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Quattro scienziati civili morti.

Ormai, lei non poteva fare nulla per fermare la conferenza stampa, ma si augurò che il responsabile di quell'aggressione non la facesse franca.

Chiamando a raccolta le forze, cercò di mettersi a sedere. Le pareva di avere le membra di marmo; le giunture gridarono di dolore quando tentò di piegare braccia e gambe. Lentamente si mise in ginocchio, appoggiandosi sul lastrone piatto. Le girava la testa. Intorno a lei, il mare ribolliva. Tolland la osservava con attenzione; forse pensava che si stesse inginocchiando per pregare. Ma non era quello che voleva, anche se forse la preghiera aveva la stessa possibilità di salvarli di ciò che stava per tentare.

Frugò con la mano destra sulla cintura e trovò la piccozza da ghiaccio ancora appesa. Afferrò il manico con le dita intorpidite. La voltò, disponendola come una T capovolta. Poi, con tutte le sue forze, abbatté una punta sul ghiaccio. Bong. Di nuovo. Bong. Le sembrava che le scorresse melassa nelle vene. Bong. Tolland la guardava interdetto. Un altro colpo. Bong.

Tolland cercò di sollevarsi sul gomito. «Ra… chel?»

Lei non rispose. Doveva risparmiare le forze. Bong. Bong.

«Non credo… che così a nord la SAA… possa sentire.»

Lei si voltò sorpresa. Aveva scordato che Tolland, in quanto oceanografo, avesse idea di quello che stava facendo. "Buona intuizione, ma non sto chiamando la SAA."

Continuò a battere.

SAA stava per Suboceanic Acoustic Array, una reliquia della guerra fredda usata poi dagli oceanografi di tutto il mondo per ascoltare le balene. Poiché il suono sott'acqua si propaga per centinaia di chilometri, la rete SAA, costituita da cinquantanove microfoni sottomarini sparsi per il mondo, poteva controllare una percentuale sorprendentemente alta dei mari del pianeta. Purtroppo, quella parte remota dell'Artico non rientrava in tale percentuale, ma Rachel sapeva che c'erano altri intenti ad ascoltare il fondo dell'oceano, altri di cui pochi, sulla Terra, conoscevano l'esistenza. Continuò a picchiare. Il suo messaggio era semplice e chiaro.

BONG. BONG. BONG.

BONG… BONG… BONG…

BONG. BONG. BONG.

Non si illudeva che la sua iniziativa potesse salvarli, avvertendo la gelida morsa che già le serrava il corpo. Probabilmente non le restava neppure mezz'ora di vita. Ormai, la salvezza era al di fuori del regno del possibile. Ma non si trattava soltanto di quello.

BONG. BONG. BONG.

BONG… BONG… BONG…

BONG. BONG. BONG.

«Non… c'è tempo…» disse Tolland.

"Non è per… noi, ma per l'informazione che ho in tasca." Rachel pensò all'immagine del GPR custodita dentro il velcro della tuta Mark IX. "Devo mettere questo foglio nelle mani del National Reconnaissance Office… e presto."

Anche in quello stato delirante, sapeva con certezza che il suo messaggio sarebbe stato ricevuto. A metà degli anni Ottanta, l'NRO aveva sostituito la SAA con un sistema trenta volte più potente. Copertura globale: l'orecchio da dodici milioni di dollari dell'NRO sul fondo degli oceani si chiamava Classic Wizard. Nelle ore che sarebbero seguite i supercomputer Cray dei posti di controllo NRO/NSA situati a Menwith Hill, in Inghilterra, avrebbero rivelato una sequenza anomala da uno degli idrofoni situati nel mare Artico e, decifrati i colpi come SOS, avrebbero triangolato le coordinate e inviato un aereo di salvataggio dalla base aerea di Thule in Groenlandia. L'aereo avrebbe trovato tre corpi su un iceberg. Congelati. Morti. Uno, di una dipendente dell'NRO… con uno strano foglio di carta termica in tasca.

"La stampa di un GPR. L'ultimo lascito di Norah Mangor."

Studiando il documento, i soccorritori avrebbero notato il misterioso tunnel scavato sotto il meteorite. Rachel ignorava che cosa sarebbe accaduto dopo, ma almeno quel segreto non sarebbe morto insieme a loro, nel ghiaccio.

60

Ogni nuovo insediamento di un presidente alla Casa Bianca comporta il giro privato di tre magazzini, protetti da un folto stuolo di custodi, in cui sono riposte collezioni di inestimabile valore: scrittoi, argenteria, bureau, letti e altri articoli usati dai precedenti inquilini fin dai tempi di George Washington. Durante il giro, il nuovo presidente è invitato a scegliere i cimeli che preferisce per arredare la residenza durante la sua permanenza in carica. Soltanto il letto nella camera di Lincoln è un arredo fisso, e il paradosso è che Lincoln non vi ha mai dormito.

La scrivania a cui era seduto Zach Herney nello Studio Ovale era appartenuta un tempo al suo idolo, Harry Truman. Anche se piccola per gli standard moderni, gli serviva a ricordare ogni giorno che tutti gli "oneri" arrivavano lì e che era lui a dover rispondere delle eventuali deficienze della sua amministrazione. Herney accettava gli oneri come un onore e faceva tutto il possibile per motivare il proprio staff ad agire per il meglio.

«Signor presidente?» La segretaria fece capolino dalla porta dell'ufficio. «È in linea.»

Herney la ringraziò con un cenno della mano.

Sollevò la cornetta. Avrebbe preferito fare quella telefonata in privato, ma non era proprio possibile in quel momento. Due truccatori gli giravano intorno come zanzare per sistemargli viso e capelli. Di fronte alla scrivania stava prendendo posto la troupe televisiva, e un interminabile stuolo di consiglieri e addetti alle pubbliche relazioni affollava l'ufficio, discutendo animatamente la strategia.

"Manca un'ora…"

Herney premette il pulsante illuminato sul telefono privato. «Pronto, Lawrence?»

«Ci sono.» La voce del direttore appariva affaticata e distante.

«Tutto bene lì?»

«Sta per arrivare una tempesta, ma i miei sostengono che non disturberà il collegamento via satellite. Siamo pronti a partire. Un'ora al via.»

«Ottimo. Il morale è alto, spero.»

«Può giurarci. Lo staff è al settimo cielo, anzi, per la verità abbiamo appena brindato con la birra.»

Herney commentò con una risata. «Ne sono lieto. Senta, volevo ringraziarla prima dell'evento. Stasera ci sarà una confusione bestiale.»

Il direttore fece una pausa, stranamente esitante. «Non c'è dubbio, signore. Abbiamo aspettato a lungo questo momento.»

«Sembra molto stanco.»

«Ho bisogno di un po' di sole e di un letto vero.»

«Resista ancora un'ora. Sorrida alle telecamere, si goda il momento e poi manderemo lassù un aereo per riportarla a Washington.»

«Non vedo l'ora.» Il direttore ripiombò nel silenzio.

Abile negoziatore, Herney era molto bravo ad ascoltare e percepire le cose non dette, nascoste tra le righe. Nel tono del direttore della NASA, qualcosa non andava. «Sicuro che vada tutto bene, lassù?»

«Certo. Nessun problema con i collegamenti.» Sembrò ansioso di cambiare argomento. «Ha visto l'ultima versione del documentario di Michael Tolland?»

«Poco fa. Un lavoro fantastico.»

«Infatti. È stata una buona idea coinvolgerlo.»

«È ancora arrabbiato con me per aver chiamato i civili?»

«Certo, per la miseria!» Il direttore parve recuperare il buonumore; la voce era tornata ferma e decisa come al solito.

Herney se ne rallegrò. "Ekstrom sta bene, è solo un po' stanco" si disse. «Okay, ci vediamo tra un'ora via satellite. Daremo a tutti qualcosa di cui parlare.»

«Giusto.»

«Ehi, Lawrence!» Il tono di Herney si fece basso e solenne. «È stato veramente in gamba. Non lo dimenticherò mai.»

Fuori dall'habisfera investita dal vento, Delta-Tre faticò per raddrizzare la slitta di Norah Mangor. Risistemata a bordo la strumentazione, assicurò l'incerata e vi legò sopra il corpo della donna. Mentre si preparava a trainare la slitta fuori rotta, vide sopraggiungere i compagni che avevano risalito il ghiacciaio.

«Il piano è cambiato» gridò Delta-Uno, cercando di sovrastare il rumore del vento. «Gli altri tre sono precipitati dalla banchisa.»

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