Quando il Triton si schiantò in mare e affondò sotto le onde, Rachel si sentì spingere con forza contro il seggiolino. La sua spina dorsale fu compressa, mentre l'acqua illuminata artificialmente si richiudeva sopra la cupola. Si sentì soffocare quando il batiscafo si fermò sott'acqua e poi riaffiorò velocemente, come un grande pezzo di sughero.
Gli squali attaccarono istantaneamente. Rachel sedette immobile nel suo posto in prima fila a osservare lo spettacolo raccapricciante davanti ai suoi occhi.
Delta-Due sentì la testa bislunga del pesce colpirlo con immane violenza. Una tenaglia, affilata come un rasoio, gli serrò l'omero. Un dolore devastante esplose nel suo corpo quando lo squalo si contorse e scosse la testa con violenza, strappandogli il braccio. Altri squali lo azzannarono alle gambe, al torso e al collo. Senza avere nemmeno la possibilità di urlare mentre i pesci gli martoriavano il corpo, l'ultima cosa che vide fu una chiostra di denti che si chiudevano sul suo volto. Poi, il buio.
Dentro il Triton, il tambureggiare delle teste cartilaginee degli squali contro lo scafo si acquietò. Rachel aprì gli occhi. L'uomo non c'era più e l'acqua era rossa.
Sconvolta, si rannicchiò sul sedile, le ginocchia contro il petto. Sentiva che il batiscafo si stava muovendo e sfregava contro il ponte inferiore della nave alla deriva nella corrente, ma anche verso il basso.
All'esterno, il caratteristico gorgoglio dell'acqua nei serbatoi di zavorra aumentò di intensità. Il livello dell'oceano, fuori dall'oblò, saliva.
"Sto affondando!"
In preda al panico, balzò in piedi. Afferrò la maniglia del portello sopra la sua testa. Se ce l'avesse fatta a uscire dal batiscafo, avrebbe potuto ancora saltare sul ponte della Goya, a un metro di distanza.
"Devo uscire da qui!"
Il meccanismo del portello indicava chiaramente la direzione verso la quale bisognava ruotare la maniglia. Rachel tirò. Il portello non si smosse. Provò di nuovo. Niente. Era incastrato, forse deformato. La paura crebbe nel suo sangue come l'acqua intorno a lei. Fece un ultimo sforzo.
Il portello non si mosse.
Il Triton affondò ancora di qualche centimetro, rimbalzando contro la Goya per l'ultima volta, prima di sgusciare da sotto il grande catamarano verso il mare aperto.
126
«No! La prego!» supplicò Gabrielle. Sexton stava finendo di fotocopiare. «Così condanna a morte sua figlia!»
Il senatore fece finta di non averla sentita e andò alla scrivania con dieci pile identiche di fogli. Erano le riproduzioni delle pagine che Rachel gli aveva mandato per fax, compreso il messaggio scritto a mano che dichiarava che il meteorite era un falso e accusava la NASA e la Casa Bianca di attentare alla sua vita.
"Il più devastante comunicato stampa che sia mai stato redatto" pensò Sexton, mentre si apprestava a infilare ogni serie di copie in una busta bianca telata con il suo nome, l'indirizzo dell'ufficio e il sigillo senatoriale. Non ci sarebbero stati dubbi sulla provenienza di quelle incredibili informazioni. "Lo scandalo politico del secolo… e sarò io a rivelarlo!"
Gabrielle lo esortò ancora a pensare al bene di Rachel, ma lui nemmeno la sentì. Mentre assemblava il materiale, aveva la sensazione di trovarsi su un altro pianeta. "Ogni carriera politica ha il suo momento chiave. Questo è il mio, senza dubbio."
Il messaggio telefonico di William Pickering era stato chiaro: se il senatore avesse rivelato qualcosa, la vita di sua figlia sarebbe stata in pericolo. Sfortunatamente per Rachel, Sexton sapeva anche che smascherare il falso della NASA gli avrebbe dato la certezza di insediarsi alla Casa Bianca con un colpo di scena senza precedenti nella storia degli Stati. Uniti.
"La vita è piena di decisioni difficili" pensò. "E ha successo solo chi è capace di prenderle."
Gabrielle Ashe aveva già visto quell'espressione di cieca ambizione negli occhi di Sedgewick Sexton. Le faceva paura, e adesso capiva perché: pur di essere il primo ad annunciare la scoperta dell'inganno, il senatore era disposto a mettere a repentaglio la vita della figlia. «Non capisce che ormai ha vinto?» gli disse. «Zach Herney e la NASA non potranno sopravvivere allo scandalo. Non ha importanza chi li avrà smascherati, o quando! Aspetti fino a che non saprà che Rachel è al sicuro. Aspetti di parlare con Pickering!»
Sexton non le diede ascolto. Aprì il cassetto della scrivania e ne estrasse un foglio argentato, sul quale erano affisse decine di sigilli di cera autoadesivi, del diametro di due centimetri, con le sue iniziali. Normalmente li usava per gli inviti formali, ma Gabrielle capì che il senatore, col suo rosso sigillo di cera, voleva rendere il tutto ancora più plateale. Sexton staccò i sigilli e trasformò ogni busta in un'epistola con tanto di monogramma.
Una nuova ondata di collera assalì Gabrielle. Pensò alle riproduzioni digitali degli assegni illegali archiviate nel computer. Se lei vi avesse accennato, Sexton le avrebbe cancellate per togliere di mezzo ogni prova. «Si fermi» intimò «o dico a tutti della nostra relazione.»
Lui le rise in faccia, continuando ad attaccare i sigilli. «Oh, davvero? E tu pensi che crederanno a un'ambiziosa assistente che si vuole vendicare perché non le è stato offerto un posto nella nuova amministrazione? Ho già negato di avere avuto una relazione con te. Lo negherò di nuovo.»
«La Casa Bianca ha le foto.»
Sexton neppure la guardò. «Non hanno nessuna foto e, anche se l'avessero, non varrebbe niente. Ho l'immunità.» Sigillò l'ultima lettera. «Le foto in queste buste battono qualunque arma possa essere usata contro di me.»
Aveva ragione, e Gabrielle lo sapeva. Si sentì completamente impotente mentre Sexton ammirava la sua opera. Sul tavolo, dieci buste bianche telate, con il suo nome e l'indirizzo stampati in rilievo, chiuse da un sigillo di cera rossa con le sue iniziali. Sembravano le lettere di un re e, certamente, tanti erano assurti al trono con legittimazioni molto meno decisive.
Sexton prese le buste e fece per andarsene. Gabrielle si spostò per sbarrargli il passo. «Sta commettendo un errore. Non agisca precipitosamente.»
Gli occhi di lui erano come lame. «Io ti ho creato, Gabrielle; e adesso ti ho distrutto.»
«Il fax di Rachel le darà la presidenza. Deve molto a sua figlia.»
«Le ho dato anche troppo.»
«E se le succede qualcosa?»
«Nel caso, potrò contare anche sul voto di solidarietà.»
Gabrielle era disgustata. Non poteva credere che una cosa del genere gli fosse passata per la testa, meno ancora che gli fosse uscita dalle labbra. «Telefono alla Casa…»
Sexton si voltò di scatto e la colpì con uno schiaffo in pieno viso.
Gabrielle sentì il labbro che si spaccava. Aggrappata alla scrivania, fissava sbalordita l'uomo che una volta aveva venerato.
Sexton la guardò a lungo, severamente. «Se solo ti azzardi a pensare di ostacolarmi, te ne farò pentire per il resto dei tuoi giorni.» Era in piedi, risoluto, le dieci buste strette sotto il braccio. Un'espressione minacciosa ardeva nei suoi occhi.
Gabrielle Ashe uscì nella gelida aria notturna con il labbro ancora sanguinante e fermò un taxi. Poi, per la prima volta da quando si trovava a Washington, scoppiò in lacrime.