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Il pennacchio idrotermico si allungò e il gorgo torreggiante crebbe di forza di secondo in secondo, spingendo senza sosta la sua estremità superiore verso la superficie.

Nell'oceano si era appena creato un buco nero.

Avviluppata da un'oscurità calda e liquida, Rachel si sentiva come un feto nel grembo materno. I suoi pensieri erano confusi, in quel tepore nero come l'inchiostro. "Respira." Dovette costringersi a reprimere l'istinto. Il lampo di luce che aveva visto doveva essere giunto dall'alto, eppure le era sembrato così distante. "Un'illusione ottica. Vai verso la superficie." Debolmente, cominciò a nuotare nella direzione della luce. Adesso la vedeva meglio… un sinistro e distante bagliore rosso. "La luce del giorno?" Nuotò con maggior vigore.

Una mano la afferrò per la caviglia.

Rachel lanciò un mezzo grido sott'acqua, esalando quasi tutta l'aria che le era rimasta nei polmoni.

La mano la tirò indietro, costringendola a piegarsi per puntare nella direzione opposta. Poi, la mano amica afferrò la sua. Michael Tolland la stava guidando in un'altra direzione. Il cervello le diceva che la stava portando verso il fondo, ma il cuore le suggeriva di fidarsi di lui.

"Usa i piedi" le sussurrò la voce della madre.

Rachel scalciò con tutte le sue forze.

130

Ancora prima di riemergere insieme a Rachel, Michael comprese che era finita. "La cupola magmatica è esplosa." Appena la sommità del gorgo avesse raggiunto la superficie, il gigantesco ciclone sottomarino avrebbe cominciato a risucchiare tutto verso il fondo. Stranamente, il mondo in superficie non era tranquillo come l'aveva lasciato solo qualche momento prima. Il rumore era assordante. Fu investito da un vento impetuoso, come se si fosse abbattuta una violenta tempesta mentre loro si trovavano sott'acqua.

Tolland si sentiva sul punto di perdere conoscenza per mancanza di ossigeno. Cercò di sostenere Rachel nell'acqua, ma qualcosa gliela stava strappando dalle braccia. "La corrente!" Si sforzò di resistere, ma la forza invisibile aumentava di intensità. All'improvviso, perse la presa e il corpo di Rachel gli scivolò tra le mani, verso l'alto.

Sconcertato, rimase a guardare Rachel che si sollevava dall'acqua.

Sulle loro teste, un Osprey della guardia costiera, un convertiplano a rotori basculanti, stava issando Rachel a bordo con un verricello. Venti minuti prima, i guardacoste avevano ricevuto la notizia di un'esplosione al largo. Avendo perso le tracce del Dolphin, che doveva trovarsi sulla zona, avevano temuto una disgrazia. Inserite nel loro sistema di navigazione le ultime coordinate note dell'elicottero, si erano diretti sul luogo guidati da una vaga speranza. A circa un chilometro dalla Goya illuminata, avevano avvistato alcuni rottami in fiamme, alla deriva nella corrente, che sembravano appartenere a un motoscafo. In mare, vicino al relitto, un uomo agitava le braccia freneticamente. Lo avevano issato a bordo. Era completamente nudo, a parte la fasciatura di nastro adesivo che gli copriva una gamba.

Esausto, Tolland rivolse lo sguardo al ventre del rombante velivolo. Dall'alto, raffiche di vento assordanti, create dalle grandi eliche orizzontali, investivano ogni cosa. Quando Rachel salì appesa al cavo, numerose paia di mani la sollevarono nella fusoliera per trarla in salvo. Accanto al portello, Tolland scorse la figura familiare di un uomo mezzo nudo accovacciato.

"Corky?" Si sentì riempire di entusiasmo. "È vivo!"

Immediatamente, l'imbracatura calò di nuovo dal cielo e atterrò a tre metri di distanza. Tolland avrebbe voluto raggiungerla a nuoto, ma avvertiva già la sensazione di risucchio del pennacchio. L'implacabile stretta del mare lo aveva agguantato, rifiutando di mollarlo.

La corrente lo trascinava sott'acqua. Lottò per rimanere in superficie, fino allo stremo. "Sei un sopravvissuto" gli sussurrava una voce. Scalciò con le gambe, annaspando per risalire.

Quando riaffiorò nel vento battente, l'imbracatura era ancora fuori portata. La corrente lo stava trascinando lontano. Guardò in alto, nel vortice turbinoso di vento e rumore, e vide Rachel che lo fissava, esortandolo con gli occhi a raggiungerla.

Con quattro potenti bracciate riuscì ad arrivare all'imbracatura. Con l'ultimo briciolo di forze, infilò il braccio e la testa nell'anello, poi crollò.

Di colpo, l'oceano sembrò sprofondare.

Tolland vide sotto di sé il vasto gorgo spalancarsi. Il megapennacchio aveva infine raggiunto la superficie.

William Pickering, in piedi sul ponte della Goya, guardava con stupore lo spettacolo che si svolgeva tutt'intorno a lui. A dritta della nave, verso poppa, un'enorme depressione, come un bacino, si stava formando sulla superficie dell'oceano. Il gorgo, in rapida espansione, era già largo centinaia di metri. Il mare vi si avvitava dentro, scorrendo lungo l'orlo con sinistra condiscendenza. Tutt'intorno, un gemito gutturale echeggiava dall'abisso. Con la mente svuotata, Pickering fissava la voragine che si espandeva verso di lui come la bocca spalancata di qualche mitica divinità affamata di sacrifici.

"Sto sognando" pensò.

Improvvisamente, con un sibilo esplosivo che frantumò i finestrini della plancia della nave, un imponente pennacchio di vapore si levò verso il cielo. Un geyser colossale salì in alto, con un cupo boato, e la sua sommità si perse nel cielo rannuvolato.

Istantaneamente, le pareti del gorgo divennero più ripide e il perimetro cominciò a espandersi con crescente velocità, divorando la superficie dell'oceano. La poppa della Goya ruotò bruscamente verso la voragine in espansione. Pickering perse l'equilibrio e cadde in ginocchio. Come un bambino di fronte a Dio, guardò dentro l'abisso.

I suoi ultimi pensieri li rivolse alla figlia, Diana. Pregò che al momento della morte non avesse conosciuto una paura così sconvolgente.

L'onda d'urto provocata dalla fuga di vapore spinse l'Osprey su un fianco. Tolland e Rachel si sostennero a vicenda, mentre il pilota ristabiliva l'assetto, virando basso sopra la Goya, ormai condannata.

Guardando fuori, riuscivano ancora a vedere Pickering — il Quacchero — inginocchiato, in giacca e cravatta nere, vicino al parapetto superiore della nave.

La poppa ondeggiò sull'orlo del gigantesco vortice, poi la catena dell'ancora finalmente cedette. Con la prua fieramente lanciata nell'aria, la Goya sparì all'indietro, oltre il bordo liquido, risucchiata dal ripido gorgo vortìcante. Aveva le luci ancora accese quando sparì.

131

L'aria del mattino era limpida e frizzante.

Una lieve brezza creava mulinelli di foglie alla base del Washington Monument, nella capitale. Il più grande obelisco del mondo di solito si risvegliava con la sua immagine serena rispecchiata nella Reflectìng Pool, invece quel giorno ai suoi piedi sgomitavano molti giornalisti in ansiosa attesa.

Il senatore Sedgewick Sexton scese dalla limousine. Si sentiva più grande della stessa Washington mentre come un leone si avviava a grandi passi verso l'area riservata alla stampa, alla base del monumento. Aveva invitato le dieci maggiori reti radiotelevisive del paese, preannunciando il più grande scandalo dell'ultimo decennio.

"Niente attira gli avvoltoi come la puzza di carogna" si disse.

Stringeva la pila di buste di carta telata bianca, ciascuna con le sue cifre in rilievo sull'elegante sigillo di cera.

Se è vero che l'informazione può essere un'arma, Sexton aveva tra le mani un ordigno nucleare.

Si sentì inebriato, compiaciuto del fatto che il suo palcoscenico improvvisato disponesse di due "quinte", grandi pannelli eretti ai lati del podio come due tende blu: un vecchio trucco di Ronald Reagan per assicurarsi che la sua figura risaltasse contro qualunque sfondo.

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