La guardia sembrò intimidita alla vista del sigillo presidenziale.
"Non farmela aprire" pensò Gabrielle.
«Me la lasci. Gliela porto io.»
«Neanche per sogno. Ho ordini precisi di consegnargliela personalmente. Se non gli parlo al più presto, domattina dovremo cercarci tutti un altro lavoro. Mi ha capito?»
L'uomo parve profondamente dibattuto e Gabrielle si rese conto che Sexton doveva avere impartito direttive severe di sbarrare la porta a chiunque. Tentò il tutto per tutto. Tenendogli la cartellina davanti al viso, abbassò la voce e mormorò le cinque parole che tutti gli addetti alla sicurezza temevano di più: «Lei non capisce la situazione».
I responsabili della protezione dei politici non capivano mai la situazione e la cosa li mandava su tutte le furie. Erano guardie del corpo private, tenute all'oscuro di tutto, e non sapevano se attenersi rigidamente agli ordini o se avrebbero rischiato il posto ignorando testardamente un'evidente emergenza.
La guardia deglutì rumorosamente, lanciando un'altra occhiata alla cartellina della Casa Bianca. «D'accordo, ma dovrò far presente al senatore che lei mi ha costretto a lasciarla entrare.»
Aprì la porta e Gabrielle lo spinse di lato prima che cambiasse idea. Entrò nell'appartamento e la chiuse a chiave alle sue spalle, senza far rumore.
Nell'ingresso, udì provenire dal salotto di Sexton voci attutite: voci maschili. Quella serata IP non era il genere di incontro privato che lui aveva lasciato intuire nella sua telefonata.
Mentre si avvicinava alla sala, notò che in un armadio aperto era appesa una mezza dozzina di cappotti maschili molto costosi, cachemire e tweed. C'erano parecchie cartelle sul pavimento. Evidentemente, quella sera avevano lasciato fuori il lavoro. Stava per proseguire, quando una delle ventiquattrore attirò la sua attenzione. Una targhetta riportava il logo di una nota compagnia, un missile rosso fiamma. Si inginocchiò per leggere.
SPACE AMERICA, INC.
Interdetta, esaminò le altre.
BEAL AEROSPACE. MICROCOSM, INC. ROTARY ROCKET COMPANY. KISTLER AEROSPACE.
Riecheggiò nella sua mente la voce rauca di Marjorie Tench. "È al corrente che il senatore Sexton accetta sottobanco enormi somme di denaro per la sua campagna da parte di società aerospaziali private?"
Gabrielle sentì il polso accelerare nel guardare in fondo al corridoio buio l'arco che conduceva al salotto del senatore. Sapeva che avrebbe dovuto parlare ad alta voce, annunciare la sua presenza, ma qualcosa la spinse ad avanzare in silenzio. Arrivò a pochi metri dall'arco e rimase nell'ombra… e ascoltò.
55
Delta-Tre rimase indietro a recuperare il corpo di Norah Mangor e la slitta, mentre i due compagni scendevano rapidi lungo il ghiacciaio per inseguire i fuggitivi.
Portavano ai piedi sci ElektroTread azionati da batterie. Creati sul modello degli sci a motore Fast Trax in commercio, gli ElektroTread, coperti da segreto militare, erano sostanzialmente sci da neve su cui erano applicati cingoli, come minuscole motoslitte calzate ai piedi. La velocità veniva controllata premendo i sensori posti sul pollice e l'indice del guanto destro. Una potente batteria a gelatina, modellata intorno al piede, svolgeva la doppia funzione di isolamento e di avanzamento silenzioso degli sci. L'energia cinetica generata dalla gravità e dai cingoli rotanti dello sciatore nelle discese era ingegnosamente sfruttata per ricaricare le batterie per il pendio successivo.
Lasciandosi sospingere dal vento, Delta-Uno buttò tutto il peso in avanti e scrutò il ghiacciaio con gli occhiali per la visione notturna, l'ultima evoluzione del modello Patriot in dotazione al corpo dei marine. La montatura aveva lenti da quaranta millimetri per novanta, un duplicatore di focale e un illuminatore a infrarossi a lungo raggio. Anziché del solito verde, il mondo esterno appariva colorato di un azzurro freddo, colore specificamente scelto per le zone con grande riflesso luminoso come l'Artide.
Mentre si avvicinava alla prima berma, Delta-Uno notò parecchie strisce recenti sulla neve; nel buio risaltavano come una freccia al neon. Evidentemente i tre fuggitivi non avevano pensato di sganciare l'improvvisata vela, oppure non c'erano riusciti. In entrambi i casi, se non l'avevano mollata prima dell'ultima berma, erano ormai finiti in mare. Delta-Uno sapeva che con gli abiti protettivi avrebbero prolungato la loro sopravvivenza in acqua ma, trasportati al largo dalle impetuose correnti, avrebbero finito inevitabilmente per annegare.
Malgrado confidasse in tale esito, era stato addestrato a non accontentarsi delle supposizioni. Si abbassò sugli sci e premette le dita per accelerare sul primo pendio.
Michael Tolland, immobile, si contava le ammaccature. Era malconcio, ma non sentiva nulla di rotto. La tuta Mark IX, con l'imbottitura di gelatina, gli aveva certamente risparmiato traumi gravi. Aprì gli occhi, faticando a concentrare la mente. Tutto sembrava più facile… più tranquillo. Il vento continuava a ululare, ma con minore violenza.
"Siamo volati di sotto?"
Mise a fuoco e si trovò sdraiato sopra Rachel Sexton, di traverso rispetto a lei. I moschettoni che li univano erano contorti. La sentiva respirare, ma non ne vedeva il viso. Faticò a rotolare via perché i muscoli parevano non rispondere. «Rachel?» Non era sicuro che la voce gli fosse uscita davvero.
Ricordò gli ultimi secondi della loro corsa straziante, il pallone che li tirava in alto, lo strappo del cavo, i corpi che precipitavano giù per la berma e poi risalivano sull'ultimo cumulo per scivolare verso il precipizio, senza più il ghiaccio sotto i piedi. La caduta era stata stranamente breve. Anziché finire in mare, come si era aspettato, erano piombati per circa tre metri prima di colpire un altro lastrone di ghiaccio e venire fermati dal peso morto di Corky, che si trascinavano dietro.
Ora, sollevando la testa, Tolland guardò in direzione del mare. Non lontano, il ghiaccio terminava in una scogliera a picco, dalla quale arrivava il rumore delle onde. Si voltò verso il ghiacciaio, cercando di scorgere qualcosa nel buio. A sei o sette metri, gli occhi incontrarono un'alta parete che sembrava sospesa sopra di loro. Allora si rese conto di ciò che era successo: erano scivolati dal ghiacciaio principale su un lastrone più basso. Grande come una pista da hockey, era in parte crollato, pronto a staccarsi e precipitare in mare da un momento all'altro.
"Il fenomeno del calving" pensò Tolland, osservando la precaria piattaforma su cui era disteso. Era un ampio lastrone quadrato che si protendeva dal ghiacciaio come un gigantesco balcone, circondato sui tre lati da pareti a picco sul mare. La sola parte unita alla banchisa di Milne era tutt'altro che solida, segnata da una profonda crepa larga più di un metro. La forza di gravità avrebbe presto vinto la battaglia.
Ancora più terrificante della crepa era il corpo immobile di Corky Marlinson, che giaceva scomposto a dieci metri di distanza, a un capo della corda che lo univa a loro.
Tolland cercò di alzarsi, ma era ancora legato a Rachel. Cambiò posizione per sganciare i moschettoni che li univano.
Rachel, frastornata, fece per mettersi a sedere. «Non… non siamo finiti giù?» Appariva sbalordita.
«Siamo caduti su un blocco di ghiaccio più in basso» disse Tolland, che finalmente era riuscito a sganciarsi. «Vado ad aiutare Corky.»
Cercò di mettersi in piedi, ma le gambe non lo reggevano, quindi afferrò la fune e tirò. Corky cominciò a scivolare sul ghiaccio verso di loro. Dopo una decina di tentativi, riuscì ad avvicinarlo.
Corky Marlinson appariva distrutto. Aveva perso gli occhiali, presentava un brutto taglio sulla guancia e perdeva sangue dal naso. La paura che fosse morto svanì in fretta quando Corky rotolò su un fianco e lo guardò con un'espressione furibonda. «Gesù» balbettò. «Che cazzo di trovata ti è venuta in mente?»