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Poi accadde.

Senza alcun preavviso, l’universo fu spezzato in due. Un enorme baratro si aprì nel vuoto… come se lo spazio stesso si fosse strappato nelle cuciture. Una nebbia grigiastra si riversò dall’oblò e Langdon ebbe una visione terribile: mani che non sapeva a chi appartenessero si allungarono verso di lui e lo afferrarono, cercando di tirarlo fuori dal suo mondo.

No! Tentò di opporre resistenza, ma non aveva braccia… non aveva pugni. Oppure sì? All’improvviso sentì il proprio corpo materializzarsi intorno alla mente. La carne era tornata e in quel momento veniva afferrata da mani forti che lo sollevavano verso l’alto. No, per favore!

Ma ormai era troppo tardi.

Il dolore gli oppresse il petto mentre lo tiravano fuori dall’apertura. Gli sembrava di avere i polmoni pieni di sabbia. Non riesco a respirare! Subito dopo si ritrovò supino sulla superficie più fredda e più dura che potesse immaginare. Qualcosa gli faceva pressione sul petto, sempre più forte, pesante e doloroso. Stava sputando fuori il calore.

Voglio tornare là dentro.

Si sentiva come un bambino appena uscito dall’utero materno.

Aveva le convulsioni e tossendo espelleva del liquido. Il petto e il collo continuavano a fargli male, un dolore folle. Aveva la gola in fiamme. Le persone intorno a lui parlavano a bassa voce, eppure facevano un rumore assordante. Aveva la vista appannata, e tutto ciò che riusciva a scorgere erano sagome confuse. La pelle era insensibile come cuoio.

Avvertiva una sensazione sempre più opprimente al petto… una forte pressione. Non respiro!

Tossendo buttò fuori ancora un po’ di liquido e un insopprimibile riflesso faringeo lo indusse a prendere fiato. L’aria fredda gli si riversò nei polmoni e lui si sentì come un bambino appena nato che inala il suo primo respiro sulla terra. Questo mondo era atroce. Langdon desiderava solo tornare nell’utero.

Non aveva idea dì quanto tempo fosse passato. Si rendeva conto di essere sdraiato su un fianco, su una superficie dura, avvolto in asciugamani e coperte. Un viso familiare lo stava fissando dall’alto… ma i raggi di luce gloriosa non c’erano più. Nella sua testa sentiva ancora l’eco di quei canti lontani.

Verbum significatium… Verbum omnificum…

«Professor Langdon?» gli sussurrò una voce. «Sa dove si trova?»

Langdon annuì piano, ancora tossendo.

Cosa ancora più importante, cominciava a capire ciò che stava succedendo quella sera.

113

Infagottato nelle coperte di lana, Langdon era in piedi, con le gambe che gli tremavano, e guardava la vasca aperta piena di liquido. Aveva ritrovato il suo corpo, anche se desiderava che così non fosse. Gli bruciavano la gola e i polmoni. Questo mondo gli sembrava duro e crudele.

Sato aveva appena finito di spiegargli il funzionamento delle vasche di deprivazione sensoriale… e aveva aggiunto che, se lei non lo avesse tirato fuori, sarebbe morto di inedia o peggio. Langdon era quasi sicuro che anche Peter avesse dovuto sopportare una simile esperienza. Il signor Solomon non è né di qua né di là, gli aveva detto l’uomo tatuato quella sera. E’ in purgatorio… l’Hamistagan. Nel caso fosse stato costretto a subire più di uno di quei processi di rinascita, Langdon non si sarebbe sorpreso se Peter avesse rivelato al suo carceriere tutto quello che voleva sapere.

Sato fece un cenno a Langdon di seguirla e lui obbedì, trascinandosi lentamente giù per uno stretto corridoio e addentrandosi in quella tana bizzarra che vedeva ora per la prima volta. Entrarono in una stanza quadrata con un tavolo di pietra e un’illuminazione spettrale. Katherine era lì, e Langdon tirò un sospiro di sollievo. Malgrado ciò, la scena che aveva davanti era spaventosa.

II pavimento era coperto di asciugamani inzuppati di sangue e un agente della CIA reggeva in alto una flebo collegata al braccio di Katherine, distesa supina sul tavolo.

Lei singhiozzava sommessamente

«Katherine!» esclamò Langdon con voce strozzata, facendo fatica a parlare.

Lei voltò la testa, sul viso un’espressione disorientata e confusa. «Robert?» Sgranò gli occhi per l’incredulità e la gioia. «Ma io… ti ho visto annegare!»

Lui si avvicinò al tavolo.

Katherine si sollevò a sedere, incurante della flebo e delle proteste dell’agente. Allungò le braccia e strinse forte il corpo di Robert ancora avvolto nelle coperte. «Grazie a Dio sei vivo» gli sussurrò, baciandogli la guancia. Poi gli diede un altro bacio, stringendolo come se non riuscisse a credere che fosse reale. «Io non capisco… come…?»

Sato cominciò a dire qualcosa a proposito di vasche di deprivazione sensoriale e fluorocarbonio ossigenato, ma era evidente che Katherine non la stava ascoltando. Era tutta concentrata ad abbracciare Langdon.

«Robert» gli disse poi «Peter è vivo.» Con voce tremante gli raccontò il terribile incontro con suo fratello. Gli descrisse le sue condizioni fisiche, la sedia a rotelle, lo strano coltello, l’allusione a un "sacrificio", e come quell’uomo l’avesse lasciata lì a dissanguarsi, una clessidra umana per convincere Peter a decidersi a collaborare in fretta.

Langdon non riusciva quasi a parlare. «Hai idea… di dove… siano andati?»

«Ha detto che portava Peter alla montagna sacra.»

Langdon si sciolse dall’abbraccio e la guardò.

Katherine aveva gli occhi pieni di lacrime. «Ha detto di essere riuscito a decifrare la griglia sulla base della piramide, che indicava di andare alla montagna sacra.»

«Professore» lo incalzò Sato «ha qualche significato per lei?»

Langdon scosse la testa. «Nessuno.» Ciò nonostante, sentì risorgere la speranza. «Però, se lui ha trovato quell’informazione sulla base della piramide, possiamo scoprirla anche noi.» Gli ho spiegato io come risolverla.

Questa volta fu Sato a scuotere la testa. «La piramide è andata. Abbiamo controllato: se l’è portata via.»

Langdon rimase qualche secondo in silenzio, poi chiuse gli occhi e cercò di ricordare quello che aveva visto sulla base. La griglia di simboli era stata una delle ultime immagini che aveva osservato prima di "annegare", e le esperienze traumatiche incidono a fondo i ricordi nella memoria. Riusciva a visualizzare alcuni particolari della griglia, anche se non tutti, ma potevano bastare…

Si rivolse a Sato e le disse d’un fiato: «Forse mi ricordo abbastanza, ma ho bisogno che lei cerchi una cosa in internet».

Sato tirò fuori il suo BlackBerry.

«Faccia una ricerca con "quadrato di Franklin di ordine otto".»

Sato gli lanciò un’occhiata perplessa, ma cominciò a digitare senza fare domande.

Langdon aveva la vista ancora un po’ annebbiata e cominciava solo in quel momento a capire in che strano posto si trovasse. Si rese conto che il tavolo di pietra al quale si appoggiava era coperto di macchie di sangue coagulato e che la parete alla sua destra era interamente rivestita di pagine scritte, fotografie, disegni, cartine, con una gigantesca ragnatela di fili che li collegavano.

Mio Dio.

Si avvicinò allo strano collage, tenendosi sempre ben strette le coperte intorno al corpo. Fissata al muro c’era una strampalata raccolta di informazioni: pagine di testi antichi che andavano dalla magia nera alle Sacre Scritture, disegni di simboli e sigilli, stampate di siti sulla teoria del complotto e foto satellitari di Washington scarabocchiate con annotazioni e punti di domanda. Su un foglio c’era un lungo elenco di parole in diverse lingue. Ne riconobbe alcune: parole sacre massoniche, altre appartenenti ad antiche formule magiche, altre ancora tratte da incantesimi rituali.

È questo che sta cercando?

Una parola?

Tutto qui?

L’inveterato scetticismo di Langdon riguardo alla piramide massonica si basava in gran parte su ciò che questa, in teoria, avrebbe dovuto rivelare: l’ubicazione degli antichi misteri. La scoperta avrebbe comportato il ritrovamento di un enorme antro pieno di migliaia e migliaia di volumi, in qualche modo sopravvissuti alle antiche biblioteche perdute da tempo di cui una volta facevano parte. Un antro così grande? Sotto Washington? Ora, però, il ricordo della conferenza di Peter alla Phillips Exeter, corroborato da quella lista di parole magiche, gli aveva fatto intravedere un’altra possibilità sorprendente.

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