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«Una griglia di sedici simboli non assomiglia granché a una mappa.»

«Le apparenze ingannano, professore. Ma, in ogni caso, solo lei ha la capacità di leggere l’iscrizione.»

«Lei si sbaglia» ribatté Langdon, rivedendosi davanti agli occhi quel semplice codice. «Chiunque potrebbe decifrare l’incisione. Non è poi così sofisticata.»

«Ho il sospetto che in quella piramide ci sia molto di più di quello che salta all’occhio. E, comunque, la cuspide ce l’ha lei.»

Langdon visualizzò la piccola cuspide nella sua borsa. Ordine dal caos? Non sapeva più cosa pensare, ma la piramide di pietra nella borsa sembrava diventare più pesante a ogni istante che passava.

Mal’akh si premette il cellulare sull’orecchio, godendosi il suono del respiro ansioso di Langdon all’altro capo. «Ora mi devo occupare di una faccenda importante, professore, e anche lei. Mi chiami non appena avrà decifrato la mappa. Andremo insieme al nascondiglio e faremo il nostro scambio. La vita di Peter… per tutta la sapienza dei secoli.»

«Io non farò un bel niente» dichiarò Langdon. «Soprattutto senza avere la certezza che Peter sia vivo.»

«Le suggerisco di non sfidarmi. Lei è solo un piccolissimo ingranaggio di una macchina enorme. Se mi disobbedisce, o cerca di rintracciarmi, Peter morirà. Glielo giuro.»

«Per quel che ne so io, Peter è già morto.»

«Invece è vivo e vegeto, professore, però ha disperatamente bisogno del suo aiuto.»

«Ma cos’è che le interessa davvero trovare?» gridò Langdon nel telefono.

Mal’akh fece una pausa prima di rispondere: «Molti hanno inseguito gli antichi misteri e discusso sui loro poteri. Stanotte io dimostrerò che quei misteri sono reali».

Langdon rimase zitto.

«Le consiglio di mettersi subito al lavoro sulla mappa» aggiunse poi Mal’akh. «Ho bisogno di questa informazione oggi.»

«Oggi? Ma sono già le nove passate.»

«Esattamente. Tempus fugit.»

44

A New York, l’editor Jonas Faukman stava spegnendo le luci nel suo ufficio di Manhattan quando squillò il telefono. Non aveva alcuna intenzione di rispondere a quell’ora… finché non vide il nome sul display.

Potrebbe essere la volta buona, pensò allungando la mano per prendere la cornetta.

«Ma ti pubblichiamo ancora?» esordì Faukman in tono semiserio.

«Jonas!» La voce di Langdon sembrava angosciata. «Grazie a Dio sei lì. Ho bisogno del tuo aiuto.»

A Faukman si risollevò il morale. «Hai qualche pagina da farmi leggere, Robert?» Finalmente?

«No, ho bisogno di un’informazione. L’anno scorso ti ho messo in contatto con una scienziata, Katherine Solomon, la sorella di Peter Solomon.»

Faukman si accigliò. Niente pagine.

«Cercava un editore per pubblicare un libro sulle scienze noetiche. Te la ricordi?»

Faukman alzò gli occhi al cielo. «Certo che me la ricordo. E grazie mille per avermela presentata. Non solo si è rifiutata di farmi leggere i risultati delle sue ricerche, ma non voleva nemmeno pubblicare niente fino a qualche data magica nel futuro. »

«Jonas, ascoltami, non ho molto tempo. Mi serve il numero di Katherine. Subito. Ce l’hai?»

«Ti devo mettere in guardia… stai agendo in modo un po’ avventato. È una bella donna, d’accordo, ma non farai certo colpo su di lei se…»

«Non è uno scherzo, Jonas, ho bisogno subito di quel numero.»

«Va bene… attendi in linea.»

I due erano amici da abbastanza anni perché Faukman capisse quando Langdon parlava seriamente. Inserì il nome di Katherine Solomon in una finestra di ricerca e lanciò la richiesta nel server delle e-mail della casa editrice.

«Lo sto cercando, okay?» lo rassicurò poi. «E, per quel che può valere, quando la chiami sarà meglio che non lo fai dalla piscina di Harvard. Sembra che tu sia finito in una gabbia di matti.»

«Non sono in piscina. Sono in un tunnel sotto il Campidoglio.»

Dal tono di voce Faukman capì che Langdon non stava scherzando. Che cosa gli ha preso oggi, a questo qui? «Robert, perché non te ne resti tranquillo a casa a scrivere?» Il computer emise un suono. «Okay, aspetta…» Fece scorrere la lista delle e-mail. «Sembra che tutto quello che ho sia il numero del cellulare.»

«Dammelo.»

Faukman glielo dettò.

«Grazie, Jonas» disse Langdon in tono riconoscente. «Ti devo un favore.»

«Mi devi un manoscritto, Robert. Hai idea da quanto tempo…»

La comunicazione si era interrotta.

Faukman fissò il ricevitore e scosse la testa. Pubblicare libri sarebbe stato molto più facile senza gli autori.

45

Katherine Solomon non credeva ai propri occhi quando lesse il nome sul display del cellulare. Aveva immaginato che la telefonata arrivasse da Trish, che la chiamava per spiegarle perché lei e Christopher Abaddon ci stessero mettendo così tanto.Invece non era Trish.

Per niente.

Le affiorò alle labbra un sorriso di piacere. Ci mancava solo questo, fra tutte le stranezze di stasera. Aprì il cellulare.

«Lasciami indovinare» disse in tono scherzoso. «Scapolo secchione cerca scienziata noetica single?»

«Katherine!» La voce profonda era di Robert Langdon. «Grazie a Dio stai bene.»

«Certo che sto bene» rispose lei spiazzata. «A parte il fatto che non mi hai più chiamato dopo la festa a casa di Peter l’estate scorsa.»

«E successo qualcosa, stasera. Ascoltami, ti prego.» La sua voce, solitamente vellutata, sembrava ruvida. «Mi dispiace tanto… ma Peter si trova in guai seri.»

Il sorriso di Katherine svanì. «Di cosa stai parlando?»

«Peter…» Langdon esitò come se stesse cercando le parole giuste. «Non so come dirtelo, ma lui è stato… preso. Non ho ancora idea di come o da chi, ma…»

«Preso? Robert, mi spaventi. Preso… in che senso?»

«Preso prigioniero.» La voce di Langdon si incrinò come se fosse stato sopraffatto dall’emozione. «Dev’essere successo oggi, o forse ieri.»

«Non è divertente» replicò lei irritata. «Mio fratello sta benissimo. Gli ho parlato appena un quarto d’ora fa!»

«Davvero?» Langdon sembrava stupito.

«Sì! Mi ha mandato un messaggio per avvertirmi che sta venendo al laboratorio.»

«Ti ha mandato un messaggio…» pensò ad alta voce Langdon. «Ma non hai sentito la sua voce, vero?»

«No, ma…»

«Ascoltami. Il messaggio che hai ricevuto non l’ha scritto tuo fratello. Qualcuno ha il telefono di Peter. È una persona pericolosa. Chiunque sia, mi ha convinto con l’inganno a venire a Washington stasera.»

«Con l’inganno? Quello che dici non ha senso!»

«Lo so, mi dispiace.» Langdon pareva stranamente disorientato. «Katherine, penso che tu possa essere in pericolo.»

Katherine Solomon era sicura che Langdon non avrebbe mai scherzato su una cosa del genere, eppure sembrava proprio andato fuori di testa. «Sto bene» lo rassicurò. «Sono chiusa dentro un edificio protetto!»

«Leggimi il messaggio che hai ricevuto dal telefono di Peter. Ti prego.»

Perplessa, Katherine richiamò il messaggio e glielo lesse, sentendo un brivido gelido quando arrivò al punto in cui si riferiva al dottor Abaddon. «"Chiedi al dottor Abaddon di raggiungerci se può. Mi fido pienamente di lui…"»

«Oddio…» La voce di Langdon era venata di paura. «Hai invitato quell’uomo nel laboratorio?»

«Sì! La mia assistente è appena andata all’ingresso a prenderlo. Mi aspetto che tornino da…»

«Katherine, esci di lì!» gridò Langdon. «Subito!»

Dalla parte opposta dell’SMSC, dentro la guardiola della sicurezza, un telefono cominciò a squillare irrompendo nella partita dei Redskins. La guardia, riluttante, si tolse per l’ennesima volta gli auricolari.

«Sicurezza» rispose. «Sono Kyle.»

«Kyle, sono Katherine Solomon!» Dalla voce sembrava angosciata, senza fiato.

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