Il direttore della NASA non rispose. Aveva un'espressione molto seria in volto.
Tolland si schiarì la gola. «Devo concordare con Rachel. Nel pozzo c'erano acqua salata e plancton. Quale che sia la spiegazione, è chiaro che il pozzo non è un ambiente chiuso. Questo non lo si può proprio affermare.»
Corky appariva imbarazzato. «Ehi, gente, non per tirarmela da astrofisico, ma nel mio campo, quando commettiamo un errore, di solito siamo fuori di miliardi di anni. È proprio così importante questa storia del plancton e dell'acqua marina? Insomma, la compattezza del ghiaccio che circonda il meteorite non ha alcuna influenza sul meteorite stesso, no? Abbiamo pur sempre i fossili, e nessuno mette in dubbio la loro autenticità. Se salta fuori che abbiamo sbagliato sulla datazione, nessuno ci farà caso, mentre tutti si concentreranno sul fatto che abbiamo trovato prove dell'esistenza della vita su un altro pianeta.»
«Spiacente, dottor Marlinson» replicò Rachel «ma poiché mi guadagno da vivere analizzando i dati, devo dissentire. Anche una piccola pecca nelle informazioni che la NASA presenterà stasera può inficiare la credibilità di tutta la scoperta. E far dubitare anche dell'autenticità dei fossili.»
Corky rimase a bocca aperta per lo stupore. «Ma che sta dicendo? Quei fossili sono incontestabili!»
«Lo so io e lo sa lei ma, si fidi, se il pubblico fiuta che la NASA ha consapevolmente presentato dati controversi, immediatamente si chiederà anche su che cos'altro ha mentito.»
Norah si fece avanti con aria aggressiva. «I miei dati non sono in discussione.» Si voltò verso il direttore. «Io le posso provare, categoricamente, che non c'è ghiaccio di origine marina intrappolato in questa banchisa!»
Il direttore soffermò a lungo lo sguardo su di lei. «In che modo?»
Norah illustrò il piano. Quando ebbe finito, la sua idea appariva ragionevole. Rachel dovette ammetterlo.
Il direttore, peraltro, non sembrava convinto. «E i risultati saranno definitivi?»
«Al cento per cento» lo rassicurò Norah. «Se c'è anche un grammo di acqua salata in prossimità del pozzo di estrazione, la vedrà. Bastano alcune goccioline e il mio strumento si illumina come Times Square.»
La fronte del direttore si corrugò sotto il taglio di capelli militaresco. «Non c'è molto tempo. Mancano un paio d'ore alla conferenza stampa.»
«Sarò di ritorno tra venti minuti.»
«A che distanza deve andare da qui?»
«Meno di duecento metri. Dovrebbe bastare.»
Ekstrom annuì. «Sicura di non correre rischi?»
«Porterò i razzi di segnalazione e Mike potrebbe accompagnarmi.»
Tolland sollevò di scatto la testa. «Devo proprio?»
«Ci puoi scommettere, Mike! Saremo legati. Mi tornerà comodo un bel paio di braccia forti, se il vento rinforza.»
«Ma…»
«Ha ragione» disse il direttore, rivolto a Tolland. «Non può andare da sola. Manderei con lei qualche mio uomo ma, in tutta franchezza, preferisco tenere per noi questa storia del plancton finché non accertiamo se è davvero un problema.»
Tolland assentì con una certa riluttanza.
«Vorrei andare anch'io» disse Rachel.
Norah guizzò come un cobra. «Col cavolo.»
«Per la verità» intervenne il direttore, come se avesse appena avuto la stessa idea «mi sentirei più tranquillo se usassimo la classica configurazione a quattro della cordata. Se andate in due, e Mike scivola, lei non sarà in grado di reggerlo da sola. È molto meno rischioso con quattro persone anziché due.» Fece una pausa e guardò Corky. «Il che significa lei oppure il dottor Ming.» Ekstrom lanciò uno sguardo circolare nell'habisfera. «A proposito, dov'è Ming?»
«È da un po' che non lo vedo» rispose Tolland. «Forse sta dormendo.»
Ekstrom si rivolse a Corky. «Dottor Marlinson, non posso imporle di andare fuori con loro, eppure…»
«Al diavolo! Visto che tutti concordano…!»
«No!» esclamò Norah. «In quattro saremmo rallentati. Andiamo solo Mike e io.»
«Assolutamente no.» Il tono del direttore non ammetteva repliche. «C'è una buona ragione se le cordate sono sempre di almeno quattro persone, e non è proprio il caso di correre rischi. L'ultima cosa che voglio è un incidente un paio d'ore prima della più importante conferenza stampa nella storia della NASA.»
43
Nell'aria pesante dell'ufficio di Marjorie Tench, Gabrielle Ashe avvertiva un forte senso di insicurezza. "Cosa può volere da me questa donna?" Dietro l'unica scrivania della stanza, la Tench si rilassò contro lo schienale della sedia, i tratti duri del volto distesi in un'espressione compiaciuta davanti al disagio di Gabrielle.
«Le dà fastidio se fumo?» chiese, estraendo un'altra sigaretta dal pacchetto.
«No» mentì Gabrielle.
La Tench se la stava comunque già accendendo. «Lei e il suo candidato avete dimostrato molto interesse per la NASA, durante la campagna.»
«Infatti» scattò Gabrielle, senza sforzarsi di mascherare la propria collera «e grazie ad alcune inattese imbeccate per le quali gradirei una spiegazione.»
La Tench la guardò con aria innocente. «Vuol sapere perché le ho mandato per posta elettronica il materiale per i suoi attacchi alla NASA?»
«Le informazioni che mi ha dato si sono ritorte contro il suo presidente.»
«Sì, nel breve termine.»
Il tono minaccioso di quella voce spaventò Gabrielle. «Cosa vuol dire?»
«Si rilassi, Gabrielle. Le mie e-mail non hanno cambiato granché le cose. Il senatore Sexton picchiava duro sulla NASA anche prima del mio intervento. Io mi sono limitata ad aiutarlo a chiarire meglio il messaggio, a consolidare la posizione.»
«Consolidare la posizione?»
«Esatto.» Un sorriso lasciò intravedere i suoi denti macchiati. «Cosa che, devo dire, oggi pomeriggio alla CNN ha fatto con successo.»
Gabrielle ricordò la reazione del senatore alla bordata d'assaggio della Tench. In pratica, aveva affermato che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per abolire la NASA. Sexton era stato messo con le spalle al muro, ma ne era venuto fuori con uno scatto deciso. La mossa giusta. Oppure no? A giudicare dall'espressione soddisfatta della Tench, Gabrielle percepiva che le taceva qualcosa.
La Tench si alzò all'improvviso e la sua figura alta e dinoccolata dominò lo spazio ingombro. Con la sigaretta fra le labbra, si diresse verso una cassaforte a parete, recuperò una spessa busta marroncina, tornò alla scrivania e si sedette.
Gabrielle osservò quel fascicolo gonfio.
Con un sorriso, la Tench stringeva la busta in grembo, l'aria sorniona di un giocatore di poker con in mano una scala reale. Ne tormentava un angolo con le dita gialle di nicotina, producendo un fastidioso rumore ripetitivo, come se pregustasse quel che stava per arrivare.
La prima cosa che saltò in mente a Gabrielle fu che contenesse qualche prova del suo sconsiderato atto sessuale con il senatore, ma poi si disse che era solo il senso di colpa a farglielo temere. "Ridicolo." L'incontro era avvenuto di notte nell'ufficio chiuso a chiave, e poi, se la Casa Bianca avesse avuto delle prove, le avrebbe già sbandierate in pubblico. "Forse hanno qualche sospetto, ma nessuna prova."
La Tench schiacciò la sigaretta nel portacenere. «Signora Ashe, non so se ne è consapevole, ma si trova coinvolta in una battaglia che infuria dietro le quinte di Washington fin dal 1996.»
Quella mossa le giunse del tutto inaspettata. «Prego?»
La Tench accese un'altra sigaretta. La strinse tra le labbra sottili e la punta divenne incandescente. «Cosa sa di un disegno di legge chiamato Space Commercialization Promotions Act, volto a promuovere la liberalizzazione dello spazio?»
Gabrielle non ne aveva mai sentito parlare. Alzò le spalle, smarrita.
«Davvero? Mi sorprende, considerato il programma del suo candidato. Questa proposta fu presentata nel 1996 dal senatore Walker. In sostanza, accusa la NASA di non essere più riuscita a fare niente di buono dopo aver mandato l'uomo sulla Luna, e quindi sostiene l'opportunità di privatizzare l'agenzia vendendo i suoi beni a imprese aerospaziali private per introdurre il libero mercato nell'esplorazione dello spazio, sollevando così i contribuenti da pesanti oneri fiscali.»