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Il Cubo.

Il laboratorio di Katherine Solomon.

La fiamma correva in linea retta verso la porta del laboratorio. L’uomo si alzò faticosamente in piedi, intuendo che la striscia di olio con ogni probabilità proseguiva oltre la porta e arrivava all’interno… Il laboratorio stava per andare a fuoco. Si voltò, preparandosi a correre fuori per cercare aiuto, ma un fortissimo risucchio d’aria lo bloccò sui suoi passi.

Per una frazione di secondo, il modulo 5 risplendette di luce.

La guardia non riuscì a vedere la palla di fuoco che saliva verso l’alto distruggendo il tetto della costruzione e innalzandosi per decine di metri nel buio. Non riuscì più a vedere nemmeno la pioggia di frammenti di rete di titanio, apparecchiature elettroniche e silicio fuso che proveniva dalle unità olografiche.

Katherine Solomon viaggiava in direzione nord quando vide l’improvviso lampo di luce nello specchietto retrovisore. Un terribile boato echeggiò nella notte, facendole fare un salto sul sedile.

Fuochi d’artificio? pensò. Nell’intervallo della partita dei Redskins?

Si concentrò di nuovo sulla strada e ripensò alla chiamata che aveva fatto al 911 dal telefono pubblico della stazione di servizio deserta.

Era riuscita a convincere l’operatrice a mandare la polizia all’SMSC alla ricerca di un uomo tatuato che vi si era introdotto abusivamente e della sua assistente Trish Durine. Sperava proprio che la trovassero. Aveva inoltre chiesto di inviare una pattuglia a casa del dottor Abaddon a Kalorama Heights, dove riteneva che suo fratello fosse tenuto prigioniero.purtroppo non era riuscita a rintracciare il numero di cellulare di Langdon. Decise di raggiungerlo alla Biblioteca del Congresso, dove lui le aveva detto di essere diretto.

La scoperta della vera identità del dottor A b a d d o n cambiava tutto. Katherine non sapeva più cosa pensare. L’unica cosa certa era che l’assassino di sua madre e di suo nipote aveva rapito suo fratello e aveva cercato di ucciderla. Chi è? Cosa vuole? L’unica risposta che le veniva in mente era assurda. Tutto questo per una piramide? Non capiva nemmeno perché quella sera l’uomo fosse andato al laboratorio. Perché non l’aveva uccisa a casa sua quel pomeriggio, se proprio voleva eliminarla? Perché le aveva mandato quell’SMS e aveva corso il rischio di farsi prendere dalle guardie?

I fuochi d’artificio erano stranamente sempre più luminosi: dopo il primo botto, oltre gli alberi era apparsa una palla di fuoco arancione. Che stranezza… C’era anche una nuvola di fumo nero… E lo stadio in cui giocavano i Redskins era da tutt’altra parte. Sbigottita, rifletté su cosa c’era dietro quegli alberi, a sudest della Suitland Parkway.

In quel momento, capì. E fu come se le fosse passato sopra un autotreno.

55

Warren Bellamy premeva furiosamente i tasti del cellulare, cercando di mettersi in contatto con la persona che avrebbe potuto aiutarli.

Langdon lo guardava, ma i suoi pensieri erano concentrati su Peter e sullo sforzo di capire quale fosse il modo migliore per trovarlo. Mi chiami non appena avrà decifrato la mappa, gli aveva detto il rapitore. Andremo insieme al nascondiglio e faremo il nostro scambio.

Bellamy abbassò il telefonino, affranto: ancora nessuna risposta.

«C’è una cosa che non capisco» disse Langdon. «Anche ammettendo che questa sapienza nascosta esista davvero e che la piramide ci indichi dove è sepolta, cosa devo cercare? Un bunker? Una cripta?»

Bellamy rimase seduto in silenzio per qualche momento, poi fece un sospiro e cominciò a parlare, il più cautamente possibile. «A quanto mi risulta, la piramide dovrebbe guidare a una scala a chiocciola, Robert.»

«Una scala a chiocciola? »

«Sì. Che scende per decine e decine di metri.»

Langdon non riusciva a credere alle proprie orecchie. Si protese in avanti.

«L’antica sapienza sarebbe sepolta lì» aggiunse Bellamy.

Langdon si alzò in piedi e cominciò a passeggiare. Una scala a chiocciola che scende nel sottosuolo di Washington per decine e decine di metri? «E nessuno l’ha mai vista.»

«Si dice che l’ingresso sia protetto da una grande pietra.»

Langdon fece un sospiro. L’immagine di un luogo sotterraneo chiuso da un masso si trovava già nei Vangeli, in relazione al sepolcro di Cristo. Un tipico ibrido archetipo. «Warren, tu credi che questa scala segreta esista sul serio?»

«Io non l’ho mai vista, ma alcuni massoni più vecchi di me giurano che c’è davvero. Sto cercando di contattare proprio uno di loro.»

Non sapendo che cosa dire, Langdon continuò a camminare avanti e indietro.

«Robert, stai rendendo il mio compito ancora più difficile.» Lo sguardo di Bellamy si inasprì. «Io non posso convincere il mio prossimo a credere qualcosa a cui non vuole credere, ma spero che tu ti renda conto delle responsabilità che hai nei confronti di Peter Solomon.»

Sì, ho il dovere di aiutarlo, pensò Langdon.

«Non è indispensabile che tu creda al potere che questa piramide è in grado di svelare, né all’esistenza di una scala a chiocciola che scende fino a chissà dove. Però è indispensabile che tu ti renda conto di avere l’obbligo morale di proteggere questo segreto… qualunque esso sia.» Gli indicò il pacchetto sigillato. «Peter ti ha affidato la cuspide perché si fidava di te e sapeva che gli avresti obbedito, mantenendo il segreto. Ed è questo che devi fare, a costo di sacrificare la vita.»

Langdon si fermò di colpo e si voltò verso di lui. «Che cosa?»

Bellamy rimase seduto. La sua espressione era addolorata, ma risoluta. «Peter vorrebbe così, Robert. Devi dimenticarti di lui. Ormai non c’è più. Ha svolto il suo compito, ha protetto la piramide meglio che poteva. Ora tocca a noi far sì che i suoi sforzi non siano stati vani.»

«Non posso credere che tu mi stia dicendo di abbandonare Peter» esclamò Langdon, furioso. «Anche se questa piramide fosse l’oggetto portentoso che vagheggi, Peter è uno dei tuoi fratelli. Non hai giurato di proteggere i tuoi fratelli prima di Qualsiasi altra cosa, patria compresa?»

«No, Robert. Per un massone i fratelli vengono prima di tutto, a parte il grande segreto che la fratellanza custodisce per l’umanità. Non ha importanza se io credo o no che questa sapienza Perduta abbia il potenziale che la storia lascia intendere, ma ho fatto voto di tenerla lontana da chi non ne è degno. Non lascerò che qualcuno se ne impossessi… neppure in cambio della vita di Peter Solomon.»

«Conosco molti massoni, anche di grado elevato» protestò Langdon. «E sono sicurissimo che non hanno giurato di dare la vita per una piramide di pietra. Sono sicurissimo anche che nessuno di loro crede all’esistenza di una scala a chiocciola che porta a un tesoro sepolto nelle viscere di Washington.»

«Ci sono cerchie all’interno di altre cerchie, Robert: non tutti sanno tutto.»

Langdon sbuffò, cercando di non perdere la pazienza. Aveva sentito parlare anche lui di logge coperte all’interno della massoneria. Ma che esistessero o no gli sembrava irrilevante, al momento. «Warren, se questa piramide e questa cuspide sono davvero la chiave del più grande segreto della massoneria, perché Peter si sarebbe rivolto a me? Non sono massone, e men che meno faccio parte di una cerchia di eletti.»

«Lo so. Penso che ti abbia scelto proprio per questo. E già successo che qualcuno abbia cercato di impossessarsi della piramide, anche persone entrate nella fratellanza per motivi indegni. Quella di affidarla a un profano è stata una scelta intelligente.»

«Tu sapevi che avevo io la cuspide?» domandò Langdon.

«No. E se Peter avesse mai voluto condividere questa informazione, penso proprio che l’avrebbe svelata solo a una persona.» Prese il telefono e riprovò a chiamare. «Ma finora non sono riuscito a contattarla.» Scattò la segreteria telefonica e Bellamy chiuse la comunicazione. «Ho l’impressione che saremo costretti ad affrontare questa situazione da soli, Robert. Devo prendere una decisione.»

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