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«Dottoressa, suo fratello non è ancora…»

«Dov’è Trish? Riesce a vederla sui monitor?»

La guardia girò la sedia con le rotelle per controllare gli schermi. «Non è ancora tornata al Cubo?»

«No!» gridò Katherine, in tono allarmato.

In quel momento la guardia si rese conto che Katherine Solomon era davvero affannata, come se stesse correndo. Cosa sta succedendo laggiù? Si mise subito ad armeggiare con il joystick, facendo scorrere rapidamente le immagini video digitali. «Okay, attenda in linea, sto facendo passare le registrazioni… C’è Trish che esce dall’atrio con il suo ospite… camminano lungo la Strada… Adesso mando avanti velocemente… Okay, sono arrivati all’Acquario… Trish usa la sua chiave magnetica per aprire la porta… entrano nell’Acquario… Mando avanti… Okay, ecco che escono dall’Acquario, appena un minuto fa… si dirigono verso…» La guardia inclinò la testa, rallentando le immagini. «Aspetti un attimo. Questo è strano.»

«Cosa?»

«Il signore è uscito dall’Acquario da solo.»

«Trish è rimasta dentro?»

«Pare proprio di sì. Ora sto guardando il suo ospite… è da solo nel corridoio.»

«Dov’è finita Trish?» chiese Katherine sempre più agitata.

«Non la vedo più sul video» rispose la guardia, con l’ansia che cominciava a insinuarsi nella voce.

Continuò a far scorrere le riprese e notò che l’uomo sembrava avere la manica della giacca bagnata… fino al gomito. Che cosa accidenti ha combinato nell’Acquario?

Lo osservò avanzare a passo sicuro lungo il corridoio principale diretto al modulo 5. In mano stringeva quella che sembrava… una chiave magnetica.

La guardia sentì accapponarsi la pelle.

«Dottoressa Solomon, abbiamo un problema serio.»

Quella era una sera piena di novità per Katherine Solomon.

In due anni, non aveva mai usato il cellulare dentro il vuoto del modulo. Né l’aveva mai attraversato di corsa. In quel momento, invece, aveva il telefono premuto all’orecchio mentre si precipitava alla cieca lungo la passatoia che sembrava non finire mai. Ogni volta che un piede deviava dalla traiettoria, correggeva la direzione riportandosi al centro, sfrecciando nel buio più assoluto.

«Dov’è adesso?» chiese Katherine alla guardia, senza fiato.

«Controllo subito. Vado avanti veloce… Okay, eccolo che cammina nel corridoio… diretto verso il modulo 5…»

Katherine accelerò, sperando di raggiungere l’uscita prima di rimanere intrappolata lì dentro. «Quanto manca perché arrivi all’entrata del modulo 5?»

«Dottoressa, lei non ha capito» spiegò la guardia. «Io sto ancora mandando avanti le immagini. Queste sono registrazioni. Quello che le ho detto è già successo.» Fece una pausa. «Aspetti, mi lasci controllare il monitor con le immagini degli ingressi.» Dopo qualche istante aggiunse: «Dottoressa, la chiave magnetica della signorina Durine è stata usata per accedere al modulo 5 circa un minuto fa».

Katherine frenò di colpo, bloccandosi nel bel mezzo dell’abisso. «È già entrato nel modulo 5?» sussurrò nel cellulare.

La guardia stava digitando freneticamente sulla tastiera. «Sì, sembra proprio che sia entrato… novanta secondi fa.»

Katherine si irrigidì. Smise di respirare. L’oscurità sembrò all’improvviso prendere vita intorno a lei.

È qui dentro con me.

In un istante Katherine si rese conto che l’unica luce in tutto quello spazio proveniva dal suo cellulare, che le illuminava un lato del viso. «Mandi aiuti» sussurrò alla guardia. «E vada all’Acquario a cercare Trish.» Poi chiuse piano il telefono.

Intorno a lei scese l’oscurità.

Rimase immobile e respirò il più silenziosamente possibile. Dopo qualche istante, dal buio di fronte a lei arrivò una zaffata pungente di etanolo. L’odore si faceva via via più intenso. Katherine avvertiva una presenza a pochissima distanza da lei sulla passatoia. Nel silenzio, il suo cuore che martellava sembrava fare tanto rumore da tradirla. Lentamente, si tolse le scarpe e si spostò alla sua sinistra. Il cemento era freddo sotto i piedi. Fece un altro passo di lato per scendere dalla passatoia.

Un dito schioccò.

Nell’immobilità dell’aria sembrò un colpo di fucile.

Da una distanza di appena pochi metri, le giunse un fruscio di vestiti. Katherine scattò con un istante di ritardo e un braccio robusto la toccò, annaspando nel buio, mentre due mani cercavano disperatamente di afferrarla. Lei si voltò e corse via, ma una presa simile a una morsa le agguantò il camice, tirandola e facendola girare su se stessa.

Katherine buttò le braccia all’indietro, sfilandosi il camice per liberarsi. Poi, senza più avere la minima idea di dove fosse l’uscita, si ritrovò a correre alla cieca attraverso un abisso nero e infinito.

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Nonostante contenga quella che molti hanno definito "la più bella sala al mondo", la Biblioteca del Congresso è più nota per il suo patrimonio di libri che per lo splendore estetico. Con più di ottocento chilometri di scaffali — abbastanza da coprire la distanza fra Washington e Boston — si può fregiare tranquillamente del titolo di biblioteca più grande della terra. Ed è sempre in espansione, a un ritmo di oltre diecimila titoli al giorno.

Nata per ospitare la collezione personale di volumi scientifici e filosofici di Thomas Jefferson, la biblioteca rappresentava il simbolo dell’impegno dell’America a trasmettere il sapere. Uno dei primi edifici di Washington a essere fornito di luce elettrica, splendeva letteralmente come un faro nell’oscurità del Nuovo Mondo.

Come è implicito nel suo nome, la biblioteca era stata istituita per servire il Congresso, i cui venerabili membri lavoravano nel Campidoglio, dall’altra parte della strada. Il legame secolare fra la biblioteca e il Campidoglio era stato recentemente rinsaldato dalla creazione di un collegamento fisico: un lungo tunnel sotto Independence Avenue che metteva in comunicazione i due edifici.

All’interno di quel tunnel poco illuminato, Langdon seguiva Warren Bellamy attraverso una zona ancora in costruzione, cercando di calmare l’ansia crescente per le sorti di Katherine. Quel pazzo è nel suo laboratorio? Langdon non voleva nemmeno immaginare il motivo. Quando l’aveva chiamata per avvisarla, prima di riappendere le aveva detto esattamente dove si sarebbero incontrati. Quanto è lungo questo dannato tunnel? Gli faceva male la testa, adesso, un torrente in piena di pensieri aggrovigliati: Katherine, Peter, i massoni, Bellamy, le piramidi, un’antica profezia… e una mappa.

Langdon cercò di sgombrare la mente e continuò a camminare. Bellamy mi ha promesso delle risposte.

Quando giunsero finalmente in fondo al sottopassaggio, Bellamy fece strada a Langdon attraverso una porta a due battenti ancora da sistemare. Non trovando il modo per chiuderla a chiave dietro di sé, Bellamy improvvisò. Afferrò una scala di alluminio dagli attrezzi degli operai e ve l’appoggiò in modo precario, mettendovi sopra in equilibrio un secchio di metallo. Se qualcuno avesse aperto la porta, il secchio sarebbe caduto per terra facendo un gran baccano.

E questo sarebbe il nostro sistema d’allarme? Langdon lanciò un’occhiata al secchio appollaiato in cima alla scala e sperò che Bellamy avesse un piano più elaborato per mettersi in salvo quella sera. Era successo tutto troppo in fretta, e lui cominciava solo in quel momento a valutare le ripercussioni della sua fuga con Bellamy. Sono ricercato dalla CIA.

Bellamy, davanti a lui, svoltò un angolo e cominciò a salire un’ampia scalinata il cui accesso era impedito da una serie di birilli arancioni. Langdon era rallentato dal peso della borsa. «La piramide di pietra» disse. «Ancora non ho capito…»

«Non qui» lo interruppe Bellamy. «La esamineremo alla luce. Conosco un posto sicuro.»

Langdon dubitava che esistesse un luogo simile per una persona che aveva aggredito il direttore dell’Office of Security della CIA.

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