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Tolland lanciò il pesce in mare. Nell'istante in cui raggiunse l'acqua, sei o sette squali schizzarono in superficie e snudando i denti argentei azzannarono con furia il pesce insanguinato. Un attimo dopo, era sparito.

Atterrita, Rachel fissò Tolland, che aveva già un altro pesce in mano. Stesso tipo, stesse dimensioni.

«Questa volta, niente sangue» disse. Senza tagliarlo, lo gettò in acqua. Il pesce sprofondò, e non successe nulla. Gli squali non vi fecero alcun caso. L'esca fu trasportata via dalla corrente senza destare il loro interesse.

«Attaccano soltanto in base all'olfatto» spiegò Tolland, conducendoli via. «Infatti, si potrebbe nuotare in mezzo a loro senza correre alcun rischio, a patto di non avere ferite aperte.»

Corky indicò i punti di sutura sulla sua guancia.

Tolland annuì. «Già. Niente nuotata per te.»

102

Il taxi di Gabrielle Ashe non avanzava di un metro.

Bloccata nei pressi del Roosevelt Memorial, guardò i veicoli di emergenza lontani con l'impressione che un surrealistico banco di nebbia fosse calato sulla città. Alla radio, servizi speciali annunciavano la probabile presenza di un esponente governativo di primo piano sulla macchina esplosa.

Digitò il numero del senatore sul cellulare. Sicuramente si stava chiedendo perché lei ci impiegasse tanto.

La linea era occupata.

Lanciò un'occhiata al tassametro e corrugò la fronte. Alcune macchine salivano sul marciapiede e invertivano la marcia per trovare strade alternative. L'autista si voltò verso di lei. «Vuole aspettare? I soldi sono suoi.»

Gabrielle vide che stavano arrivando altre auto di soccorso. «No, torniamo indietro.»

Un grugnito affermativo, poi l'uomo iniziò la macchinosa inversione a U. Mentre sobbalzavano sul marciapiede, Gabrielle tentò di nuovo di chiamare Sexton.

Ancora occupato.

Parecchi minuti più tardi, dopo una lunga deviazione, il taxi procedeva per C Street. Gabrielle vide profilarsi il palazzo del Senato Philip A. Hart. Era partita intenzionata ad andare dritto a casa di Sexton, ma visto che l'ufficio era così vicino… «Accosti» ordinò all'autista. «Proprio lì, grazie.»

L'auto si fermò.

Gabrielle gli porse dieci dollari in più rispetto all'ammontare del tassametro. «Può aspettarmi dieci minuti?»

L'uomo guardò i soldi e poi l'orologio. «Non un minuto di più.»

Lei scese di corsa. "Sarò di ritorno tra cinque."

L'atmosfera dei corridoi di marmo del palazzo appariva quasi sepolcrale a quell'ora. Sentì i muscoli in tensione mentre procedeva veloce tra le coppie di statue austere allineate lungo l'ingresso del terzo piano. I loro occhi di pietra sembravano seguire i suoi movimenti come silenziose sentinelle.

Alla porta principale degli uffici del senatore Sexton, costituiti da cinque locali, usò la chiave elettronica per entrare. La segreteria era poco illuminata. Attraversò l'atrio e percorse il corridoio che portava al suo ufficio. Entrò, accese le luci al neon e puntò dritto verso gli schedari.

Aveva un intero dossier sul bilancio preventivo dell'Earth Observing System della NASA, comprese molte informazioni sul PODS. Sexton avrebbe sicuramente voluto tutti i dati disponibili non appena lei gli avesse raccontato di Harper.

"La NASA ha mentito sul PODS."

Mentre scartabellava tra i dossier, squillò il cellulare.

«Senatore?»

«No, Gabs. Sono Yolanda.» La voce dell'amica aveva un tono insolitamente spiccio. «Sei ancora alla NASA?»

«No, in ufficio.»

«Scoperto qualcosa là?»

"Non puoi immaginare." Ma sapeva di non poterle dire nulla prima di aver parlato con Sexton: il senatore avrebbe avuto idee precise su come gestire le informazioni. «Ti racconto tutto dopo che ho visto Sexton. Sto andando da lui.»

Yolanda fece una breve pausa. «Gabs, hai presente quello che sostenevi sui finanziamenti della campagna di Sexton e sulla Space Frontier Foundation?»

«Sì, sbagliavo e…»

«Ho appena scoperto che due nostri cronisti che si occupano dell'industria aerospaziale lavorano da qualche tempo a questa storia.»

Gabrielle era sconcertata. «E allora?»

«Non so, ma sono due tipi in gamba, e si dicono persuasi che Sexton prenda tangenti dalla SFR Ho pensato di avvisarti. So di averti detto che l'idea era assurda. Marjorie Tench pareva poco affidabile come fonte, ma questi nostri collaboratori… non so, forse faresti bene a sentirli prima di incontrare il senatore.»

«Se sono tanto convinti, come mai non hanno pubblicato quello che sanno?» chiese Gabrielle in tono involontariamente difensivo.

«Non ci sono prove concrete. A quanto pare, il senatore è bravissimo a cancellare ogni traccia.»

"Come la maggior parte dei politici." «Il senatore è pulito, Yolanda. Ti ho detto che ha ammesso di ricevere donazioni dalla SFF, ma sono tutte al di sotto del tetto massimo consentito.»

«Certo, questo è ciò che ha raccontato a te, Gabs, e non pretendo di sapere se è vero o falso. Ho semplicemente sentito il dovere di chiamarti perché ti avevo detto di non fidarti di Marjorie Tench, e ora scopro che ci sono altre persone sicure che il senatore è sul libro paga della SFF. Tutto qui.»

«Chi sono questi giornalisti.?» Gabrielle si sentì assalire da una rabbia crescente e inattesa.

«Niente nomi, però posso organizzarti un incontro. Persone in gamba, che conoscono bene la legge sui finanziamenti elettorali…» Yolanda esitò un momento. «Sai, credono che Sexton abbia un bisogno disperato di liquidi… che sia sull'orlo della bancarotta.»

Nel silenzio dell'ufficio, Gabrielle risentì echeggiare le rauche accuse della Tench. "Dopo la morte della moglie, il senatore ha dissipato la maggior parte dell'eredità in pessimi investimenti, lussi personali e per comprare quella che appare la sua vittoria certa alle primarie. Appena sei mesi fa, il suo candidato era sul lastrico."

«I miei colleghi sarebbero contenti di parlare con te.»

"Ci credo" si disse Gabrielle. «Bene, ti richiamo.»

«Sembri incazzata.»

«Mai con te, Yolanda. Mai, per nessun motivo. Grazie di tutto.»

Chiuse la comunicazione.

L'addetto alla sicurezza sonnecchiava su una sedia nel corridoio fuori dall'appartamento di Westbrooke del senatore Sexton quando fu svegliato di soprassalto dallo squillo del cellulare. Con un balzo sulla sedia, si fregò gli occhi ed estrasse il telefono dalla tasca della giacca.

«Sì?»

«Owen, sono Gabrielle.»

L'uomo riconobbe la voce. «Oh, salve.»

«Ho bisogno di parlare con il senatore. Le dispiace bussare alla porta? Il telefono è sempre occupato.»

«È molto tardi.»

«È sveglio, ne sono sicura.» Il tono era ansioso. «È un'emergenza.»

«Un'altra?»

«La stessa. Me lo passi al telefono, per favore. Ho davvero bisogno di chiedergli una cosa, Owen.»

La guardia si alzò con un sospiro. «Okay, okay. Vado a bussare.» Si stirò mentre si avviava verso la porta. «Ma lo faccio solo perché era contento che l'avessi fatta entrare, prima.» Con una certa riluttanza, alzò il pugno per bussare.

«Che ha detto?»

L'uomo si bloccò con la mano a mezz'aria. «Che il senatore era contento che l'avessi fatta entrare, prima. Aveva ragione, non c'era problema.»

«Ne ha parlato con il senatore?» Il tono di Gabrielle era sbalordito.

«Sì, e allora?»

«No, è che…»

«Per la verità, è stato strano, perché ha impiegato un paio di secondi per ricordare la sua visita. Probabilmente lui e gli amici avevano bevuto parecchio.»

«Quando ne avete parlato, Owen?»

«Subito dopo che lei è andata via. Perché, qualcosa non va?»

Un attimo di silenzio. «No… no, nulla. Senta, ora che ci ripenso, meglio non disturbarlo in questo momento. Continuerò a insistere al suo numero di casa, e se non ho fortuna la richiamo.»

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