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Il problema, però, era che Mal’akh non aveva il codice di Katherine Solomon. Digitò quello di Trish Dunne, ma la porta non si aprì. Si grattò il mento e studiò la porta di plexiglas, che era spessa sette centimetri e probabilmente non avrebbe ceduto neppure sotto i colpi di un’ascia.

Si era comunque preparato anche a questa evenienza.

Controllò nel magazzino delle scorte e cercò la rastrelliera su cui erano posati alcuni cilindri metallici simili a bombole da sub, proprio come gli aveva descritto Solomon. Sopra c’erano le lettere "L" e "H" con il pedice "2", oltre al simbolo universale delle sostanze infiammabili. Uno di essi era collegato alla cella a combustibile a idrogeno.

Mal’akh non lo scollegò; prelevò invece con grande cautela una delle bombole di riserva, la posò su un carrello vicino alla rastrelliera, uscì dal locale di alimentazione, attraversò il laboratorio e la portò vicino alla porta di plexiglas che proteggeva le due unità di memoria. Probabilmente sarebbe bastato lasciarla lì, ma Mal’akh notò che fra il pavimento e la pesante porta c’era una sottile fessura.

Si avvicinò, inclinò orizzontalmente la bombola e infilò il tubicino di gomma sotto la porta. Impiegò un po’ di tempo per rimuovere i sigilli di sicurezza, ma appena ci riuscì aprì la valvola. L’idrogeno, trasparente, cominciò a uscire gorgogliando dal tubo e a spargersi sul pavimento, oltre la porta di plexiglas. Mal’akh lo guardò espandersi per terra, fra bolle e vapori. L’idrogeno si liquefa a temperature bassissime e quando si scalda passa allo stato gassoso, forma ancora più infiammabile. Questo per Mal’akh era un vantaggio.

Ti ricordi il dirigibile Hindenburg?

Mal’akh corse nel laboratorio a prendere un contenitore di combustibile per il becco Bunsen, un olio viscoso altamente infiammabile, e lo portò vicino alla porta dell’archivio dati. Si rallegrò nel vedere che ormai l’idrogeno ricopriva tutto il pavimento del vano in cui erano contenute le unità olografiche e avvolgeva i piedistalli su cui erano posate: il locale si stava riempiendo di gas.

Mal’akh versò una discreta quantità di olio sulla bombola, sul tubo e nello spazio fra la porta e il pavimento. Poi cominciò ad arretrare verso l’uscita, guardingo, lasciando dietro di sé una sottile scia oleosa.

Gli operatori del 911 di Washington quella sera erano indaffaratissimi. Football, birra e luna piena, pensò l’addetta allo smistamento delle chiamate. Le apparve sullo schermo un’altra telefonata, effettuata dal telefono pubblico di una stazione di servizio della Suitland Parkway, ad Anacostia. Sarà un incidente stradale…

«Nove-uno-uno, mi dica» rispose efficiente.

«Sono appena stata aggredita allo Smithsonian Museum Support Center» disse una voce di donna, terrorizzata. «Mandate la polizia, per favore! 4210 di Silver Hill Road!»

«Si calmi, signora» disse l’operatrice. «Deve…»

«Mandate una pattuglia anche a Kalorama Heights, a casa del dottor Abaddon. Penso che mio fratello sia prigioniero lì…»

L’operatrice sospirò. Luna piena…

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«Come cercavo di dirti, la piramide contiene più indizi di quello che sembra a prima vista» osservò Bellamy.

Forse. Langdon doveva ammettere che la piramide di granito nella sua borsa aperta aveva un’aria molto più misteriosa, adesso. Aveva decifrato il codice massonico, ottenendo però una griglia di lettere apparentemente senza senso.

Caos.

Il simbolo perduto - pic_12.jpg

Langdon la studiò a lungo, alla ricerca di un indizio — parole nascoste, anagrammi, segni di qualche genere -, ma non trovò niente.

«Si dice che la piramide massonica custodisca i suoi segreti nascondendoli dietro più veli» spiegò Bellamy. «Ogni volta che ne scosti uno, te ne trovi davanti un altro. Tu hai scoperto queste lettere, ma per ora non ti suggeriscono niente: significa che devi scostare un altro velo. Solo chi detiene la cuspide sa come farlo. Immagino che la cuspide contenga la chiave per decifrare il codice della piramide.»

Langdon guardò il pacchetto sul tavolo. Se Bellamy aveva ragione, piramide e cuspide rappresentavano un messaggio cifrato diviso in due. La segmentazione dei codici, frequente nella moderna criptologia, in realtà risaliva ai tempi dell’antica Grecia. Quando volevano tenere segrete delle informazioni, infatti, i greci le scrivevano su una tavoletta di argilla che poi rompevano nascondendo i frammenti in posti diversi. Per recuperare il messaggio, a quel punto, occorreva ricomporre le varie parti. La tavoletta spezzata si chiamava "symbolon", termine da cui etimologicamente deriva il nostro "simbolo".

«La piramide e la cuspide sono state tenute separate per generazioni perché il segreto non fosse svelato» osservò Bellamy in tono preoccupato. «Stasera, invece, sono pericolosamente vicine. Non ho bisogno di dire che è nostro dovere evitare in tutti i modi che i due pezzi vengano assemblati.»

Langdon trovava che Bellamy si esprimesse in modo eccessivamente drammatico. Sembra che stia parlando di una bomba atomica e del suo detonatore… Non capiva il suo turbamento, ma c’erano cose più urgenti a cui pensare. «Ammesso che questa sia davvero la piramide massonica, e che contenga le indicazioni per recuperare antiche conoscenze, com’è possibile che queste conoscenze siano in grado di conferire tanto potere a chi ne entra in possesso?»

«Peter mi aveva avvisato che sei un tipo difficile da convincere, uno studioso che ha sempre bisogno di dimostrazioni.»

«Perché, tu ci credi?» Langdon stava perdendo la pazienza. «Con tutto il rispetto, sei un uomo istruito, moderno: come puoi dare credito a certe cose?»

Bellamy gli sorrise, paziente. «La massoneria mi ha insegnato ad avere rispetto per ciò che trascende la comprensione umana. E che non bisogna chiudere la mente e respingere un’idea solo perché sembra prodigiosa.»

54

La guardia dell’SMSC imboccò di corsa il vialetto di ghiaia che passava intorno all’edificio: aveva appena ricevuto la chiamata di un collega all’interno del complesso, il quale aveva comunicato che la serratura del modulo 5 era stata sabotata e che la spia luminosa dell’uscita di sicurezza indicava che la porta era aperta.

Cosa diavolo sarà successo?

Arrivò al portellone e lo trovò effettivamente socchiuso. Che strano! pensò. Si può aprire soltanto dall’interno. Sganciò la torcia dal cinturone e la puntò nel grande locale buio. Non vide nulla. Non avendo nessuna voglia di addentrarsi in quell’abisso sconosciuto, si limitò ad avvicinarsi alla soglia e illuminò l’interno, prima a sinistra e poi a…

Due mani forzute gli afferrarono il polso e lo tirarono dentro. L’uomo si sentì trascinare da una forza invisibile. Cera odore di etanolo. La torcia gli cadde di mano e, prima di riuscire a capire che cosa stesse succedendo, fu colpito sullo sterno da un pugno violentissimo. Si accasciò a terra, gemendo di dolore, mentre un’enorme sagoma nera si allontanava nell’oscurità.

La guardia era riversa su un fianco e rantolava. La torcia era caduta lì vicino e il fascio di luce illuminava un oggetto metallico. L’etichetta indicava che era un contenitore di combustibile.

La guardia vide brillare la fiamma di un accendino e nel bagliore arancione scorse una creatura a torso nudo che aveva ben poco di umano. Cristo santo! Stava ancora cercando di capire quello che aveva davanti quando il mostro si chinò e avvicinò la fiamma al pavimento.

Immediatamente si accese una scia di fuoco che corse nell’antro buio, allontanandosi da loro. La guardia si voltò e vide che il mostro usciva dal portellone scorrevole e scompariva nella notte.

Cercò di tirarsi su a sedere, nonostante il dolore, senza staccare gli occhi dalla striscia di fuoco. Che cos’era? La fiamma sembrava troppo piccola per costituire un vero pericolo, eppure aveva un che di terrificante. Non gettava più luce soltanto in quel gigantesco antro buio ma, avendolo attraversato ormai quasi tutto, illuminava una struttura tozza, di cemento. La guardia non era mai stata dentro il modulo 5, però sapeva della sua esistenza.

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