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«Peter e io discutiamo spesso della filosofia rosacrociana» disse Galloway a Katherine.

Mentre il decano spiegava i rapporti fra massoneria e rosacrociani, Langdon tornò a rimuginare su un pensiero che lo tormentava. "Jeova sanctus unus." Questa frase ha a che fare con l’alchimia. Non riusciva a ricordare che cosa gli avesse detto Peter in proposito, ma parlare dei rosacroce aveva risvegliato questo tarlo. Forza, Robert, concentrati!

«Sembra che a fondare l’ordine dei rosacroce» stava dicendo Galloway «sia stato un mistico tedesco di nome Christian Rosenkreuz, uno pseudonimo dietro al quale alcuni sostengono si celasse nientemeno che Francesco Bacone, sebbene non esistano…»

«Uno pseudonimo!» esclamò Langdon. «Ci sono! Jeova sanctus Unus è uno pseudonimo!»

«Di cosa stai parlando? Spiegati!» lo incalzò Katherine.

Langdon era in fibrillazione. «È tutta la sera che cerco di farmi venire in mente che cosa mi aveva detto Peter a proposito di Jeova sanctus unus e dell’alchimia. Finalmente me lo sono ricordato! Non si trattava tanto di alchimia, quanto di un alchimista! Un alchimista molto famoso!»

Galloway sorrise ironicamente. «Era ora, professore. L’ho nominato due volte e ho usato anche la parola "pseudonimo".»

Langdon lo fissò incredulo. «Lei lo sapeva?»

«Be’, il dubbio mi è venuto quando ha parlato di Jeova sanctus unus, dicendomi che aveva decifrato l’iscrizione grazie al quadrato magico di Dürer. Poi, non appena ha scoperto il simbolo rosacroce, ne ho avuto la certezza. Come probabilmente saprà, fra le carte personali di questo scienziato c’era una copia fittamente annotata dei Manifesti rosacrociani.»

«Ma chi è?» domandò Katherine.

«Uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi!» rispose Langdon. «Alchimista, membro della Royal Society di Londra, rosacrociano, firmò alcuni dei suoi lavori scientifici più riservati con uno pseudonimo: Jeova sanctus unus.»

«L’unico vero Dio?» disse Katherine. «Modesto…»

«Geniale, piuttosto» la corresse Galloway. «Si firmava così perché, come gli antichi adepti, era consapevole della natura divina dell’uomo. Inoltre, le sedici lettere di Jeova sanctus unus, anagrammate, corrispondevano al suo nome in latino: uno pseudonimo perfetto!»

Katherine era piena di stupore. «Jeova sanctus unus è l’anagramma del nome latino di un famoso alchimista?»

Langdon prese dalla scrivania un foglio di carta e una matita e cominciò a scrivere. «In latino le lettere "J" e "I" sono interscambiabili, come pure la "V" e la "U". Ciò significa che Jeova sanctus unus può essere trasposto esattamente a formare il nome di questo scienziato.»

Langdon scrisse le sedici lettere: "Isaacus Neuutonus".

Porse il foglio a Katherine. «Penso che tu l’abbia già sentito nominare.»

«Isaac Newton?» esclamò Katherine guardando il foglio. «Ecco che cosa significa l’iscrizione sulla piramide!»

Per un attimo a Langdon parve di essere di nuovo nell’abbazia di Westminster, davanti alla tomba piramidale di Newton, dove aveva avuto un’analoga illuminazione.Il grande scienziato rispunta anche stasera… Non era una coincidenza, naturalmente:

piramidi, misteri, scienza, saperi segreti, tutto era correlato. Chi si occupava di sapienza occulta non poteva non incappare nel nome di Isaac Newton.

«Newton deve avere qualcosa a che fare con la piramide» disse Galloway. «Non riesco a immaginare in che modo, ma…»

«Trovato!» esclamò Katherine spalancando gli occhi. «Ecco come trasformeremo la piramide!»

«Hai capito?» chiese Langdon.

«Sì!» rispose lei. «Non riesco a crederci, avevamo la soluzione sotto il naso! È un processo alchemico semplicissimo. Posso trasformare questa piramide ricorrendo a nozioni di scienza elementare! Scienza newtoniana!»

Langdon si sforzava invano di capire.

«Reverendo Galloway» disse Katherine «sull’anello è scritto…»

«Basta così!» Il decano alzò un dito e le fece cenno di tacere. Inclinò leggermente la testa da una parte, come se fosse in ascolto. «Amici miei, è chiaro che questa piramide ha ancora in serbo dei segreti. Non so dove voglia arrivare la dottoressa Solomon, ma se ha capito qual è il prossimo passo, il mio ruolo finisce qui. Raccogliete le vostre cose e non ditemi altro. Preferisco rimanere all’oscuro e non avere informazioni da rivelare, nel caso i nostri ospiti cercassero di costringermi a parlare.»

«Ospiti?» disse Katherine tendendo l’orecchio. «Io non sento niente.»

«Sentirà fra poco» replicò Galloway andando verso la porta. «Sbrigatevi.»

Dall’altra parte della città, un ripetitore cercava invano il segnale di un cellulare in frantumi lungo Massachusetts Avenue. Dopo un po’, trasferì la chiamata alla casella vocale. "Robert!" gridava la voce terrorizzata di Warren Bellamy. "Dove sei? Chiamami appena senti questo messaggio, sta succedendo una cosa terribile!"

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Nel bagliore azzurrognolo del suo scantinato, Mal’akh continuava i preparativi davanti al tavolo di pietra. Gli brontolava lo stomaco, ma lui non ci faceva caso: non era più schiavo dei capricci della carne.

La trasformazione richiede sacrificio.

Come molti asceti del passato, si era impegnato a seguire quella strada compiendo il più nobile dei sacrifici della carne. La castrazione era stata meno dolorosa di quanto immaginasse. Ed era molto più diffusa di quanto pensasse: ogni anno migliaia di uomini si sottoponevano alla castrazione chirurgica — or-chiectomia, per la precisione -, per motivazioni che andavano dal desiderio di cambiare sesso al tentativo di contrastare le dipendenze sessuali, a radicate convinzioni spirituali. Le ragioni di Mal’akh erano tra le più nobili. Come Attis, la figura mitologica che si era autoevirata, lui sapeva che per conseguire l’immortalità bisogna prendere le distanze dal mondo materiale del maschile e del femminile.

L’androgino è uno.

Al giorno d’oggi gli eunuchi sono considerati un’aberrazione, ma gli antichi comprendevano il potere implicito in questo sacrificio di trasmutazione. I primi cristiani avevano sentito Gesù in persona esaltarne le virtù in Matteo 19,12: "vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre… e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca".

Anche Peter Solomon aveva subito una mortificazione della carne, sebbene perdere una mano fosse poca cosa in un disegno di ben più vaste proporzioni. Prima dell’alba, tuttavia, Solomon avrebbe sacrificato molto, molto di più.

Per creare, devo distruggere.

La natura della polarità era questa.

Peter Solomon, naturalmente, meritava il destino che lo attendeva quella notte. Sarebbe stata una giusta conclusione. Molto tempo prima, aveva avuto un ruolo determinante nel percorso della vita mortale di Mal’akh. E per questo motivo era stato scelto per svolgere un ruolo altrettanto determinante nella sua grande trasformazione. Si era guadagnato tutto l’orrore e il dolore che stava per provare. Peter Solomon non era l’uomo che tutti credevano.

Aveva sacrificato il suo stesso figlio.

Peter Solomon aveva messo suo figlio Zachary davanti a una scelta impossibile: ricchezza o saggezza. E Zachary aveva fatto la scelta sbagliata. Questo aveva dato inizio a una serie di eventi che avevano finito per trascinarlo negli abissi dell’inferno. La prigione di Kartal. Zachary Solomon in quella prigione era morto, tutto il mondo lo sapeva… Ma ciò che il mondo non sapeva era che Peter Solomon avrebbe potuto salvarlo.

Io c’ero, pensò Mal’akh. Ho sentito tutto.

Non aveva mai dimenticato quella sera: la decisione barbara di Solomon era stata la fine per suo figlio Zach, ma per Mal’akh aveva significato un nuovo inizio.

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