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Mentre rimaneva lì ferma in silenzio, la sua mente galoppava ripensando a quello che le aveva detto Langdon. Tuo fratello… è stato preso. Sentì una goccia di sudore freddo formarsi sul braccio e colare giù, verso il cellulare che stringeva ancora nella mano destra. Era un pericolo che aveva tralasciato di considerare. Se il telefono avesse squillato, avrebbe rivelato la sua posizione, ma lei non poteva spegnerlo senza aprirlo, e così facendo il display si sarebbe illuminato.

Metti giù il cellulare… e allontanati da lui.

Ma ormai era troppo tardi. L’odore di etanolo le si avvicinava da destra. E diventava sempre più forte. Katherine si costrinse a restare calma, a ignorare l’istinto di mettersi a correre. Con grande attenzione, fece un passo verso sinistra. A quanto pareva, l’aggressore non aspettava altro che di udire il debole fruscio dei suoi vestiti. Lo sentì gettarsi in avanti, e l’odore di etanolo la investì quando una mano robusta le afferrò la spalla. Lei si divincolò, sentendosi invadere da un terrore puro. Ogni considerazione razionale andò a farsi benedire e Katherine si lanciò in una corsa cieca. Girò bruscamente a sinistra, cambiando direzione, gettandosi a occhi chiusi nel vuoto.

Il muro si materializzò dal nulla.

Katherine vi andò a sbattere contro con violenza, rimanendo senza respiro. Il dolore le si diffuse nel braccio e nella spalla, ma lei riuscì a rimanere in piedi. L’angolatura obliqua con cui aveva colpito il muro aveva attutito l’impatto, ma in quel momento era una magra consolazione. Il rumore era riecheggiato ovunque. Lui sa dove sono. Piegata a metà dal male, voltò la testa fissando l’oscurità e sentì che anche lui la stava guardando.

Cambia posizione. Subito!

Sforzandosi di riprendere fiato, cominciò ad avanzare lungo la parete, tastando piano con la mano sinistra ogni bullone d’acciaio che sporgeva. Rimani rasente il muro. Allontanati prima che lui ti metta in trappola. Nella destra stringeva sempre il cellulare, pronta a lanciarglielo addosso, nel caso fosse stato necessario.

Katherine non era affatto preparata al suono che udì in quel momento: il chiaro fruscio di vestiti direttamente di fronte a lei… contro il muro. Si bloccò, trattenendo il fiato. Come fa a essere già arrivato al muro? Sentì un debole sbuffo d’aria impregnato della puzza di etanolo. Sta avanzando verso di me!

Katherine indietreggiò di parecchi passi. Poi, ruotando di centottanta gradi senza fare rumore, iniziò a camminare velocemente nella direzione opposta, sempre seguendo la parete. Aveva fatto una ventina di passi quando avvenne l’impossibile. Di nuovo, proprio di fronte a sé, avvertì un fruscio di vestiti. Poi arrivarono il solito sbuffo d’aria e l’odore di etanolo. Katherine Solomon si irrigidì.

Mio Dio, è dappertutto!

A torso nudo, Mal’akh guardò nell’oscurità.

L’odore di etanolo sulla manica si era rivelato uno svantaggio, ma lui l’aveva trasformato in una risorsa quando si era tolto la giacca e la camicia usandole per mettere all’angolo la sua preda. Dopo avere gettato la giacca contro il muro a destra, aveva sentito Katherine che si fermava e cambiava direzione. Poi, quando aveva lanciato la camicia davanti a sé a sinistra, lei si era fermata di nuovo. Di fatto era riuscito in qualche modo a confinarla stabilendo dei punti che lei non osava oltrepassare.

E ora aspettava, l’orecchio teso nel silenzio. Ha solo una direzione in cui muoversi: verso di me. Malgrado ciò, Mal’akh non udiva il minimo rumore. O Katherine era paralizzata dalla paura, o aveva deciso di rimanere immobile e aspettare che qualcuno arrivasse in suo aiuto. In un caso o nell’altro, è fregata. Sarebbe passato un po’ di tempo prima che qualcuno fosse riuscito a entrare nel modulo 5; Mal’akh aveva disabilitato il lettore ottico esterno con una tecnica un po’ rude ma molto efficace. Dopo aver usato la chiave magnetica di Trish, aveva conficcato una monetina in fondo alla fessura del lettore per impedire che altri potessero inserirvi la propria tessera.

Io e te da soli, Katherine… per tutto il tempo che ci vorrà.

Mal’akh avanzò, un centimetro alla volta, tendendo l’orecchio per cogliere il minimo rumore. Katherine Solomon sarebbe morta quella sera nell’oscurità del museo di suo fratello. Una fine poetica.

Mal’akh non vedeva l’ora di riferire a Peter la notizia della morte della sorella. L’angoscia di Peter sarebbe stata la tanto agognata vendetta.

D’un tratto Mal’akh vide nel buio, con sua grande sorpresa, un leggero bagliore in lontananza e capì che Katherine aveva commesso un errore fatale. Sta telefonando per chiedere aiuto? Il display che si era appena acceso era sospeso all’altezza della vita, circa una ventina di metri davanti a lui, come un faro in un vasto oceano nero.

Lui si era preparato ad aspettare Katherine, ma adesso non ce ne sarebbe stato più bisogno.

Scattò in avanti di corsa e si lanciò, le braccia pronte ad afferrarla, ben sapendo che doveva bloccarla prima che lei riuscisse a chiamare i soccorsi.

Le dita di Mal’akh urtarono violentemente il muro massiccio, piegandosi fino quasi a spezzarsi. Poi fu la volta della testa, che si schiantò contro una barra d’acciaio. Lui urlò per il dolore mentre si accartocciava a terra. Imprecando, si rimise in piedi aggrappandosi al montante orizzontale che gli arrivava alla vita e su cui Katherine Solomon aveva astutamente appoggiato il cellulare aperto.

Katherine si era rimessa a correre, stavolta senza preoccuparsi del rumore che faceva la sua mano rimbalzando ritmicamente sui bulloni posti a distanza regolare nella parete del modulo 5. Corri! Se avesse seguito il muro tutt’intorno al modulo, prima o poi avrebbe trovato l’uscita.

Dove diavolo è finita la guardia?

Il succedersi regolare dei bulloni continuava mentre lei correva con la mano sinistra incollata alla parete e la destra tesa in avanti per proteggersi. Quand’è che arriverò all’angolo? Il muro sembrava non finire mai, ma all’improvviso la sequenza dei bulloni si interruppe. La mano sinistra trovò una superficie liscia per parecchi passi, poi i bulloni ricominciarono. Katherine frenò subito e indietreggiò, tastando il pannello liscio di metallo. Perché qui non ci sono bulloni?

Sentiva il suo aggressore che adesso la inseguiva con passo pesante e senza più preoccuparsi del rumore, avanzando a tastoni lungo il muro. Eppure fu un altro suono a spaventarla ancora di più: il tonfo ritmico e distante provocato dalla guardia di sicurezza che batteva la torcia elettrica contro la porta del modulo 5.

La guardia non riesce a entrare?

Anche se quel pensiero la terrorizzò, l’aver localizzato la direzione da cui proveniva quel rumore — in diagonale sulla sua destra — l’aiutò a orientarsi. Quel flash visivo portò con sé un’inattesa intuizione: adesso sapeva che cos’era il pannello liscio nel muro.

Ogni modulo era fornito di un dispositivo che consentiva il passaggio del materiale: un gigantesco muro mobile che poteva essere spostato per trasportare dentro e fuori dal modulo le attrezzature ingombranti. Come quelli degli hangar per gli aerei, anche questo portello era enorme, e Katherine non si sarebbe mai sognata che avrebbe avuto bisogno di aprirlo. Al momento, però, sembrava la sua unica speranza.

Ma riuscirò a muoverlo?

Katherine armeggiò, tastando alla cieca finché trovò la grossa maniglia di metallo. L’afferrò e tirò con tutte le sue forze, cercando di far scivolare il portello. Niente. Provò di nuovo. Quello non si mosse.

Sentì il suo aggressore che ora si avvicinava velocemente, orientandosi grazie al rumore che faceva lei tentando di uscire. Il portello sarà bloccato! In preda al panico, fece scivolare le mani su tutta la superficie cercando un chiavistello o una leva. D’un tratto urtò contro quello che sembrava un paletto verticale. Ne seguì la lunghezza fino al pavimento, accovacciandosi, e sentì che era infilato in un buco nel cemento. Una barra di sicurezza! Si alzò in piedi, afferrò il paletto e, facendo forza con le gambe, lo sollevò estraendolo dal buco.

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