Литмир - Электронная Библиотека
Содержание  
A
A

La cabina si fermò con un sobbalzo.

Le porte di bronzo si spalancarono e Mal’akh guardò la sontuosa sala che si apriva davanti a lui. L’enorme stanza quadrata era adornata di simboli e immersa nel chiarore lunare che entrava da un lucernario al centro del soffitto, in alto sopra la sua testa.

Ho chiuso il cerchio, pensò Mal’akh.

La Sala del Tempio era lo stesso luogo in cui Peter Solomon e gli altri fratelli avevano stoltamente iniziato Mal’akh, elevandolo al loro rango. Ora il più sublime segreto dei massoni, di cui la maggior parte dei fratelli negava persino l’esistenza, stava per essere riportato alla luce.

«Non troverà nulla» disse Langdon, ancora provato e disorientato, mentre seguiva Sato e gli altri su per la rampa uscendo dallo scantinato. «Non esiste una vera parola. È tutta una metafora: un simbolo degli antichi misteri.»

Katherine camminava dietro di lui, sorretta da due agenti.

Mentre il gruppo scavalcava con cautela la porta di acciaio distrutta e oltrepassava il dipinto girevole, arrivando in soggiorno, Langdon spiegò a Sato che la Parola perduta era uno dei simboli più longevi della massoneria: un’unica parola, scritta in un linguaggio arcano che l’uomo non riusciva più a comprendere. La Parola, come i misteri stessi, prometteva di svelare i propri poteri nascosti solo a chi fosse abbastanza illuminato da decifrarla. «Dicono» concluse «che se possiedi e capisci la Parola perduta… allora gli antichi misteri saranno tuoi di diritto.»

Sato gli lanciò un’occhiata. «Quindi lei crede che quest’uomo stia cercando una parola?»

Langdon doveva ammettere che l’ipotesi era apparentemente assurda, eppure dava una risposta a diverse questioni. «Senta, io non sono un esperto in magia rituale» rispose «ma dai documenti sulla parete dello scantinato… e dalla descrizione di Katherine del punto non tatuato sulla sommità della sua testa… direi che lui spera di trovare la Parola e di scriverla sul suo corpo.»

Sato guidò il gruppo verso la sala da pranzo. Fuori, l’elicottero si preparava al decollo e le pale giravano sempre più vorticosamente.

Langdon continuava a parlare, pensando ad alta voce. «Se questo tizio è davvero convinto che fra poco dischiuderà il potere degli antichi misteri, nella sua mente nessun simbolo sarebbe più efficace della Parola perduta. Se riuscisse a trovarla e a scriversela sulla testa, già un luogo sacro di per sé, allora potrebbe senza dubbio considerarsi perfettamente adorno e pronto dal punto di vista ritualistico per…» Fece una pausa vedendo Katherine sbiancare al pensiero del destino di Peter.

«Ma, Robert» disse lei con un filo di voce, appena udibile a causa del rumore dell’elicottero «questa è una bella notizia, no? Se vuole trascrivere la Parola perduta sulla sua testa prima di sacrificare Peter, allora abbiamo ancora tempo. Non lo ucciderà finché non avrà trovato la Parola. E se non esiste…»

Mentre un agente aiutava Katherine a sedersi, Langdon cercò di sembrare speranzoso. «Purtroppo, Peter crede che tu sia qui a dissanguarti. Pensa che l’unico modo per salvarti sia collaborare con questo pazzo… probabilmente aiutandolo a trovare la Parola perduta.»

«E anche se fosse?» insistette lei. «Se la Parola non esiste…»

«Katherine» replicò Langdon guardandola negli occhi. «Se io pensassi che tu stai morendo, e se qualcuno mi promettesse che potrei salvarti trovando la Parola perduta, rivelerei a quest’uomo una parola… qualsiasi parola… e poi pregherei Dio che lui mantenga la sua promessa.»

«Direttore Sato!» gridò un agente dalla stanza accanto. «Venga qui!»

Sato corse fuori dalla sala da pranzo e vide uno dei suoi agenti sulle scale che scendeva dal piano di sopra. Aveva in mano una parrucca bionda. Ma che diavolo…?

«È di quel tìzio» disse l’agente porgendogliela. «L’ho trovata nel guardaroba. La guardi bene da vicino.»

La parrucca era molto più pesante di quanto Sato si aspettasse. La calotta sembrava fatta di un materiale gelatinoso e, stranamente, dall’interno usciva un cavo.

«Batterie al gel che si adattano allo scalpo» spiegò l’agente. «Alimentano una minuscola videocamera a fibre ottiche nascosta nei capelli.»

«Cosa?» Sato toccò la parrucca finché trovò la piccola lente sistemata nella frangia bionda in modo che non si notasse. «Questo affare è una telecamera nascosta?»

«Una videocamera» la corresse l’agente. «Archivia le immagini in questa scheda a stato solido.» Le indicò un quadratino di silicio grande come un francobollo incorporato nella calotta della parrucca. «Probabilmente è azionata dal movimento.»

Cristo santo, pensò Sato. Ecco come c’è riuscito.

Quella versione di lusso della classica telecamera nascosta nel "fiore all’occhiello" aveva giocato un ruolo chiave nella crisi che il direttore dell’os stava affrontando quella sera. Sato la osservò ancora per qualche istante, poi la riconsegnò all’agente.

«Continuate a perquisire la casa» disse. «Voglio che troviate anche la minima informazione su questo tizio. Sappiamo che manca il suo portatile, e voglio scoprire esattamente in che modo pensa di connettersi mentre è fuori. Cercate nel suo studio manuali, cavi, qualsiasi cosa che possa darci un indizio sull’hardware che ha installato.»

«Va bene, direttore.» L’agente corse via.

È ora di andare. Sato sentiva il sibilo delle pale dell’elicottero che giravano a pieno regime. Si affrettò a tornare nella sala da pranzo, dove nel frattempo Warren Bellamy era stato accompagnato da Simkins, che gli stava chiedendo ragguagli sull’edificio verso il quale credevano fosse diretto il loro bersaglio.

La House of the Temple.

«Le porte sul davanti sono chiuse dall’interno» stava dicendo Bellamy, avvolto in una coperta isotermica. Tremava ancora visibilmente per il freddo accumulato in Franklin Square. «L’unico ingresso da cui potete entrare è quello sul retro. Ha un tastierino di sicurezza con un codice di accesso noto solo ai membri della fratellanza.»

«Qual è il codice?» chiese Simkins prendendo appunti.

Bellamy si sedette, troppo debole per reggersi in piedi. Battendo i denti, comunicò il proprio codice di accesso e poi aggiunse: «L’indirizzo è il civico 1733 di Sixteenth Street, ma sarà meglio che arriviate dal parcheggio dietro l’edificio. È un po’ più difficile da trovare ma…».

«So esattamente dov’è» disse Langdon. «Ve lo mostrerò quando saremo in zona.»

Simkins scosse la testa. «Lei non viene, professore. Questa è una missione militare e…»

«Scordatevelo!» sbottò Langdon. «Là dentro c’è Peter! E quel palazzo è un labirinto. Senza qualcuno a guidarvi, ci metterete dieci minuti per trovare la Sala del Tempio!»

«Ha ragione» confermò Bellamy. «È un vero intrico. C’è un ascensore, d’accordo, ma è vecchio e rumoroso, e si apre direttamente sulla Sala del Tempio. Se volete arrivare inosservati, dovete salire a piedi.»

«Vi perderete sicuramente» li avvertì Langdon. «Dall’ingresso sul retro dovete attraversare la Sala delle Insegne, la Galleria d’Onore, andare nell’atrio al piano rialzato, salire la Grande Scalinata e…»

«Basta così» lo interruppe Sato. «Langdon viene con noi.»

108
{"b":"120908","o":1}