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«Non me l’hanno detta.»

L’agente esitò. «L’uomo ha una tracolla di pelle?»

Omar guardò nello specchietto retrovisore e sgranò gli occhi. «Sì! Non conterrà mica esplosivi o…»

« M i ascolti b e n e » lo interruppe l’agente. «Se farà esattamente quello che le dirò, non correrà nessun pericolo. È chiaro?»

«Sì, signore.»

«Come si chiama?»

«Omar» rispose il tassista cominciando a sudare.

«Mi ascolti, Omar» riprese l’agente con calma. «Lei adesso deve rallentare e proseguire lentamente, in modo che io possa mandarle incontro una squadra. È chiaro?»

«Sì.»

«Il suo taxi è dotato di un interfono per comunicare con i passeggeri?»

«Sì.»

«Bene. Allora adesso le spiego cosa fare.»

74

La cosiddetta Giungla è il pezzo forte dell’USBG — United States Botanic Garden -, l’orto botanico che si trova nei pressi del Campidoglio. Tecnicamente non è una giungla, bensì una foresta pluviale racchiusa in una serra altissima, con tanto di alberi della gomma, piante epifite come il Ficus aurea e, per i turisti più coraggiosi, una passerella di corda che consente di ammirare dall’alto le chiome degli alberi.

Di solito Warren Bellamy trovava rassicuranti il profumo di terra e la nebbiolina prodotta dai vaporizzatori disposti nelle vetrate del soffitto, ma quella sera la Giungla, illuminata soltanto dalla luna, gli parve terrificante. Sudava copiosamente e aveva i crampi alle braccia, legate dietro la schiena.

Inoue Sato gli passeggiava davanti, fumando tranquilla una sigaretta: in quell’ambiente dall’equilibrio così delicato, era l’equivalente di un atto di ecoterrorismo. Al chiarore della luna che entrava dalle vetrate, mescolato al fumo, il suo viso aveva un che di diabolico.

«Così, stasera, quando è arrivato in Campidoglio e ha scoperto che io ero già lì, lei ha preso una decisione» ricapitolò il direttore dell’OS. «Invece di avvertirmi del suo arrivo, è sceso di soppiatto nel sotterraneo, ha aggredito Trent Anderson e la sottoscritta, correndo un grave rischio personale, dopodiché ha aiutato Langdon a scappare con la piramide e la cuspide.» Sato si accarezzò la spalla ancora dolente. «Una strana decisione.»

Una decisione che riprenderei anche adesso, pensò Bellamy. «Dov’è Peter Solomon?» chiese esasperato.

«Lo chiede a me? Perché dovrei saperlo?» ribatté Sato.

«Visto che sa tutto…» replicò Bellamy stizzito, senza neppure tentare di nascondere che la sospettava di essere in qualche modo responsabile di quel pasticcio. «Sapeva di dover venire al Campidoglio. Sapeva dove trovare Robert Langdon. Sapeva anche che nella borsa di Langdon c’era la cuspide. È chiaro che qualcuno le ha dato un sacco di informazioni riservate.»

Sato fece una risatina sarcastica e gli si avvicinò. «Signor Bellamy, è per questo che mi ha aggredito? Pensa che io sia il nemico? Che stia cercando di portarle via la sua tanto amata piramide?» Fece un tiro dalla sigaretta ed esalò il fumo dal naso. «Mi ascolti bene. Nessuno meglio di me si rende conto di quanto sia importante la segretezza. Anch’io, come lei, sono convinta che ci siano informazioni di cui le masse devono essere tenute all’oscuro. Stanotte, tuttavia, sono all’opera forze che temo lei stia sottovalutando. L’uomo che ha rapito Peter Solomon ha un enorme potere… ma è evidente che lei lo ignora. Mi creda, quel tipo è una mina vagante e potrebbe scatenare una serie di eventi capaci di trasformare radicalmente il mondo così come noi lo conosciamo.»

«Non capisco.» Bellamy si agitò sulla panchina. Le braccia gli dolevano.

«Non è indispensabile che lei capisca. Quello che conta è che obbedisca. La mia unica speranza per evitare la catastrofe è collaborare con quest’uomo… e dargli esattamente quello che vuole. Perciò adesso lei telefonerà al professor Langdon e gli dirà di venire qui con la piramide e la relativa cuspide. A quel punto, io gli farò decifrare l’iscrizione sulla piramide, otterrò le informazioni che quest’uomo desidera e gliele darò.»

Le coordinate della scala a chiocciola che porta agli antichi misteri? «Non posso fare una cosa simile. Ho giurato di mantenere il segreto.»

«Non me ne frega niente di quello che ha giurato!» sbottò Sato. «La sbatterò in prigione, la…»

«Le sue minacce sono inutili» ribatté Bellamy in tono di sfida. «Tanto non le dirò niente.»

Sato prese fiato e, con un sibilo terrificante, disse: «Signor Bellamy, lei non ha la minima idea di quello che stiamo rischiando stasera, vero?».

Il silenzio carico di tensione che s e g u ì si protrasse p e r un p o ’ , finché fu rotto dallo squillo di un telefono.

Sato si ficcò la mano in tasca e tirò fuori il BlackBerry. «Mi dica» ringhiò e rimase ad ascoltare attentamente. «Dov’è il taxi adesso? Tra quanto? Okay, portateli all’orto botanico. All’entrata secondaria. E portatemi anche quella stramaledetta piramide. E la sua cuspide, mi raccomando.»

Sato chiuse il telefono e si voltò verso Bellamy con un sorriso trionfante sulle labbra.

«Bene, bene… sembra che presto potrem o fare ameno di lei.»

75

Robert Langdon fissava il vuoto, troppo stanco per chiedere al tassista di accelerare. Anche Katherine, seduta al suo fianco, stava in silenzio. La scoraggiava il fatto di non riuscire a capire che cosa rendesse tanto speciale quella piramide. Avevano nuovamente ricapitolato tutto quello che sapevano riguardo alla piramide, alla cuspide e agli strani eventi di quella serata, eppure non erano ancora in grado di orientarsi con quelle indicazioni.

Jeova sanctus unus? Il segreto si cela dentro L’Ordine?

L’uomo misterioso con cui Langdon aveva parlato al telefono poco prima aveva promesso di dare loro delle risposte, se fossero andati da lui "a Roma, a nord del Tevere". Langdon sapeva che la "nuova Roma" dei padri fondatori era stata ben presto ribattezzata Washington, ma alcune tracce di quel sogno utopistico si erano conservate nel tempo: nel Potomac si riversavano le acque del Tiber Creek, i senatori tuttora si riunivano sotto una copia della cupola di San Pietro, e Vulcano e Minerva continuavano a vegliare sulla fiamma ormai estinta della Rotonda.

A quanto pareva le risposte che stavano cercando li aspettavano a pochi chilometri da lì. Northwest Washington, Massachusetts Avenue. La loro destinazione era un luogo a nord del corso d’acqua che portava il nome del fiume di Roma, il Tiber Creek. Langdon desiderò in cuor suo che il tassista accelerasse un po’.

Tutto a un tratto Katherine fece un salto sul sedile, come se all’improvviso le fosse venuta un’idea. «Oh, mio Dio, Robert!» Si voltò, pallidissima, esitò un attimo e poi disse con foga: «Stiamo andando dalla parte sbagliata!».

«Ma no, è giusto!» ribatté Langdon. «Massachusetts Avenue, direzione…»

«No, volevo dire che stiamo andando nel posto sbagliato!»

Langdon era confuso. Aveva spiegato a Katherine come faceva a sapere qual era il luogo cui si riferiva lo sconosciuto della telefonata. Contiene dieci pietre provenienti dal monte Sinai, una venuta direttamente dal cielo e una che reca le sembianze dell’oscuro padre di Luke. Cera un solo edificio al mondo che corrispondeva a quella descrizione. Ed era esattamente là che li stava portando il taxi.

«Katherine, sono sicuro che il posto è giusto.»

«No!» gridò lei. «Non c’è più bisogno che andiamo lì: ho capito il significato della piramide e della cuspide! So di che cosa si tratta!»

Langdon era esterrefatto. «Lo hai capito?»

«Sì! E dobbiamo andare in Freedom Plaza!»

Langdon non riusciva a capacitarsi. Benché fosse nei paraggi, Freedom Plaza a suo avviso non c’entrava affatto.

«Jeova sanctus unus!» esclamò Katherine. «L’unico vero Dio degli ebrei. Il simbolo sacro degli ebrei è la stella di David, il sigillo di Salomone, ed è un simbolo importante anche per i massoni!» Tirò fuori dal portafoglio una banconota da un dollaro. «Prestami la penna.»

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