Peter era balzato in piedi. "Chi è lei? Come ha fatto a entrare?"
"Ho conosciuto tuo figlio Zachary in prigione. Mi ha detto dov’era nascosta la chiave." Con un sorriso, aveva sollevato una vecchia chiave, mostrando i denti. "Un attimo prima di dargli il colpo di grazia."
Peter era rimasto a bocca aperta.
L’intruso aveva tirato fuori una pistola e gliel’aveva puntata al petto. "Siediti."
Peter si era lasciato cadere sulla poltrona.
Mentre l’uomo si muoveva per la stanza, Katherine era rimasta come paralizzata. Quegli occhi che spuntavano dal passamontagna erano rabbiosi, crudeli.
"Senta, chiunque lei sia, prenda quello che vuole e se ne vada!" Peter aveva parlato a voce alta, per mettere sull’avviso la madre che era in cucina.
L’uomo aveva continuato a tenerlo sotto tiro. "Secondo te cosa voglio, eh?"
"Me lo dica lei" aveva replicato Peter. "Non ho contanti, ma posso…"
Il mostro era scoppiato a ridere. "Non insultarmi: non sono qui per i soldi, ma per un’altra cosa. Quella a cui Zachary avrebbe avuto diritto in quanto discendente dei Solomon." Aveva sogghignato. «Me l’ha detto. So della piramide."
La piramide? Katherine era terrorizzata e confusa. Quale piramide?
Peter aveva mantenuto la propria imperturbabilità. "Non so di cosa parla."
"Non fare il furbo con me! Zachary mi ha detto cosa tieni nella cassaforte dello studio. La voglio. Ora."
"Ignoro cosa le abbia detto Zachary, ma forse straparlava" aveva replicato Peter. "Non so a cosa si riferisce."
"Ah, no?" L’uomo si era girato e aveva puntato la pistola contro Katherine. "Nemmeno adesso?"
Peter era sbiancato. "Mi deve credere. Non ho la minima idea di quello che cerca."
"Mentimi ancora una volta e le sparo" aveva minacciato il bruto, avvicinando la pistola alla faccia di Katherine. Poi aveva aggiunto: "Zachary diceva che tieni più a tua sorella che a tutti i tuoi…".
"Cosa succede qui?" aveva gridato Isabel Solomon. Era entrata nel giardino d’inverno con il Browning Citori di Peter puntandolo al petto dell’intruso. Lo sconosciuto si era voltato verso di lei e l’arzilla settantacinquenne aveva premuto il grilletto. Sotto una pioggia di pallini, l’uomo era arretrato traballando e cominciando a sparare a destra e a manca. Aveva urtato contro una vetrata, mandandola in frantumi, e sfondato la porta, perdendo la pistola.
Peter aveva reagito con grande prontezza e l’aveva raccolta. Katherine era caduta per terra e la madre si era precipitata a soccorrerla. Si era inginocchiata vicino a lei. "Mio Dio! Sei ferita?"
Katherine aveva scosso la testa, ammutolita per lo shock. Al di là della vetrata in frantumi, l’uomo con il passamontagna si era rialzato e si era messo a correre verso il bosco, tenendosi il fianco dolorante. Peter aveva guardato velocemente la madre e la sorella per accertarsi che stessero bene e poi si era lanciato all’inseguimento, con la pistola in pugno.
Isabel aveva preso la mano alla figlia. Tremava. "Grazie al cielo stai bene…" Poi si era staccata da lei. "Ma sanguini! Quanto sangue, Katherine! Allora, sei ferita!"
Anche Katherine aveva visto il sangue. Tanto sangue. Ne era lorda. Ma non sentiva male da nessuna parte.
Isabel aveva cercato di capire in che punto fosse ferita la figlia. "Dove ti fa male? Dimmelo!"
"Non lo so, mamma. Non ho niente…"
Poi Katherine si era accorta da dove veniva tutto quel sangue e aveva avuto un mancamento. "Non sono io, mamma…" Le aveva indicato la camicetta di raso bianca. Cera un piccolo foro sul fianco dal quale sgorgava sangue a fiotti. Isabel aveva abbassato lo sguardo, confusa, e aveva fatto una smorfia di dolore, quasi avesse sentito male solo nel rendersi conto di essere stata ferita.
"Katherine" aveva detto con voce calma, ma con tutta la fragilità dei suoi settantacinque anni. "Dovresti chiamare un’ambulanza."
Katherine era corsa nell’atrio a telefonare. Quando era tornata nel giardino d’inverno aveva trovato la madre riversa in un lago di sangue. Le si era accucciata accanto e l’aveva presa tra le braccia.
Non sapeva quanto tempo fosse passato quando aveva sentito lo sparo nel bosco, in lontananza. Dopo un po’ sulla porta era apparso Peter, con gli occhi stravolti e la pistola ancora in mano. Vedendo la sorella che singhiozzava con la madre esanime tra le braccia, il suo viso si era contorto in una smorfia di dolore. Katherine non avrebbe mai scordato il grido che era echeggiato fra le pareti del giardino d’inverno.
52
Mal’akh sentì i muscoli tendersi mentre tornava di corsa verso la porta del modulo 5, che era rimasta aperta.
Devo entrare nel laboratorio.
La fuga della scienziata era, oltre che un imprevisto, un grosso problema. Katherine Solomon sapeva non solo dove lui abitava, ma anche chi era veramente: l’intruso che era entrato nella villa della sua famiglia dieci anni prima.
Neanche lui si era scordato di quel Natale. Era arrivato a un passo dal mettere le mani sulla piramide, ma il destino lo aveva ostacolato. Non ero ancora pronto. Adesso invece sì. Era più potente, più influente. Aveva sopportato incredibili sofferenze in preparazione del suo ritorno, ma finalmente era certo che il suo destino si sarebbe compiuto quella notte. Prima dell’alba, avrebbe visto morire Katherine Solomon.
Raggiunse il portellone scorrevole del modulo, cercando di convincersi che Katherine non gli era veramente sfuggita: aveva soltanto rimandato l’inevitabile. Entrò e camminò sicuro nel buio finché i suoi piedi trovarono la passatoia. A quel punto girò a destra e si diresse verso il Cubo. Nessuno bussava più alla porta: con ogni probabilità la guardia stava cercando di rimuovere la monetina che Mal’akh aveva infilato nella fessura del lettore per bloccare la serratura.
Quando fu davanti alla porta del Cubo, Mal’akh cercò a tastoni il pannello esterno e vi inserì la chiave magnetica di Trish. digitò il codice identificativo ed entrò. Le luci erano accese. Fece un giro, stupefatto di fronte a quelle attrezzature tanto sofisticate. Non era immune dal potere della tecnologia: anche lui effettuava ricerche nello scantinato di casa sua e la sera prima aveva ottenuto risultati importanti.
Aveva scoperto la Verità.
Le condizioni di Peter Solomon, prigioniero di un limbo, né di qua né di là, gli avevano permesso di svelare i suoi segreti. Gli vedo l’anima. Aveva messo a nudo verità che già immaginava e altre che lo avevano colto del tutto impreparato, come il laboratorio di Katherine e le sue sconcertanti scoperte. La scienza si sta avvicinando… Ma io non posso permettere che illumini la via agli indegni!
Katherine stava usando la scienza moderna per rispondere a interrogativi filosofici sorti nella notte dei tempi. C’è qualcuno che ascolta le nostre preghiere? Esiste la vita dopo la morte? L’uomo ha un’anima? Incredibilmente, lei aveva trovato risposta a tutte queste domande e a molte altre ancora. In maniera scientifica e conclusiva, con metodi inconfutabili. I risultati dei suoi esperimenti avrebbero convinto anche i più scettici. Se tutto questo fosse stato reso pubblico, la consapevolezza umana sarebbe cambiata in maniera irrevocabile. Tutti troveranno la via… Mal’akh aveva un compito da portare a termine prima della propria trasformazione: evitare che questo accadesse.
Trovò l’archivio di cui gli aveva parlato Peter Solomon e guardò le due unità olografiche oltre gli spessi vetri. Proprio come me le ha descritte. Stentava a credere che il contenuto di quei due parallelepipedi potesse cambiare il corso dell’evoluzione umana. Ma la Verità è da sempre il più potente dei catalizzatori.
Senza staccare gli occhi dalle due memorie elettroniche, estrasse la chiave magnetica di Trish e la inserì nell’apposita fessura. Con sua sorpresa, il pannello non si illuminò. Evidentemente, Trish non era autorizzata ad accedere ai drive. Provò allora con la chiave magnetica che aveva trovato nella tasca del camice di Katherine. Questa volta il tastierino si illuminò.