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La faccia di Peter, rigata di lacrime, si contorse in una smorfia di angoscia e di incredulità. «Oh, mio Dio… Zachary.»

«Non più. Quando Zachary è uscito da quella prigione, era già trasformato.»

Aveva riempito il suo giovane corpo di anabolizzanti e di ormoni della crescita mutando drasticamente il suo fisico da adolescente e il viso infantile. Perfino le corde vocali si erano modificate, rendendo la sua voce di ragazzo un costante sussurro.

Zachary era diventato Andros.

Andros era diventato Mal’akh.

E quella sera… Mal’akh si sarebbe evoluto nella sua incarnazione più gloriosa.

In quel momento, a Kalorama Heights, Katherine Solomon era in piedi davanti al cassetto aperto della scrivania e osservava ciò che poteva essere descritto solo come una collezione feticista di fotografie e vecchi articoli di giornali.

«Non capisco» disse voltandosi verso Bellamy. «Questo pazzo evidentemente era ossessionato dalla mia famiglia, ma…»

«Continua a guardare» la sollecitò Bellamy mettendosi a sedere. Sembrava ancora molto scosso.

Katherine frugò tra gli articoli, tutti relativi alla famiglia Solomon: i numerosi successi di Peter, le ricerche che lei stava svolgendo, il terribile omicidio della madre Isabel, l’uso di droghe di Zachary Solomon, ampiamente pubblicizzato, e il brutale omicidio del ragazzo in un carcere turco.

La fissazione di quell’uomo per la famiglia Solomon andava oltre il fanatismo, e tuttavia Katherine non vedeva nulla che potesse suggerirle il perché.

Fu in quel momento che vide le fotografie. Nella prima Zachary era al mare, nell’acqua azzurra che gli arrivava al ginocchio, in una spiaggia punteggiata di case imbiancate a calce. Grecia? Quella foto, pensò Katherine, poteva essere stata scattata solo durante i giorni della droga di Zach in Europa. Stranamente, però, suo nipote sembrava più sano di quanto fosse apparso negli scatti dei paparazzi, che mostravano un ragazzo emaciato che si godeva lo sballo con la sua combriccola di drogati. Qui Zach sembrava più in forma, in un certo senso più forte, più maturo. Katherine non ricordava di averlo mai visto con un aspetto così sano.

Perplessa, notò la data sulla foto.

Ma… è impossibile.

La fotografia risaliva a quasi un anno dopo la morte di Zachary in carcere.

Katherine cominciò a frugare disperatamente nel mucchio. Le immagini erano tutte di Zachary Solomon… sempre più adulto. La collezione sembrava essere una specie di autobiografia fotografica, la cronaca di una lenta trasformazione. Gli scatti andavano avanti nel tempo, e a un certo punto Katherine notò un mutamento graduale e spettacolare. Guardò con orrore il corpo di suo nipote che cominciava a cambiare, i muscoli che si gonfiavano, i lineamenti del viso che si modificavano per l’evidente uso massiccio di anabolizzanti. La mole del corpo appariva raddoppiata e negli occhi si era insinuata una ferocia ossessiva.

Non riesco a riconoscere quest’uomo!

Un uomo che non aveva nulla di ciò che ricordava del suo giovane nipote.

Quando arrivò alla fotografia in cui Zach compariva con la testa rasata, sentì che le ginocchia cominciavano a cederle. Poi vide l’immagine del corpo nudo… decorato con le prime tracce di tatuaggi.

Il cuore quasi le si fermò. «Oh, mio Dio…»

120

«Svolti a destra!» gridò Langdon dal sedile posteriore del suv Lexus requisito.

Simkins si immise in S Street e spinse l’auto a tutta velocità attraverso un quartiere residenziale dalle strade alberate. Quando furono quasi all’incrocio con Sixteenth Street, la House of the Tempie si stagliò sulla destra come una montagna.

Simkins alzò gli occhi su quella struttura massiccia: faceva pensare a una piramide costruita in cima al colonnato del Pantheon di Roma. L’agente fece per girare a destra nella Sixteenth, in direzione della facciata del palazzo.

«No!» ordinò Langdon. «Vada dritto! Resti sulla S!»

Simkins obbedì e continuò lungo il lato est dell’edificio.

«Quando arriviamo alla Fifteenth, volti a destra!»

L’agente seguì le indicazioni del suo navigatore e, qualche istante dopo, Langdon gli aveva già mostrato la strada d’accesso, non asfaltata e quasi invisibile, che tagliava a metà il giardino dietro la House of the Tempie. Simkins si immise nel sentiero e puntò a tutta velocità verso il retro del palazzo.

«Guardi!» esclamò Langdon indicando un solitario veicolo accanto all’entrata posteriore. Si trattava di un grosso furgone. «Sono qui.»

Simkins fermò il SUV e spense il motore. In silenzio, scesero dal veicolo e si prepararono a entrare. L’agente alzò gli occhi sulla struttura monolitica. «Ha detto che la Sala del Tempio è su in cima?»

Langdon annuì, indicando il pinnacolo dell’edificio.

«Quell’area piatta sulla sommità della piramide in realtà è un lucernario.»

Simkins si voltò di scatto. «Nella Sala del Tempio c’è un lucernario?»

Langdon lo guardò perplesso. «Naturalmente. Un occhio sul cielo… proprio sopra l’altare.»

Il Sikorsky se ne stava immobile con il motore acceso in Dupont Circle.

Sul sedile del passeggero, Sato si mangiava le unghie e aspettava notizie dalla sua squadra.

Finalmente, la voce di Simkins gracchiò dalla radio: «Direttore?».

«Sì, parla Sato.»

«Stiamo entrando nell’edificio, ma ho un’altra notizia per lei.»

«Dimmi.»

«Il professor Langdon mi ha appena informato che nella sala in cui probabilmente si trova il nostro obiettivo c’è un lucernario di grandi dimensioni.»

Sato rifletté per diversi secondi su quell’indicazione. «Ricevuto. Grazie.»

Simkins chiuse la comunicazione.

Sato sputò un’unghia e si voltò verso il pilota: «Portami su».

121

Come qualsiasi genitore che abbia perso un figlio, Peter Solomon aveva spesso immaginato come sarebbe stato il suo ragazzo a quell’età… che aspetto avrebbe avuto… e cosa sarebbe diventato.

Adesso aveva tutte le risposte.

La massiccia creatura tatuata davanti a lui aveva iniziato la propria vita come un minuscolo, prezioso neonato… poi il piccolo Zach rannicchiato nella culla di vimini… Zach che faceva i primi passi incerti nello studio di Peter… Zach che imparava a pronunciare le prime parole. Il fatto che il male potesse scaturire da un bimbo innocente cresciuto in una famiglia affettuosa restava uno dei paradossi dell’animo umano.

Da molto tempo ormai Solomon era stato costretto ad accettare l’idea che, nonostante nelle vene di Zachary scorresse il suo stesso sangue, il cuore che pompava quel sangue era soltanto di suo figlio. Unico e irripetibile… come scelto a caso nell’universo.

Mio figlio… ha ucciso mia madre, ha ucciso il mio amico Robert e forse ha ucciso anche mia sorella.

Sentì il cuore pervaso da una gelida insensibilità mentre cercava negli occhi del figlio un contatto qualsiasi… qualcosa di familiare. Ma gli occhi di quell’uomo, anche se grigi come i suoi, erano gli occhi di uno sconosciuto, pieni di un odio e di un desiderio di vendetta quasi ultraterreni.

«Sei abbastanza forte?» domandò Mal’akh guardando il coltello dell’aqedah che Peter stringeva nella mano. «Sei in grado di finire ciò che hai cominciato tanti anni fa?»

«Figlio mio…» Solomon quasi non riconosceva la propria voce. «Io… io ti volevo bene.»

«Tu hai cercato di uccidermi per ben due volte. Mi hai abbandonato in prigione. Mi hai sparato sul ponte di Zach. Adesso finisci quello che hai iniziato!»

Per un istante Solomon ebbe la sensazione di fluttuare al di fuori del proprio corpo. Non si riconosceva più. Era privo di una mano e completamente calvo, indossava una veste nera, sedeva su una sedia a rotelle e impugnava un coltello antico.

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