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C’è chi crea… e chi distrugge.

Tuttavia solo leggendo il Paradiso perduto di John Milton aveva visto materializzarsi davanti a sé il proprio destino. Era venuto a conoscenza della storia del grande angelo caduto… del demone guerriero che combatteva contro la luce… il valoroso… l’angelo di nome Moloch.

Moloch viaggiava per il mondo come un dio. Andros aveva appreso in seguito che il nome dell’angelo, tradotto nella lingua degli antichi, diventava Mal’akh.

Questo sarà il mio nome.

Come tutte le grandi trasformazioni, anche quella doveva cominciare con un sacrificio, ma non di topi o di uccelli. No, quella volta ci voleva un sacrificio vero.

Esiste un solo sacrificio degno di una trasformazione tanto importante.

Vedeva chiaro come non mai il destino che lo attendeva. Aveva disegnato per tre giorni interi, su un grande foglio di carta, elaborando il progetto della propria trasformazione.

Poi aveva appeso al muro il disegno a grandezza naturale e lo aveva ammirato come se fosse uno specchio.

Sono un capolavoro.

L’indomani lo aveva portato al centro tatuaggi.

Era pronto.

78

Il George Washington Masonic Memorial si trova in cima a Shuter’s Hill, ad Alexandria, in Virginia. La torre ha tre livelli di sempre maggiore complessità architettonica — dorico, ionico e corinzio — che rappresentano l’ascesa intellettuale dell’uomo. Ispirata all’antico Faro di Alessandria d’Egitto, è sormontata da una piramide con un ornamento terminale a forma di fiamma.

Nello spettacolare atrio di marmo è collocata una statua di George Washington con gli abiti massonici da cerimonia, con in mano la cazzuola originale che venne usata per la posa della prima pietra del Campidoglio. Oltre all’atrio, il Memorial ha nove piani con nomi quali Caverna, Cripta e Cappella dei Templari. Fra i molti tesori lì conservati vi sono oltre ventimila volumi di scritti massonici, una splendida ricostruzione dell’Arca dell’Alleanza e persino una riproduzione in scala ridotta della sala del trono nel tempio di re Salomone.

Mentre il Sikorsky sorvolava il fiume Potomac, l’agente Simkins controllò l’orologio. Il loro treno arriva fra sei minuti. Sospirò e guardò fuori: il Memorial splendeva all’orizzonte. Non si Poteva negare che la sua torre illuminata fosse grandiosa come i monumenti del National Mall. Non l’aveva mai visitato, e nemmeno quella notte ci sarebbe entrato. Se tutto fosse andato come previsto, Robert Langdon e Katherine Solomon sarebbero stati intercettati appena scesi dal treno.

«Laggiù!» gridò Simkins al pilota, indicandogli la stazione della metropolitana di King Street, di fronte al Memorial. Il pilota effettuò una virata e andò a posarsi in un prato ai piedi di Shuter’s Hill.

I passanti, sorpresi, fissarono sbigottiti Simkins e i suoi uomini che scendevano dall’elicottero, armati e vestiti di nero, attraversavano la strada di corsa ed entravano nella stazione. Lungo le scale tutti si fecero da parte appiattendosi contro il muro per lasciarli passare.

La stazione era più grande di quanto Simkins si aspettasse ed era servita da parecchie linee: la blu, la gialla e quella dell’Amtrak. L’agente andò a consultare la mappa affissa al muro: individuò Freedom Plaza e l’itinerario più diretto per King Street.

«Linea blu, direzione sud!» gridò. «Fate sgombrare il binario!»

I suoi uomini partirono a razzo.

Simkins corse alla biglietteria, mostrò il tesserino e gridò all’impiegata: «Il prossimo treno da Metro Center a che ora arriva?».

«Non so esattamente» rispose la donna spaventata. «La linea blu passa ogni undici minuti, ma non c’è un orario fisso.»

«Quando è passato l’ultimo treno?»

«Cinque o sei minuti fa, mi pare. Non di più.»

Turner Simkins fece un rapido calcolo. Perfetto. Il treno successivo doveva essere quello di Langdon.

Katherine Solomon stava scomoda: il sedile di plastica della metropolitana era rigido e la luce al neon le faceva male agli occhi. Si sforzò di resistere alla tentazione di chiuderli anche solo per un attimo. Il vagone era vuoto, a parte lei e Robert Langdon, che le era seduto accanto e guardava assorto la borsa di pelle ai propri piedi. Anche a lui, cullato dal dondolio ritmico del treno, si chiudevano gli occhi.

Katherine pensava ai misteriosi oggetti contenuti nella borsa di Langdon. Perché la CIA vuole questa piramide? Bellamy aveva detto che Sato la cercava perché ne conosceva l’enorme valore. Ma anche se la piramide avesse davvero rivelato dov’erano nascosti gli antichi misteri, Katherine stentava a credere che la CIA fosse interessata a una promessa di sapienza ancestrale.

Non sarebbe stata la prima volta, però, che l’Agenzia si occupava di parapsicologia, con progetti al limite della magia e del misticismo. Nel 1995, con lo scandalo "Stargate/Scannate" era emerso che la CIA stava sperimentando una tecnologia top secret, denominata "remote viewing", per "osservare" a distanza. Consisteva in una sorta di viaggio telepatico grazie al quale si poteva guardare con l’occhio della mente qualsiasi luogo del pianeta senza essere fisicamente presenti. Nulla di nuovo, in realtà: i mistici la chiamavano "proiezione astrale" e gli yogin "esperienza extracorporea". Sfortunatamente, i contribuenti americani, indignati, l’avevano bollata come un"’assurdità", e il progetto era stato abbandonato. Per lo meno in via ufficiale.

Paradossalmente, Katherine vedeva parecchi nessi fra i progetti abortiti della CIA e i risultati dei suoi esperimenti nel campo della noetica.

Avrebbe avuto una gran voglia di chiamare la polizia per sapere se avevano scoperto qualcosa a Kalorama Heights, ma né lei né Langdon avevano più il cellulare, e comunque, non sapendo fino a dove arrivava il potere di Sato, contattare le autorità era sconsigliabile.

Porta pazienza, si disse Katherine. Nel giro di pochi minuti sarebbero stati al sicuro, ospiti di un uomo che aveva promesso loro delle risposte. Katherine sperava che le consentissero di salvare il fratello.

«Robert?» mormorò lanciando un’occhiata alla cartina della metropolitana. «La prossima fermata è la nostra.»

Langdon si riscosse lentamente. «Bene, grazie.» Mentre il treno rallentava entrando in stazione, prese la tracolla e guardò Katherine con espressione incerta. «Speriamo che vada tutto liscio.»

Quando Turner Simkins raggiunse i suoi uomini, la banchina era stata sgombrata e gli agenti stavano prendendo posizione dietro la fila di colonne che andava da un capo all’altro dei binari. Si cominciò a sentire un rombo in lontananza e, poco dopo, dalla galleria uscì una ventata di aria calda.

Non hai scampo, Langdon.

Simkins si rivolse ai due agenti a cui aveva ordinato di posizionarsi accanto a lui. «Tesserino alla mano e armi pronte. I treni sono completamente automatici, ma a bordo c’è un capotreno che comanda l’apertura delle porte. Trovatelo.»

In quel momento, nella galleria comparve il bagliore dei fari e si udì lo stridio dei freni. Il treno fece il suo ingresso in stazione e rallentò. Simkins e gli altri due agenti cominciarono a sbracciarsi, mostrando il tesserino e cercando di incrociare lo sguardo del capotreno prima che questi azionasse l’apertura delle porte.

Le due carrozze di testa sfilarono loro davanti velocemente. Nella terza Simkins vide il capotreno che, con aria stupita, cercava di capire cosa volessero da lui quei tre uomini vestiti di nero che sbandieravano i tesserini. Il treno si stava ormai fermando.

«CIA!» gridò Simkins. «NON apra le porte!» Il convoglio gli passò lentamente davanti e lui gli corse dietro, seguendo il vagone del capotreno e continuando a gridare: «Non apra le porte! Ha capito? Non deve aprire le porte!».

Il treno si fermò del tutto. Il capotreno, che faceva energicamente segno di sì con la testa, si affacciò al finestrino. «Che cosa c’è? Cos’è successo?»

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