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Peter si era passato una mano tra i folti capelli grigi, un gesto nervoso ricorrente che era tipico anche di Katherine. "Mmh… ovviamente una persona morirebbe nel giro di pochissimo tempo."

Lei aveva annuito. "Più o meno in sei minuti, a seconda del ritmo del respiro."

Peter si era voltato a guardarla. "Non capisco."

Katherine aveva sorriso. "Capirai."

Voltando le spalle alla macchina, Katherine aveva preceduto il fratello nella sala controllo e lo aveva fatto sedere davanti alla parete al plasma. Aveva cominciato poi a battere sulla tastiera per richiamare una serie di file video archiviati nei drive olografici. Quando lo schermo si era acceso con un guizzo, le immagini che avevano iniziato a scorrere sotto i loro occhi sembravano riprese fatte con una videocamera amatoriale.

Nel filmato, l’obiettivo faceva una panoramica su una stanza modesta con un letto disfatto, flaconi di medicinali, un respiratore e un monitor cardiaco. Peter era sembrato sempre più perplesso mentre la videocamera terminava la carrellata soffermandosi, più o meno al centro della stanza, sul congegno di Katherine.

Peter aveva sbarrato gli occhi. "Ma che…?"

Il coperchio trasparente della capsula era sollevato e dentro era sdraiato un uomo molto anziano con una mascherina per l’ossigeno. In piedi accanto alla macchina c’erano la moglie, anche lei in là con gli anni, e un’infermiera. Il respiro dell’uomo era difficoltoso e lui aveva gli occhi chiusi.

"L’uomo nella capsula era un mio professore di scienze a Yale" aveva spiegato Katherine. "Ci siamo tenuti in contatto nel corso degli anni. È molto malato ed è sempre stato un suo desiderio donare il proprio corpo alla scienza, così quando gli ho spiegato la mia idea per questo esperimento ha voluto subito prenderne parte."

Peter era ammutolito per lo stupore mentre guardava la scena che si svolgeva davanti ai suoi occhi.

L’infermiera a quel punto si era rivolta alla moglie. "È arrivato il momento. Lui è pronto."

L’anziana donna si era asciugata gli occhi pieni di lacrime e aveva annuito, calma ma decisa: "Va bene".

Con un gesto delicato, l’infermiera aveva allungato una mano nella capsula per togliere la mascherina all’uomo, che si era agitato un attimo, senza aprire gli occhi. Poi l’infermiera aveva spostato da un lato il respiratore e gli altri macchinari, lasciando l’anziano nella capsula totalmente isolato al centro della stanza.

La moglie si era avvicinata al marito in fin di vita, si era chinata e gli aveva baciato delicatamente la fronte. Lui, senza aprire gli occhi, aveva mosso le labbra, in un accenno di sorriso affettuoso.

Senza la mascherina per l’ossigeno, il respiro dell’uomo si era fatto rapidamente più difficoltoso. Era chiaro che la fine era vicina. Con una forza e una calma ammirevoli, la moglie aveva abbassato lentamente il coperchio trasparente della capsula per sigillarla, esattamente come le aveva spiegato Katherine.

Peter si era agitato sulla sedia, preoccupato. "Per l’amor di Dio, Katherine… cosa…?"

"È tutto sotto controllo" gli aveva sussurrato lei. "C’è aria a sufficienza nella capsula." Aveva visto quel video decine di volte, ormai, ma le faceva ancora accelerare il battito cardiaco. Aveva indicato la bilancia sotto la capsula con dentro l’uomo morente. I numeri digitali segnavano:

51,4534644 kg

"Quello è il peso corporeo" aveva detto Katherine.

Il respiro dell’uomo diventava più superficiale, e Peter si era sporto in avanti, impietrito.

"È quello che desiderava lui" aveva sussurrato Katherine. "Guarda cosa succede."

La moglie nel frattempo aveva fatto un passo indietro, si era seduta sul letto e lo guardava in silenzio insieme all’infermiera.

Nel corso dei sessanta secondi successivi, il ritmo della respirazione superficiale dell’anziano professore aveva accelerato; poi, a un tratto, come se lui stesso avesse scelto il momento, l’uomo aveva esalato l’ultimo respiro. Tutto si era fermato.

Era finita.

La moglie e l’infermiera si consolavano sottovoce a vicenda.

Non succedeva nient’altro.

Dopo qualche secondo, Peter aveva guardato Katherine con un’espressione chiaramente confusa.

Aspetta, aveva pensato lei invitandolo a fissare di nuovo il display digitale della capsula, ancora acceso a indicare il peso dell’uomo appena morto.

E poi era successo.

Quando Peter se n’era accorto, aveva fatto un balzo all’indietro, cadendo quasi dalla sedia. "Ma… quello è…" Si era coperto la bocca scioccato. "Non posso…"

Succedeva raramente che il grande Peter Solomon rimanesse senza parole. Anche Katherine aveva avuto la stessa reazione la prima volta che aveva visto quello che era accaduto.

Qualche istante dopo la morte dell’uomo, i numeri sulla bilancia erano cambiati. Lui era diventato più leggero subito dopo avere esalato l’ultimo respiro. La variazione di peso era minima, ma misurabile… e le implicazioni erano decisamente inconcepibili.

Katherine si ricordava che, mentre guardava il video nel laboratorio, aveva scritto i suoi appunti con mano tremante: "Sembra esserci un ’materiale’ invisibile che esce dal corpo umano al momento della morte. Ha massa quantificabile, non ostacolata da barriere fisiche. Devo ipotizzare che si muova in una dimensione che non riesco ancora a percepire".

Dall’espressione scioccata sul volto del fratello, Katherine aveva capito che anche lui comprendeva il significato di ciò che aveva visto. "Katherine…" aveva balbettato sbarrando gli occhi grigi come per sincerarsi di non sognare. "Penso che tu abbia appena pesato l’anima umana."

C’era stato un lungo silenzio.

Katherine avvertiva che Peter stava cercando di elaborare tutte le implicazioni gravi e meravigliose. Ci vorrà tempo. Se ciò a cui avevano assistito era davvero ciò che sembrava — e cioè la prova che l’anima, o la coscienza, o la forza vitale, potesse esistere oltre i limiti del corpo -, allora si era appena gettata una nuova luce sorprendente su innumerevoli questioni mistiche: la trasmigrazione, la coscienza cosmica, le esperienze ai confini della morte e quelle extracorporee, l’osservazione a distanza, il sogno lucido e così via. Le riviste di medicina erano piene di storie di pazienti che erano morti sul tavolo operatorio, avevano visto il proprio corpo dall’alto e poi erano stati riportati in vita.

Peter era silenzioso, e in quel momento Katherine si era accorta che aveva le lacrime agli occhi. Lo capiva: anche lei aveva pianto. Peter e Katherine avevano perso delle persone care e, per chiunque in quella situazione, il minimo accenno alla possibilità che lo spirito umano continuasse a vivere dopo la morte portava un barlume di speranza.

Sta pensando a Zachary, si era detta Katherine riconoscendo la profonda malinconia negli occhi di suo fratello. Per anni Peter aveva sopportato il fardello di avere la responsabilità della morte di suo figlio. Aveva confessato a Katherine innumerevoli volte che lasciare Zachary in prigione era stato il peggiore errore che avesse fatto in vita sua e che non sarebbe mai riuscito a perdonarsi.

Una porta che sbatteva attirò l’attenzione di Katherine e di colpo lei si ritrovò di nuovo nello scantinato, sdraiata su un freddo tavolo di pietra. La porta metallica in cima alla rampa si era chiusa rumorosamente e l’uomo tatuato stava scendendo. Lo sentì entrare in una stanza lungo il corridoio, armeggiare là dentro e poi continuare verso quella in cui si trovava lei. Quando lo vide, si accorse che stava spingendo qualcosa davanti a sé. Qualcosa di pesante… su ruote. Lo guardò sbalordita. L’uomo tatuato stava spingendo una persona su una sedia a rotelle.

Razionalmente il cervello di Katherine riconobbe quella persona, ma dal punto di visto emotivo la sua mente non riusciva ad accettarlo.

Peter?

Non sapeva se essere felice che suo fratello fosse vivo… oppure inorridita. Il corpo di Peter era stato completamente rasato. I suoi folti capelli grigi non c’erano più, come pure le sopracciglia, e la pelle glabra luccicava quasi fosse stata spalmata d’olio. Indossava una veste di seta nera e, nel punto dove si sarebbe dovuta trovare la sua mano destra, c’era soltanto un moncherino, fasciato in un bendaggio appena rifatto. Gli occhi addolorati di Peter cercarono quelli della sorella, pieni di rammarico e dispiacere.

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