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«Un momento!» intervenne Rachel. «Dovremmo fare un'altra prova per essere sicuri. Questa storia non ha senso. Chi ci crederebbe?»

«Tutti» ribatté Norah, continuando a sistemare la slitta. «Aspetti che entri nell'habisfera, faccia un altro carotaggio in fondo al pozzo del meteorite e tiri fuori un ghiacciolo di acqua di mare, e le garantisco che tutti mi crederanno!»

Norah tolse il freno alla slitta, la voltò nella direzione dell'habisfera e la trascinò su per il pendio con sorprendente facilità, affondando i ramponi nel ghiaccio. Era una donna con una missione precisa. «Andiamo!» gridò agli altri, tirando la cordata mentre si dirigeva verso il perimetro rischiarato dal cono di luce. «Non so che cosa stia combinando la NASA, ma di sicuro io non ho alcuna intenzione di venire usata come pedina per…»

La testa di Norah Mangor scattò all'indietro, come se fosse stata colpita alla fronte da una forza invisibile. Emise un grido gutturale, vacillò e cadde di schiena sul ghiaccio. Un attimo dopo, Corky urlò voltandosi, come se lo avessero spinto all'indietro. Anche lui cadde, contorcendosi dal dolore.

Rachel dimenticò all'istante il foglio che aveva in mano, Ming, il meteorite e lo strano tunnel sotto il ghiaccio. Aveva appena sentito un piccolo proiettile sfiorarle l'orecchio e mancare di poco la tempia. D'istinto cadde in ginocchio, trascinando Tolland con sé.

«Cosa succede?» gridò Mike.

Rachel pensò che si trattasse di una grandinata — palle di ghiaccio che precipitavano dal ghiacciaio — eppure, dalla violenza con cui erano stati colpiti Norah e Corky, quei chicchi ghiacciati avrebbero dovuto viaggiare a centinaia di chilometri l'ora. Stranamente, l'improvvisa raffica di biglie sembrò a quel punto concentrarsi su lei e Tolland. Piovevano intorno a loro, sollevando schegge di ghiaccio. Rachel rotolò sulla pancia, affondò la punta dei ramponi e si slanciò verso l'unico riparo disponibile, la slitta. Tolland, un momento dopo, corse a rannicchiarsi accanto a lei.

Vedendo Norah e Corky allo scoperto, gridò a Rachel: «Trasciniamoli verso di noi!». Afferrò la corda e tirò con forza.

Ma l'imbracatura era impigliata nella slitta.

Rachel infilò il foglio stampato nella tasca di velcro della tuta e si avvicinò carponi alla slitta, cercando di liberare la corda dai pattini. Tolland era alle sue spalle.

La grandinata piovve loro addosso come un fuoco di fila. Un proiettile colpì l'incerata, la strappò e rimbalzò atterrando sulla manica di Rachel.

Lei raggelò nel vedere di che cosa si trattava. In un istante, lo stupore si tramutò in panico. Quei "chicchi di grandine" erano di produzione umana. La pallina gelata sulla sua manica era una sfera perfetta delle dimensioni di una grossa ciliegia. La superficie era levigata e liscia, segnata soltanto da una linea precisa intorno alla circonferenza, come una vecchia palla di piombo da moschetto, fabbricata con la pressa. Quelle palline erano senza dubbio costruite dall'uomo.

"Proiettili di ghiaccio…"

Avendo accesso ai documenti militari, Rachel conosceva bene le nuove armi sperimentali, le cosiddette IM, Improvised Munitions: fucili che compattano la neve in palline durissime, fucili da deserto che sciolgono la sabbia per creare proiettili di vetro, armi ad acqua che sparano getti con una tale violenza da rompere le ossa. Le armi IM avevano un enorme vantaggio rispetto a quelle convenzionali perché usavano le materie disponibili sul posto per fabbricare proiettili, offrendo all'esercito una riserva praticamente illimitata di munizioni senza dover trasportare quelle pesanti convenzionali. Rachel sapeva che i proiettili di ghiaccio che in quel momento piovevano su di loro venivano creati nel calcio del fucile "secondo necessità".

Come spesso avviene nel mondo dell'intelligence, meglio si conosce una cosa, più lo scenario diventa terrificante. Rachel avrebbe preferito una beata ignoranza, perché la sua conoscenza delle armi IM la portava a una sola, raggelante conclusione: i loro aggressori dovevano appartenere a qualche unità operativa speciale statunitense, le uniche forze nel paese autorizzate a usare sul campo le armi sperimentali IM.

La presenza di un'unità militare segreta portò una seconda consapevolezza, ancora più terrificante: le probabilità di sopravvivere a quell'attacco erano praticamente nulle.

Quei pensieri raccapriccianti svanirono di colpo quando una delle pallottole di ghiaccio si aprì un varco tra l'attrezzatura della slitta per fermarsi contro il suo stomaco. Malgrado l'imbottitura della tuta Mark IX, Rachel ebbe la sensazione di essere stata colpita alle viscere da un invisibile pugile professionista. Mentre nella zona periferica della sua vista apparivano le stelle, cadde all'indietro e, per non perdere l'equilibrio, si aggrappò agli attrezzi sulla slitta. Michael Tolland lasciò cadere la corda che legava Norah e si lanciò a sostenerla, ma troppo tardi. Rachel precipitò all'indietro, trascinando con sé vari macchinari. Cadde insieme a Tolland tra una pila di apparecchi elettronici.

«Sono… proiettili…» ansimò, senza quasi più aria nei polmoni. «Scappiamo!»

50

Il treno della Washington MetroRail che in quel momento lasciava la stazione di Federal Triangle non si sarebbe allontanato mai troppo in fretta per Gabrielle Ashe. La donna sedeva rigida in un angolo deserto della metropolitana senza vedere le forme indistìnte che le passavano accanto. La cartellina rossa di Marjorie Tench, sul suo grembo, sembrava pesare dieci tonnellate.

"Devo dirlo a Sexton!" pensò, mentre il treno accelerava in direzione dell'ufficio del senatore. "Immediatamente!"

Nel chiarore fioco e mutevole del treno, ebbe la sensazione di essere sotto l'effetto di un allucinogeno. Luci smorzate correvano sopra la sua testa simili a fari intermittenti da discoteca. Il grande tunnel la avvolse come un canyon abissale.

"Ditemi che è solo un incubo."

Abbassò gli occhi sulla cartellina. Tolse l'elastico e pescò all'interno una foto. Le luci fredde dentro il treno lampeggiarono di scatto illuminando un'immagine sconvolgente: Sedgewick Sexton sdraiato nudo nel suo ufficio, il viso compiaciuto rivolto all'obiettivo, la sagoma nuda di Gabrielle distesa accanto a lui.

Con un brivido si affrettò a riporre la foto e a richiudere la cartellina.

"È finita."

Non appena il treno uscì dalla galleria e riemerse in superficie, vicino a L'Enfant Plaza, prese il cellulare e chiamò il senatore sul suo numero privato. Rispose la casella vocale. Stupita, telefonò in ufficio. La voce della segretaria.

«Sono Gabrielle. Lui c'è?»

La segretaria pareva indispettita. «Ma dove sei stata? Ti cercava.»

«Una riunione che è andata per le lunghe. Ho bisogno di parlargli subito.»

«Dovrai aspettare fino a domattina. È a Westbrooke.»

Westbrooke Place Apartments era il nome del palazzo in cui risiedeva Sexton quando si trovava a Washington. «Ma non risponde sulla linea privata» osservò Gabrielle.

«Ha segnato la serata come IP» le ricordò la segretaria. «È uscito presto.»

Gabrielle si incupì. "Incontro personale." Frastornata com'era, aveva scordato che Sexton aveva programmato una serata da solo a casa. Teneva molto a non essere disturbato nei suoi momenti IP. "Bussa alla mia porta soltanto se il palazzo va a fuoco" le diceva. "Tutto il resto può aspettare fino al mattino." Gabrielle decise che il palazzo di Sexton stava decisamente andando a fuoco. «Devi assolutamente rintracciarmelo.»

«Impossibile.»

«È una cosa seria, davvero…»

«No, intendo dire che è letteralmente impossibile. Mentre usciva, ha lasciato il pager sulla mia scrivania e mi ha detto di non disturbarlo per nessun motivo. Era molto deciso.» Fece una pausa. «Più del solito.»

"Merda." «Va bene, grazie.» Gabrielle chiuse la comunicazione.

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