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«Peter!» gridò Katherine.

Lui cercò di parlare, ma gli uscirono solo suoni gutturali e smorzati e Katherine si accorse che era stato legato alla sedia a rotelle e imbavagliato.

L’uomo tatuato allungò una mano e accarezzò delicatamente la testa rasata di Peter. «Ho preparato tuo fratello per un grande evento. Lui ha un ruolo da svolgere questa sera.»

Katherine si irrigidì. No…

«Tra un momento io e Peter ce ne andremo, ma ho pensato che ti avrebbe fatto piacere dirgli addio.»

«Dove lo stai portando?» gli chiese con un filo di voce.

Lui sorrise. «Noi due dobbiamo fare un viaggio alla montagna sacra. È lì che si trova il tesoro. La piramide massonica ha rivelato l’ubicazione. Il tuo amico Langdon è stato molto utile in tal senso. »

Katherine guardò il fratello negli occhi. «Ha ucciso… Robert.»

Sul volto di Peter si dipinse un’espressione angosciata e lui cominciò a scuotere la testa violentemente, come se non riuscisse più a sopportare altro dolore.

«Su, su, Peter» gli disse l’uomo accarezzandogli di nuovo la testa. «Non lasciare che ciò rovini questo momento. Saluta la tua sorellina. Sarà la vostra ultima riunione familiare.»

Katherine si sentì travolgere dalla disperazione. «Perché ci stai facendo questo?» gridò. «Che cosa ti abbiamo fatto? Perché odi così tanto la nostra famiglia?»

L’uomo tatuato le si avvicinò e le parlò con le labbra attaccate all’orecchio. «Ho le mie ragioni, Katherine.» Poi andò al tavolino e prese lo strano coltello. Glielo accostò alla faccia e fece scorrere la lama lucida lungo la sua guancia. «Questo è probabilmente il più famoso coltello della storia.»

Katherine non sapeva niente di coltelli, ma quello sembrava antico e carico di presagi. La lama pareva affilata come un rasoio.

«Non ti preoccupare» le disse. «Non ho intenzione di sprecare il suo potere su di te. Lo riservo a un sacrificio più degno… in un luogo più sacro.» Si rivolse a Peter. «Tu riconosci questo coltello, vero?»

Gli occhi di Peter erano sbarrati per la paura, mescolata all’incredulità.

«Sì, Peter, questo antico manufatto esiste ancora. Entrarne in possesso mi è costato un occhio della testa… e l’ho tenuto in serbo per te. Finalmente noi due possiamo terminare insieme il nostro doloroso viaggio.»

Detto questo, avvolse il coltello con cura in un panno insieme a tutti gli altri suoi oggetti cerimoniali — incenso, fiale contenenti dei liquidi, stoffe di seta bianca… -, che poi infilò nella borsa in pelle di Langdon insieme alla piramide massonica e alla cuspide.

Katherine lo guardò impotente mentre chiudeva la cerniera e tornava a rivolgersi a suo fratello.

«Ti dispiace tenerla tu, Peter?» Gli mise in grembo la pesante borsa.

Poi si avvicinò a un cassetto e cominciò a rovistarci dentro. Katherine sentiva dei piccoli oggetti di metallo che tintinnavano. Quando tornò da lei, le prese il braccio destro tenendoglielo fermo. Katherine non riusciva a vedere che cosa stesse facendo, invece Peter a quanto pareva sì, a giudicare da come aveva cominciato ad agitarsi.

Katherine d’un tratto avvertì un pizzico acuto nell’incavo del braccio e si sentì pervadere da uno strano calore. Peter stava emettendo mugolii incomprensibili e cercava invano di alzarsi dalla pesante sedia a rotelle. Katherine provò una sensazione di freddo intorpidimento che le si diffondeva nell’avambraccio fino ai polpastrelli.

Quando l’uomo tatuato si spostò, lei si rese conto del motivo per cui suo fratello era così inorridito. L’uomo le aveva infilato un ago in vena, come per prelevarle il sangue. L’ago, però, non era collegato a nessun tubicino e il suo sangue scorreva liberamente fuori… colandole lungo il gomito, l’avambraccio e finendo sul tavolo di pietra.

«Una clessidra umana» disse l’uomo tatuato rivolgendosi a Peter. «Fra poco, quando ti chiederò di interpretare il tuo ruolo, voglio che ti immagini Katherine… che muore qui da sola, al buio.»

L’espressione di Peter comunicava tutto il suo tormento.

«Resterà in vita per un’ora, più o meno» gli spiegò. «Se coopererai con me senza tante storie, mi rimarrà abbastanza tempo per tornare a salvarla. Naturalmente, se opporrai resistenza… tua sorella morirà.»

Peter mugugnò qualcosa di incomprensibile attraverso il bavaglio.

«Lo so, lo so che per te è difficile» disse l’uomo tatuato posando una mano sulla spalla di Peter. «Ma in fondo non dovrebbe esserlo poi tanto. Dopotutto, non è la prima volta che abbandoni un membro della tua famiglia.» Fece una pausa, poi si chinò e gli sussurrò all’orecchio: «Ovviamente sto pensando a tuo figlio Zachary, nella prigione di Kartal».

Peter strattonò i legacci ed emise un altro grido, attutito dal bavaglio sulla bocca.

«Smettila!» urlò Katherine.

«Mi ricordo bene quella notte» proseguì l’uomo mentre finiva di raccogliere le cose che gli servivano. «Ho sentito tutto. La guardia ti ha proposto di lasciare libero tuo figlio, invece tu hai preferito dare una bella lezione a Zachary… abbandonandolo. E il tuo ragazzo l’ha imparata la lezione, vero?» L’uomo sorrise. «Morte sua… vita mia.»

Prese poi una pezza di lino e la infilò in profondità nella bocca di Katherine.

«La morte» le sussurrò «dovrebbe essere tranquilla.»

Peter si dibatté violentemente. Senza dire altro, l’uomo tatuato fece indietreggiare la sedia a rotelle e uscì dalla stanza, lasciando che Peter desse una lunga occhiata alla sorella.

Katherine e Peter si fissarono per l’ultima volta, poi lui sparì.

Katherine li udì allontanarsi lungo il corridoio, oltre la porta di metallo. Sentì l’uomo tatuato chiudere a chiave dall’esterno e poi proseguire oltre il quadro delle Tre Grazie. Qualche minuto dopo, udì un motore che si avviava.

Poi il palazzo sprofondò nel silenzio.

Da sola al buio, Katherine rimase sdraiata a dissanguarsi.

108

La mente di Langdon si librava sopra un abisso infinito.

Nessuna luce. Nessun suono. Nessuna sensazione.

Solo un vuoto immenso e silenzioso.

Ovattato.

Senza peso.

Il suo corpo lo aveva abbandonato. Era libero.

Il mondo fisico aveva cessato di esistere, come pure il tempo.

Lui adesso era pura coscienza… un essere senziente incorporeo, sospeso nel nulla del vasto universo.

109

Il Sikorsky passò rasente la distesa di tetti di Kalorama Heights, seguendo le coordinate fornite dalla squadra d’appoggio. L’agente Simkins fu il primo a individuare l’Escalade nero parcheggiato in qualche modo sul prato di fronte a un palazzo. Il cancello del vialetto era chiuso, la casa silenziosa, le luci erano spente.

Sato diede il segnale di scendere.

L’elicottero fece un atterraggio di fortuna sul prato di fronte alla casa, in mezzo ad altri veicoli tra cui una berlina con un lampeggiante sul tettuccio.

Simkins e il resto della squadra scesero con un balzo, armi in pugno, e si precipitarono verso il porticato. Trovarono la porta dell’ingresso principale chiusa, così Simkins appoggiò le mani a coppa sul vetro di una finestra e guardò all’interno. L’atrio era buio, ma lui riuscì a intravedere ugualmente la sagoma indistinta di un corpo a terra.

«Merda» sussurrò. «È Hartmann.»

Uno dei suoi agenti prese una sedia dal porticato e la scagliò contro il bovindo. Il rumore dei vetri infranti si udì appena, sovrastato dal rombo dell’elicottero dietro di loro. Qualche secondo più tardi, erano tutti dentro. Simkins corse nell’atrio e si inginocchiò vicino a Hartmann per sentirgli il polso. Niente. Cera sangue dappertutto. Poi vide il cacciavite piantato nella gola del collega.

Cristo. Si alzò e fece cenno ai suoi uomini di perlustrare la casa.

Gli agenti si sparpagliarono in tutte le stanze del pianterreno, i mirini laser delle armi fendevano il buio della lussuosa abitazione. In soggiorno e nello studio non trovarono niente, ma in sala da pranzo, con grande sorpresa, scoprirono una guardia di sicurezza, una donna, strangolata. Simkins stava rapidamente perdendo ogni speranza di ritrovare vivi Robert Langdon e Katherine Solomon. Era evidente che quel killer brutale aveva teso loro una trappola; se era riuscito a uccidere un agente della CIA e una guardia di sicurezza armata, pareva evidente che un professore e una scienziata non avrebbero avuto alcuna possibilità di cavarsela.

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