molto affezionato. Quel giorno, invece, era andato lì per ascoltare il discorso agli studenti tenuto da un caro amico. Mentre le luci si abbassavano, Langdon prese posto vicino alla parete di fondo, sotto un pantheon di ritratti dei rettori.

Un mormorio serpeggiò fra i presenti.

Nel buio più assoluto, una sagoma alta attraversò il palco e salì sul podio. "Buongiorno" sussurrò nel microfono la voce senza volto.

Tutti allungarono il collo cercando di vedere chi fosse a parlare.

Un proiettore si accese rivelando una sbiadita fotografia seppiata: un favoloso castello con la facciata di arenaria rossa, alte torri squadrate e decorazioni gotiche.

L’ombra prese di nuovo la parola. "Chi sa dirmi dove si trova questo castello?"

"In Inghilterra!" esclamò una ragazza nell’oscurità. "La facciata contiene elementi di stile pregotico e tardo romanico, dai quali si deduce che si tratta di un tipico castello normanno, costruito in Inghilterra intorno al dodicesimo secolo."

"Uau" rispose la voce senza volto. "Qualcuno qui la sa lunga in fatto di architettura."

Mormorii sommessi tutt’intorno.

"Peccato" aggiunse l’ombra "che lei abbia sbagliato di quasi cinquemila chilometri e di oltre mezzo millennio."

La sala si rianimò.

Sulla parete venne proiettata una fotografia recente, a colori, dello stesso castello, ripreso da una diversa angolazione. Le torri in arenaria di Seneca Creek dominavano l’immagine in primo piano, ma sullo sfondo, incredibilmente vicina, si stagliava la maestosa cupola bianca a colonnati del Campidoglio.

"Aspetti un attimo!" saltò su la ragazza. "A Washington c’è un castello normanno?"

"Dal 1855" rispose la voce. "L’epoca in cui è stata scattata la prossima foto."

Apparve una nuova diapositiva, in bianco e nero, che ritraeva un’immensa sala da ballo con il soffitto a volta, arredata con scheletri di animali, vetrinette con esposti strumenti scientifici, vasi di vetro contenenti campioni biologici, reperti archeologici e calchi in gesso di rettili preistorici.

"Questo meraviglioso castello" spiegò la voce "è stato il primo vero museo di scienze in America. Fu donato agli Stati Uniti da un ricco scienziato britannico che, come i nostri padri fondatori, era convinto di una cosa: il nostro paese, che muoveva allora i primi passi, sarebbe potuto diventare una terra illuminata. Lasciò in eredità ai nostri padri un’incredibile fortuna e chiese loro di costruire nel cuore della nostra nazione ’un’istituzione per la crescita e la diffusione del sapere’." Ci fu una lunga pausa. "Chi sa dirmi il nome di questo generoso scienziato?"

Una timida voce nelle prime file azzardò una risposta. "James Smithson?"

Un sussurro di approvazione serpeggiò tra i presenti.

"Proprio lui" rispose l’uomo sul podio. Peter Solomon a quel punto fece un passo avanti, in una zona illuminata, e gli occhi grigi si guardarono intorno divertiti. "Buongiorno, mi chiamo Peter Solomon e sono il segretario generale dello Smithsonian Institution."

Gli studenti gli fecero un caloroso applauso.

Nella penombra, Langdon guardava ammirato Peter che catturava l’attenzione di quelle giovani menti con un tour fotografico degli albori dello Smithsonian. Lo show cominciava con lo Smithsonian Castle, i suoi laboratori scientifici nel seminterrato, i reperti in mostra nei corridoi, un salone pieno di molluschi, scienziati che si definivano "curatori di crostacei" e persino una vecchia foto dei due abitanti più famosi del castello: una coppia di gufi ormai defunti che si chiamavano Diffusione e Progresso. La proiezione di diapositive durava mezz’ora e terminava con un’impressionante foto satellitare del National Mall, lungo il quale oggi si allineavano importanti musei dello Smithsonian.

"Come ho detto all’inizio" affermò Solomon in conclusione "James Smithson e i nostri padri fondatori prefiguravano il nostro grande paese come una terra illuminata. Credo che oggi ne sarebbero orgogliosi. Il loro famoso Smithsonian Institution, situato proprio nel centro nevralgico della nazione, rappresenta il simbolo della scienza e del sapere. È un tributo vivente, pulsante e attivo, al sogno dei nostri padri di un’America fondata sui principi della conoscenza, della saggezza e della scienza."

Nell’istante in cui Solomon spense il proiettore, dal pubblico partì un applauso scrosciante. Nell’aula magna si alzarono le luci, insieme a decine di mani che fremevano per porre domande.

Solomon diede la parola a un giovane, piccolo e con i capelli rossi, al centro dell’uditorio.

"Professor Solomon" esordì il ragazzo in tono perplesso "lei ha detto che i nostri padri fondatori fuggirono dalle repressioni religiose in Europa per fondare una nazione basata sul progresso scientifico."

"Esatto."

"Ma… io ho sempre pensato che i nostri padri fondatori fossero persone devote e religiose, che hanno creato l’America ispirandola ai principi di una nazione cristiana."

Solomon sorrise. "Amici miei, non fraintendetemi: i nostri padri fondatori erano persone profondamente religiose, però erano deisti, uomini che credevano in Dio, ma in un modo an tidogmatico e mentalmente aperto. L’unico ideale religioso che propugnavano era la libertà di religione." Prese il microfono dal piedistallo e si avvicinò al bordo del palco. "I padri fondatori dell’America perseguivano un’utopia spiritualmente illuminata nella quale libertà di pensiero, educazione delle masse e progresso scientifico avrebbero rimpiazzato l’oscurantismo delle superstizioni religiose ormai datate."

Una ragazza bionda nelle ultime file alzò la mano.

"Sì?"

"Professore" disse la giovane tenendo in alto il cellulare "ho cercato il suo nome in internet, e su Wikipedia c’è scritto che lei è un illustre massone."

Solomon mostrò il suo anello massonico. "Avrei potuto risparmiarle il costo del collegamento."

Gli studenti si misero a ridere.

"Sì, be’" insistette la ragazza, più titubante "lei ha appena accennato alle ’superstizioni religiose datate’, però mi sembra che se c’è qualcuno responsabile di diffondere superstizioni datate, questi sono proprio i massoni."

Solomon non parve turbato da quell’osservazione. "Ah, sì? E in che modo?"

"Be’, ho letto molto sulla massoneria e so che avete un sacco di strani rituali e credenze. C’è addirittura un articolo online dove si dice che i massoni credono nel potere di un qualche antico sapere magico… che può elevare gli uomini al rango di dèi."

Tutti si girarono a guardare la ragazza come se fosse impazzita.

"In effetti" ammise Solomon "lei ha ragione."

Gli studenti tornarono a voltarsi di scatto verso il palco, con gli occhi sgranati.

Solomon soffocò un sorriso. «Il suo articolo offre qualche altra perla di wikisaggezza su questi saperi magici, signorina?»

Adesso la giovane sembrava a disagio, però cominciò lo stesso a citare dal sito web: "Per assicurarsi che di queste straordinarie conoscenze non abusassero persone indegne, i primi adepti le trascrissero in codice… rivestendo quella grande verità con un linguaggio metaforico fatto di simboli, miti e allegorie. Ancora oggi questo sapere criptato ci circonda… nascosto nella nostra mitologia, nell’arte e nei testi occulti di tutte le epoche. Sfortunatamente, l’uomo moderno ha perso la capacità di decifrare questo complesso intreccio di simbolismi… e la grande verità è andata perduta’".

Solomon aspettò. "Tutto qui?"

La ragazza si agitò sulla sedia. "In effetti, ci sarebbe dell’altro."

"Vorrei ben sperare. La prego… vada avanti."

103
{"b":"120908","o":1}