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Langdon aprì la bocca per dire qualcosa, ma gli mancarono le parole. Sentì il fiato uscirgli dai polmoni, colpito da una nuova rivelazione.

Semplice. Pura. Devastante.

Mio Dio. Tornò a guardare la piramide tronca sul tavolino. Il suo vertice era piatto — una piccola area quadrata -, uno spazio vuoto che attendeva simbolicamente il suo coronamento finale… il pezzo che l’avrebbe trasformata da una piramide incompiuta in una vera piramide.

Solo allora Langdon comprese che quella nella sua borsa non era affatto una piramide. E’una cuspide. E in quell’istante capì perché solo lui poteva svelare i misteri di quella piramide.

Sono io a possedere il pezzo finale.

Ed è davvero… un talismano.

Quando Peter aveva detto a Langdon che il pacchetto conteneva un talismano, lui si era messo a ridere. Ora invece si rese conto che il suo amico aveva ragione. Quella piccola cuspide era proprio un talismano, non nel senso magico del termine… ma nel significato più antico. Molto prima che il termine "talismano" assumesse una connotazione magica, aveva un’altra accezione: "completamento". Derivato dalla parola greca telesma, che vuol dire "completo", un talismano era un oggetto, o un’idea, che ne completava un altro e gli conferiva la sua integrità. L’elemento finale. Una cuspide, simbolicamente parlando, era il talismano supremo, il coronamento che trasformava la piramide incompiuta nell’emblema della perfezione.

In quel momento Langdon avvertì una misteriosa convergenza che lo costringeva ad accettare una singolare verità: a parte le sue dimensioni, la piramide di pietra nel gabinetto di riflessione di Peter sembrava trasformarsi a poco a poco in qualcosa di vagamente rassomigliante alla piramide massonica della leggenda.

Dalla luminosità che la cuspide emanava ai raggi X, Langdon sospettò che fosse fatta di metallo… un metallo molto denso. Non aveva modo di sapere se fosse o no d’oro massiccio, e non aveva alcuna intenzione di permettere che la sua mente gli giocasse dei brutti scherzi. Questa piramide è troppo piccola. Il codice è troppo facile da leggere. E poi… si tratta di un mito, per amor del cielo!

Sato lo stava osservando. «Per essere un uomo intelligente, professore, lei ha preso qualche decisione stupida stasera. Mentire a un direttore dei servizi di intelligence? Ostacolare intenzionalmente un’indagine della CIA?»

«Posso spiegarle, se me lo consente.»

«Ci spiegherà tutto al quartier generale. Per il momento, la trattengo in stato di fermo.»

Langdon si irrigidì. «Non starà parlando sul serio.»

«Sono serissima. Le avevo detto chiaro e tondo che la posta in gioco questa sera era alta, e lei ha scelto di non cooperare. Le suggerisco caldamente di cominciare ad abituarsi all’idea di spiegare l’iscrizione su questa piramide, perché quando arriveremo alla cia…» Sollevò il BlackBerry e scattò una foto da vicino all’incisione sulla piramide di pietra. «… I miei analisti avranno già un bel vantaggio.»

Langdon aprì la bocca per protestare, ma Sato si stava già rivolgendo a Anderson, ancora sulla soglia. «Prenda la borsa di Langdon» gli disse «e ci metta dentro anche la piramide. Io mi occuperò di trattenere il signore in stato di fermo. La sua pistola, grazie.»

Anderson avanzò nella stanza con espressione impassibile, slacciando nel frattempo la fondina. Porse la pistola a Sato, che la puntò immediatamente contro Langdon.

Langdon osservava la scena come se fosse un sogno.

Non può essere vero.

Anderson poi gli si avvicinò, gli sfilò la borsa dalla spalla e l’appoggiò sul tavolo. Aprì la cerniera, prese la pesante piramide di pietra e la infilò dentro, insieme agli appunti di Langdon e al pacchetto.

All’improvviso si udirono un fruscio e dei movimenti in corridoio, e sulla soglia si materializzò la sagoma scura di un uomo che irruppe nella stanza. Il capo della sicurezza non si accorse nemmeno del suo arrivo. In un attimo lo sconosciuto aveva abbassato la spalla e si era lanciato contro la schiena di Anderson, che fu scagliato in avanti andando a sbattere la testa contro lo spigolo della nicchia nel muro. Cadde di schianto abbattendosi sul tavolo e facendo volare tutto intorno ossa e oggetti. La clessidra andò in frantumi e la candela si rovesciò sul pavimento, pur continuando a bruciare.

Sato rimase un attimo sotto shock in mezzo a quel caos, sempre con la pistola puntata, ma l’intruso afferrò un femore e iniziò a menare colpi alla cieca, colpendola alla spalla. Lei si lasciò sfuggire un grido e indietreggiò, facendo cadere la pistola, che il nuovo arrivato allontanò con un calcio. Questi si voltò poi verso Langdon; era alto e magro, un afroamericano elegante che Langdon non aveva mai visto in vita sua.

«Prenda la piramide!» gli ordinò l’uomo. «Presto, mi segua!»

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L’afroamericano che guidava Langdon attraverso i meandri sotterranei del Campidoglio era chiaramente un uomo di potere. Oltre a sapersi orientare nel labirinto di corridoi secondari e stanze nascoste, lo sconosciuto aveva anche un mazzo di chiavi che sembrava aprire tutte le porte che bloccavano il loro cammino.

Langdon lo seguì, inerpicandosi veloce su per una scala che non aveva sceso all’andata. Mentre salivano, sentiva la cinghia di pelle della borsa che gli segava la spalla. La piramide di pietra era così pesante che temeva potesse romperla.

I pochi minuti appena trascorsi sfidavano ogni logica, e ormai Langdon si rese conto di agire solo obbedendo all’istinto. E il suo istinto gli diceva di fidarsi dello sconosciuto. Oltre a salvarlo da Sato, che l’avrebbe arrestato, quell’uomo aveva corso rischi incredibili per proteggere il misterioso oggetto di Peter Solomon. Qualunque cosa sia quella piramide. Benché il suo movente rimanesse oscuro, sulla mano dell’uomo Langdon aveva intravisto uno scintillio d’oro rivelatore: un anello massonico con la fenice a due teste e il numero 33. Quell’uomo e Peter Solomon erano più che amici fidati. Erano fratelli massoni del grado più alto.

Langdon lo seguì fino in cima alle scale, in un altro corridoio e poi, attraverso una porta senza alcuna indicazione, in un passaggio secondario, correndo accanto a scatoloni di scorte e sacchi di spazzatura. Poi svoltarono bruscamente e varcarono una porta di servizio che dava accesso a un mondo del tutto inaspettato: una specie di cinema di lusso. L’uomo più anziano

lo precedette lungo un corridoio laterale che passava tra due file di poltrone e lo guidò fuori attraverso l’ingresso principale fino a un grande atrio luminoso. Langdon si rese conto in quel momento che si trovavano nel centro visitatori nel quale lui era entrato solo un paio di ore prima.

Sfortunatamente, lì c’era anche un agente della polizia del Campidoglio.

Giunti faccia a faccia, i tre uomini si fermarono e rimasero a fissarsi. Langdon riconobbe il giovane ispanico che aveva passato ai raggi X la sua borsa quella sera.

«Agente Nunez» disse l’afroamericano «non una parola. Mi segua.»

L’agente parve a disagio ma obbedì senza protestare.

Ma chi è questo tizio?

Tutti e tre corsero verso l’angolo sudovest del centro visitatori e arrivarono a un piccolo foyer con una serie di pesanti porte davanti alle quali c’erano dei birilli arancioni a bloccare l’ingresso. Le porte erano sigillate con del nastro adesivo, apparentemente per proteggere il centro visitatori dalla polvere di qualsiasi lavoro si stesse facendo al di là. L’uomo staccò il nastro da una delle porte, poi fece passare le chiavi del suo mazzo a una a una mentre parlava con l’agente. «Il nostro amico Anderson, il tuo capo, è nel sotterraneo. Potrebbe essere ferito. Sarà meglio che tu vada a dargli un’occhiata.»

«Sì, signore.» Nunez sembrava perplesso oltre che allarmato.

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