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«Il suo nome è Langdon?» La donna sembrava sorpresa. «Qui c’è una persona che chiede di lei.»

Cosa? «Scusi, chi parla?»

«Sono l’agente Paige Montgomery della Preferred Security.» La donna aveva una voce tremante. «Forse lei può aiutarci. Circa un’ora fa la mia collega ha risposto a una chiamata del 911… una persona tenuta in ostaggio a Kalorama Heights. Non sono più riuscita a mettermi in contatto con lei, così ho chiamato rinforzi e sono venuta a controllare di persona. Abbiamo trovato la collega morta in giardino. Il proprietario non c’era e abbiamo forzato la porta. Un cellulare stava squillando, sul tavolo, e io…»

«Lei è all’interno della casa?» chiese Langdon.

«Sì, e la segnalazione al 911 era… attendibile» farfugliò la donna. «Scusi, sono un po’ sconvolta, ma la mia collega è morta e abbiamo trovato un uomo trattenuto qui contro la sua volontà. È malridotto e ci stiamo occupando di lui. Continua a chiedere di due persone… un certo Langdon e una certa Katherine.»

«È mio fratello!» esclamò Katherine, premendo la testa contro quella di Langdon. «Sono stata io a chiamare il 911! Sta bene?»

«Veramente, signora, è…» La voce della donna si incrinò. «Non sta bene. È senza una mano e…»

«La prego» insistette Katherine. «Voglio parlargli!»

«In questo momento si stanno occupando di lui. Alterna stati di lucidità a stati d’incoscienza. Ma se lei si trova in zona, farebbe meglio a venire…»

«Siamo a pochi minuti di macchina» disse Katherine.

«Allora le suggerisco di fare in fretta.» Si udì un rumore soffocato in sottofondo. «Mi scusi, hanno bisogno di me. Parleremo quando sarà qui.»

La telefonata si interruppe.

91

All’interno del Cathedral College, Langdon e Katherine si precipitarono su per le scale verso l’uscita. Non si sentiva più il rumore dell’elicottero sopra di loro e Langdon sperava che potessero abbandonare l’edificio senza essere visti per andare subito da Peter a Kalorama Heights.

L’hanno trovato. È vivo.

Appena dopo aver parlato con l’agente del servizio di vigilanza, Katherine era corsa a togliere la piramide e la cuspide dall’acqua. Erano ancora gocciolanti quando le aveva infilate nella borsa di Langdon. Adesso lui sentiva il calore che si irradiava attraverso la pelle.

L’eccitazione per il ritrovamento di Peter aveva per il momento fatto passare in secondo piano qualunque riflessione sul messaggio della cuspide — Otto Franklin Square -, ma per quello ci sarebbe stato tempo dopo.

Mentre svoltavano l’angolo in cima alle scale, Katherine si fermò di colpo indicando una saletta sull’altro lato del corridoio. Attraverso la finestra a bovindo, Langdon vide un elicottero nero affusolato fermo all’esterno. Il pilota era lì accanto e parlava alla radio dando loro le spalle. Parcheggiato vicino c’era anche un SUV Escalade nero con i finestrini oscurati.

Restando nell’ombra, Langdon e Katherine entrarono nella saletta per sbirciare dalla finestra alla ricerca degli altri componenti della squadra. Grazie al cielo, il grande prato davanti alla cattedrale era deserto.

«Devono essere dentro la chiesa» ipotizzò Langdon.

«Sbagliato» disse una voce alle sue spalle.

Langdon e Katherine si voltarono di scatto per vedere chi avesse parlato. Dalla soglia della saletta due figure vestite di nero li tenevano sotto il tiro di fucili dotati di mirini laser. Langdon vide un puntino rosso luminoso danzargli sul petto.

«Che piacere rivederla, professore» continuò la voce roca e familiare. Gli agenti si scostarono e la figura minuscola del direttore Sato scivolò tra loro, puntando dritta verso Langdon e andando a fermarsi a pochi centimetri da lui. «Questa sera, lei ha commesso una serie di errori.»

«La polizia ha trovato Peter Solomon» annunciò Langdon, risoluto. «È conciato male, ma sopravvivrà. È finita.»

Sebbene la notizia del ritrovamento di Peter l’avesse sorpresa, Sato non lo diede a vedere. La sua espressione si mantenne impassibile. «Professore, le assicuro che non è affatto finita. E se ora è coinvolta anche la polizia, la faccenda è diventata ancora più seria. Come le ho detto qualche ora fa, la situazione è estremamente delicata. Lei non sarebbe dovuto fuggire con quella piramide.»

«Signora» la interruppe Katherine «io devo assolutamente vedere mio fratello. Lei può prendersi la piramide, ma deve lasciarci…»

«Devo?» ribatté Sato voltandosi verso Katherine. «La dottoressa Solomon, immagino.» La fissò con occhi di fuoco, poi tornò a girarsi verso Langdon. «Metta la borsa sul tavolo.»

Langdon guardò il puntino luminoso sul petto, poi posò la borsa di pelle sul tavolino. Un agente si avvicinò con circospezione, fece scorrere la cerniera della borsa e l’aprì. Da dentro si levò un soffio di vapore. L’uomo puntò la torcia all’interno, osservò il contenuto con aria sconcertata, poi fece un cenno con il capo in direzione di Sato.

Sato si avvicinò e guardò dentro la borsa. La piramide e la cuspide ancora umide scintillavano alla luce della torcia. La donna si chinò per osservare più da vicino la cuspide d’oro che, Langdon capì, aveva visto soltanto nell’immagine a raggi X eseguita al controllo di sicurezza.

«Questa iscrizione, "Il segreto si cela dentro L’Ordine", signi fica qualcosa per voi?» chiese seccamente Sato.

«Non ne siamo sicuri, signora.»

«Come mai la piramide è calda?»

«L’abbiamo immersa nell’acqua bollente» rispose Katherine senza la minima esitazione. «Era necessario per decifrare il codice. Le diremo tutto ma, la prego, ci lasci andare da mio fratello. Ne ha passate tante…»

«Avete bollito la piramide?» chiese Sato.

«Spenga la torcia» disse Katherine. «Guardi la cuspide. Probabilmente si vede ancora.»

L’agente spense la torcia e Sato si piegò sulle ginocchia davanti alla cuspide. Dal punto in cui si trovava, Langdon vide che l’iscrizione brillava ancora debolmente.

«Otto Franklin Square?» disse Sato meravigliata.

«Sì, signora. Il messaggio era scritto con una lacca o una vernice termosensibile. Il trentatreesimo grado, in realtà, era…»

«E l’indirizzo?» la interruppe Sato. «È questo che vuole quell’uomo?»

«Sì» rispose Langdon. «È convinto che la piramide sia una mappa che gli indicherà la posizione di un grande tesoro, la chiave per svelare gli antichi misteri.»

Sato guardò di nuovo la cuspide con espressione incredula. «Avete già contattato quell’uomo?» chiese con voce venata di paura. «Gli avete rivelato questo indirizzo?»

«Ci abbiamo provato.» Langdon le spiegò cos’era successo quando avevano chiamato il numero di cellulare dell’uomo.

Sato lo ascoltò, passandosi la lingua sui denti ingialliti. Nonostante sembrasse sul punto di esplodere per la rabbia, si voltò verso uno dei suoi agenti e gli ordinò con voce bassa e controllata: «Fatelo entrare. È nel suv».

L’agente annuì e disse qualcosa nella ricetrasmittente.

«Chi deve entrare?» chiese Langdon.

«L’unica persona che può cercare di porre rimedio al maledetto pasticcio che lei ha combinato!»

«Quale pasticcio?» ribatté Langdon. «Ora che Peter è salvo, è tutto a…»

«Cristo santo!» sbottò Sato. «Qui non si tratta di Peter! Ho cercato di spiegarglielo quando eravamo al Campidoglio, professore, ma lei ha preferito lavorare contro di me anziché con me! Ci ha messo in una situazione impossibile! Quando ha distrutto il suo cellulare, che, per la cronaca, noi tenevamo sotto controllo, l e i h a troncato o g n i possibilità d i comunicazione con quell’uomo! E questo indirizzo che avete scoperto, qualunque cosa sia, era la nostra unica chance per catturare quel pazzo. Lei doveva stare al gioco, fornirgli l’indirizzo in modo che noi sapessimo dove diavolo beccarlo!»

Prima che Langdon potesse ribattere, Sato scaricò il resto della sua collera su Katherine.

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