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«Dio mio» sussurrò. "Cosa diavolo è questo posto?"

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Gli studi della CNN appena fuori dal distretto federale di Washington sono tra le duecentododici strutture disseminate in tutto il mondo collegate via satellite alla sede centrale della Turner Broadcasting System di Atlanta.

Erano le tredici e quarantacinque quando la limousine del senatore Sedgewick Sexton si fermò nel parcheggio. Sexton scese insieme a Gabrielle e si avviarono con passo sicuro verso l'ingresso.

Furono accolti da un produttore della CNN, con tanto di pancetta, che sfoderò un sorriso cordiale. «Benvenuto, senatore Sexton. Grandi notizie. Abbiamo appena saputo chi ha designato la Casa Bianca per il confronto.» Appariva raggiante. «Spero che lei sia pronto a tirare fuori le unghie.» Additò la vetrata dello studio.

Sexton guardò nella direzione indicata e quasi non credette ai suoi occhi. In una nuvola di fumo di sigaretta, la faccia più brutta della politica lo fissava al di là del vetro.

«Marjorie Tench?» sbottò Gabrielle. «Che diavolo ci fa qui?»

Sexton non ne aveva idea ma, qualunque fosse la ragione, la sua presenza era una notizia fantastica, il segno evidente che il presidente sapeva di essere in una situazione disperata; altrimenti, perché mandare al fronte il suo consigliere? Zach Herney esibiva il pezzo da novanta, e Sexton non poteva che rallegrarsene.

"Più il nemico è di valore, peggiore sarà la sua sconfitta."

Non dubitava che la Tench sarebbe stata un'avversaria abile, ma guardandola Sexton non poté fare a meno di pensare che il presidente aveva compiuto un grosso errore di valutazione. Marjorie Tench aveva un aspetto terrificante. In quel momento fumava semisdraiata in poltrona e muoveva lentamente il braccio destro per sfiorarsi le labbra sottili come una gigantesca mantide religiosa intenta a nutrirsi.

"Gesù" pensò Sexton "decisamente più adatta alle trasmissioni radio."

Le poche volte che Sedgewick Sexton aveva visto su qualche rivista il muso itterico del consigliere, gli era parso incredibile che quella fosse una delle persone più potenti di Washington.

«Non mi piace questa storia» sussurrò Gabrielle.

Sexton non le prestò ascolto. Più ci pensava, più si convinceva che era un'occasione straordinaria. Ancora più controproducenti della scarsa telegenia della Tench erano le sue posizioni su un argomento essenziale: Marjorie Tench ribadiva a ogni piè sospinto che l'America poteva assicurarsi in futuro la leadership soltanto con la superiorità tecnologica. Era una strenua sostenitrice dei programmi di ricerca governativi sulle tecnologie d'avanguardia e, soprattutto, della NASA. Molti ritenevano che fosse proprio per la sua pressione dietro le quinte che il presidente difendeva a spada tratta l'agenzia spaziale, malgrado i ripetuti insuccessi.

Sexton si chiese se Herney non l'avesse mandata lì per punirla dei tanti cattivi consigli da lei dispensati sulla NASA. "La sta gettando in pasto ai lupi?"

Gabrielle osservò Marjorie Tench al di là del vetro e avvertì un crescente disagio. Quella donna era estremamente in gamba e rappresentava una mossa inattesa. Due elementi che allertavano il suo istinto. Considerata la sua posizione sulla NASA, sembrava incredibile che il presidente avesse mandato lei ad affrontare il senatore Sexton. Ma Herney non era certo uno stupido. Qualcosa diceva a Gabrielle che quel dibattito poteva rivelarsi pericoloso.

Si era accorta che il senatore già sbavava per la ghiotta occasione, ma ciò non bastava ad attenuare la sua ansia. Sexton aveva la tendenza a strafare quando si sentiva in posizione di vantaggio. Stando ai sondaggi, la questione della NASA gli aveva fatto ottenere grossi consensi, ma negli ultimi tempi vi aveva insistito eccessivamente. Molti candidati erano finiti male quando avevano cercato il KO mentre sarebbe bastato portare a termine il round.

Il produttore pregustava l'imminente scontro a sangue. «Venga a prepararsi, senatore.»

Mentre Sexton si dirigeva verso lo studio, Gabrielle lo trattenne per la manica. «So cosa sta pensando» gli sussurrò «ma stia attento. Non esageri.»

«Esagerare, io?»

«Tenga presente che quella donna è molto in gamba.»

Sexton le rivolse un sorrisetto d'intesa. «Anch'io.»

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Il cavernoso salone principale dell'habisfera della NASA sarebbe apparso strano in qualsiasi luogo della terra, ma sulla banchisa artica appariva decisamente inconcepibile.

Alzando lo sguardo verso la futuristica cupola formata da bianchi pannelli triangolari collegati fra loro, Rachel ebbe la sensazione di essere entrata in un gigantesco sanatorio. Le pareti erano lievemente inclinate sul pavimento di ghiaccio compatto e lungo il perimetro, a guisa di sentinelle, una serie di lampade alogene a stelo, rivolte verso l'alto, conferivano all'ambiente una diffusa luminosità.

Per terra si snodava una passatoia di gomma nera che costituiva una sorta di passerella tra il labirinto di postazioni di lavoro. Tra le apparecchiature elettroniche, trenta o quaranta dipendenti della NASA vestiti di bianco parlavano tutti insieme, accalorati, entusiasti. Rachel avvertì immediatamente quell'atmosfera elettrica.

Era l'eccitazione di una nuova scoperta.

Mentre percorreva insieme al direttore il perimetro della cupola, notò gli sguardi sorpresi e disgustati di chi la riconosceva. I mormorii erano chiaramente intelligibili, riverberati dalle pareti.

«Ma quella non è la figlia del senatore Sexton?»

«Che diavolo ci fa qui?»

«Pazzesco che il direttore le rivolga la parola!»

Rachel quasi si aspettava di vedere bamboline vudù di suo padre appese ovunque. L'animosità nei suoi confronti, peraltro, non era la sola emozione percepibile nell'aria. Sentiva anche un palese compiacimento, come se quelle persone sapessero chi avrebbe riso per ultimo.

Il direttore la guidò verso una serie di tavoli dove un uomo sedeva solo davanti a un computer. Indossava un maglione nero a collo alto, calzoni di velluto a coste larghe e stivali da barca, anziché la tuta del personale della NASA. Era di schiena rispetto a loro.

Il direttore le chiese di aspettarlo mentre andava a parlare con lo sconosciuto. Dopo un attimo, l'uomo dal maglione nero gli rivolse un cenno d'assenso e avviò la procedura di spegnimento del computer. Il direttore tornò da Rachel.

«A questo punto, sarà il signor Tolland a prendere il mio posto» le disse. «Anche lui è stato scelto personalmente dal presidente, quindi dovreste andare d'accordo. Vi raggiungo più tardi.»

«Grazie.»

«Immagino che sappia chi è Michael Tolland.»

Rachel si strinse nelle spalle, ancora frastornata in quell'ambiente incredibile. «Il nome non mi dice nulla.»

L'uomo dal maglione nero arrivò sorridendo. «Non le dice nulla?» Aveva una voce decisa e cordiale. «La notizia migliore della giornata. A quanto pare non mi riesce più di fare colpo a prima vista.»

Quando alzò lo sguardo sul nuovo venuto, Rachel si sentì raggelare. Riconobbe al volo il bel viso di quell'uomo. Tutti in America sapevano chi era. «Oh» disse arrossendo «lei è quel Michael Tolland.»

Quando il presidente le aveva raccontato di avere reclutato alcuni dei più importanti scienziati civili, Rachel aveva immaginato un gruppo di avvizzite teste d'uovo con le proprie iniziali sul calcolatore. Michael Tolland era l'esatto opposto. Uno dei più famosi scienziati americani, conduceva una trasmissione televisiva settimanale, Le meraviglie del mare, nel corso della quale illustrava al pubblico gli straordinari fenomeni presenti negli oceani: vulcani sottomarini, anellidi lunghi tre metri, onde di marea assassine. La stampa definiva Tolland un incrocio tra Jacques Cousteau e Carl Sagan, e ne elogiava la competenza, l'entusiasmo privo di compiacimento e il gusto dell'avventura: era questa la formula che aveva fatto salire Le meraviglie del mare in cima agli indici di ascolto. Ovviamente, la maggior parte dei critici ammetteva che il fatto che fosse un bell'uomo, con un fascino un po' selvaggio e dotato di un carisma non ostentato, probabilmente spiegava in gran parte la sua popolarità presso il pubblico femminile.

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