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Rachel guardò Tolland. «Credevo che la coesione del ghiacciaio fosse fondamentale per stabilire la datazione degli strati. La dottoressa Mangor sostiene che non ci sono crepe né fessure, mi pare.»

Corky si accigliò. «A quanto pare la regina dei ghiacci ha preso un granchio.»

"Non dirlo troppo forte, o ti troverai una scheggia gelata conficcata nella schiena" pensò Rachel.

Tolland si fregò il mento, gli occhi fissi sulle creature fosforescenti. «Non può esserci altra spiegazione. Si tratta per forza di una crepa. Il peso della banchisa sul mare spinge acqua salata ricca di plancton su per il pozzo.»

"Alla faccia della crepa" pensò Rachel. Se il ghiaccio aveva uno spessore di cento metri e il pozzo era profondo settanta, l'ipotetica crepa doveva attraversare trenta metri di ghiaccio solido. "Ma i carotaggi di Norah Mangor non hanno rilevato fenditure."

«Fammi un favore» disse Tolland a Corky. «Va' a cercare Norah. Speriamo che sappia qualcosa che non ha rivelato. E trova anche Ming. Forse lui saprà dirci che cosa sono queste creature.»

Corky si allontanò.

«Fai in fretta» gli gridò dietro Tolland, tornando a guardare nel pozzo. «Giurerei che la bioluminescenza si sta attenuando.»

Anche Rachel guardò. Era vero, il verde appariva meno brillante di prima.

Tolland si sfilò il parka e lo posò sul ghiaccio, vicino al buco.

Rachel lo guardò sorpresa. «Mike?»

«Voglio scoprire se entra acqua marina.»

«E ti sdrai sul ghiaccio senza giacca?»

«Sì.» Tolland si distese sulla pancia. Tenendo la giacca per una manica, lasciò penzolare l'altra nel pozzo finché il polsino sfiorò l'acqua. «Questo è un test di salinità molto preciso usato dai migliori oceanografi. Si chiama "leccare una manica bagnata".»

Fuori, sulla banchisa, Delta-Uno stringeva il joystick faticando a tenere in volo il microbot danneggiato sopra il gruppo riunito intorno al pozzo. Dalle conversazioni in corso, comprese che le cose stavano precipitando.

«Chiama il capo» ordinò. «La situazione è grave.»

40

Gabrielle Ashe aveva fatto più volte la visita guidata della Casa Bianca, in gioventù, col sogno segreto di lavorare un giorno nella residenza presidenziale e diventare parte di quella squadra di élite che decideva il futuro della nazione. In quel momento, tuttavia, avrebbe preferito trovarsi in qualunque altro posto sulla terra.

Mentre l'agente della sicurezza dell'East Gate la guidava nell'elegante sala d'ingresso, si chiese che cosa diavolo volesse dimostrare il suo informatore anonimo. Pazzesco invitarla alla Casa Bianca. "E se mi vedono?" Nella sua veste di braccio destro del senatore Sexton, Gabrielle aveva acquisito una certa notorietà, negli ultimi tempi. Qualcuno avrebbe potuto riconoscerla.

«Signora Ashe?»

Lei alzò la testa. Una guardia dall'aria cortese le rivolse un cordiale sorriso. «Guardi là, prego.» Indicò un punto.

Gabrielle si voltò nella direzione segnalata e fu accecata da un flash.

«La ringrazio.» La guardia la guidò verso una scrivania e le porse una penna. «Per favore, firmi il registro dei visitatori.» Le avvicinò un pesante libro rilegato in pelle.

Gabrielle notò che era aperto su una pagina bianca. Ricordò che tutti i visitatori della Casa Bianca firmavano su una pagina vuota per questioni di riservatezza. Scrisse il suo nome.

"Alla faccia dell'incontro segreto."

Passò attraverso il metal detector e ricevette una lieve pacca sulla spalla. «Buona visita, signora Ashe.»

Gabrielle seguì l'uomo per una ventina di metri lungo un corridoio piastrellato che portava a un secondo controllo di sicurezza, dove un'altra guardia stava tirando fuori da una macchina plastificatrice un pass per gli ospiti. Vi praticò un foro, vi infilò una cordicella e lo fece passare sulla testa di Gabrielle. La plastica era ancora calda. La foto era quella che le avevano scattato quindici secondi prima nell'atrio.

Gabrielle era molto colpita. "Chi dice che il governo è inefficiente?"

Proseguirono, con l'agente della sicurezza che la guidava all'interno del complesso della Casa Bianca. Gabrielle sentiva crescere il disagio a ogni passo. Chiunque fosse stato a mandarle quel misterioso invito, di sicuro non si curava che l'incontro rimanesse riservato. Gabrielle aveva ricevuto un pass ufficiale, firmato il registro degli ospiti, e in quel momento attraversava il primo piano della Casa Bianca tra la folla dei turisti.

«E questa è la Sala delle porcellane» stava dicendo una guida «dove è custodito il servizio di porcellana bordato di rosso di Nancy Reagan, 952 dollari a coperto, che nel 1981 ha scatenato un putiferio sugli eccessi di spesa degli inquilini della Casa Bianca.»

Proseguirono verso una grande scalinata di marmo, su cui stava salendo un altro gruppo. «State per entrare nella Sala orientale, trecento metri quadrati, dove Abigail Adams un tempo stendeva il bucato di John Adams» raccontava la guida. «Poi passeremo nella Sala rossa, dove Dolley Madison riempiva di liquori i capi di Stato in visita prima che James Madison negoziasse con loro.»

Risate dei turisti.

Oltre la scalinata, superarono una serie di paletti cordonati che delimitavano le zone riservate dell'edificio. A quel punto entrarono in una sala che Gabrielle aveva visto soltanto sui libri o in televisione. Restò senza fiato.

"Dio mio, questa è la Sala delle mappe!"

Era esclusa dall'itinerario delle visite guidate. Le pareti rivestite di pannelli di legno potevano scorrere per rivelare strati e strati di mappe di tutto il mondo. Era il posto in cui Roosevelt seguiva gli eventi della Seconda guerra mondiale. Malauguratamente, era anche la stanza in cui Clinton aveva confessato la relazione con Monica Lewinsky. Gabrielle scacciò dalla mente quel particolare. La Sala delle mappe, soprattutto, era il passaggio verso l'ala Ovest, la zona in cui lavoravano i veri potenti della Casa Bianca. Era l'ultimo posto in cui si aspettava di andare. Aveva immaginato che le e-mail provenissero da un giovane stagista intraprendente o da una segretaria impiegata in un ufficio di secondaria importanza all'interno del complesso. Evidentemente, non era così.

"Sto andando nell'ala Ovest…"

La sua guida l'accompagnò fino in fondo a un corridoio rivestito dimoquette e si fermò davanti a una porta senza targa. Bussò. Gabrielle sentì il battito cardiaco accelerare.

«È aperto» gridò qualcuno dall'interno.

L'uomo aprì la porta e le fece cenno di entrare.

Le tende erano chiuse, la stanza in penombra. Scorse la sagoma di una persona seduta alla scrivania.

«La signora Ashe?» La voce proveniva da una nuvola di fumo di sigaretta. «Benvenuta.»

Mentre i suoi occhi si adattavano all'oscurità, Gabrielle riconobbe i tratti di un volto noto e si irrigidì per la sorpresa. "È lei che mi ha mandato la e-mail?"

«Grazie di essere venuta» le disse Marjorie Tench con freddezza.

«La signora… Tench?» balbettò Gabrielle, senza fiato.

«Mi chiami Marjorie.» L'orrida donna si alzò in piedi, sputando fumo dalle narici come un drago. «Io e lei diventeremo ottime amiche.»

36
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