Литмир - Электронная Библиотека
Содержание  
A
A

«Ma se la NASA…» farfugliò Rachel. «Insomma, se è tutta una menzogna, la NASA doveva pur sapere che presto o tardi qualcuno avrebbe scoperto che i fossili assomigliano a creature marine, giusto? Insomma, come l'abbiamo scoperto noi

Tolland mandò in stampa la foto del Bathynomous. «Non saprei. Anche se qualcuno si facesse avanti per sottolineare le somiglianze tra i fossili e un pidocchio marino vivente, le fisiologie non sono identiche, il che, in un certo senso, non fa che rafforzare la posizione della NASA.»

All'improvviso, Rachel comprese. «Panspermia.» "I semi della vita sulla Terra impiantati dallo spazio."

«Esatto. Le similarità tra organismi spaziali e terrestri hanno un significato scientifico preciso. Questo pidocchio di mare in realtà rafforza la posizione della NASA.»

«A patto di non mettere in discussione l'autenticità del meteorite.»

Tolland annuì. «Se si mette in dubbio il meteorite, crolla tutto. Il nostro pidocchio marino da alleato della NASA si trasforma nel suo peggior nemico.»

Rachel rimase in silenzio mentre le pagine sul Bathynomous uscivano dalla stampante. Cercò di dirsi che poteva trattarsi di un errore in buona fede da parte dell'agenzia spaziale, ma sapeva che non era così. Chi è in buona fede non tenta di uccidere la gente.

La voce nasale di Corky echeggiò improvvisa dal laboratorio. «Impossibile!»

Tolland e Rachel si voltarono contemporaneamente.

«Misura di nuovo quel dannato rapporto! Non ha senso!»

Xavia arrivò di corsa con un foglio stampato in mano. Era pallida come un lenzuolo. «Mike, non so come dirtelo…» La voce si spezzò. «Il rapporto zirconio/titanio di questo campione…» Si schiarì la gola. «È ovvio che la NASA ha commesso un errore madornale. Il meteorite non è altro che una pietra oceanica.»

Tolland e Rachel si scambiarono un'occhiata ma non dissero nulla. Non ce n'era bisogno. Tutti i sospetti e i dubbi erano cresciuti come la cresta di un'onda, fino a frangersi.

Tolland annuì, gli occhi colmi di tristezza. «Sì, grazie, Xavia.»

«Ma… non capisco» disse Xavia. «La crosta di fusione… la collocazione nel ghiaccio…»

«Lo chiariremo mentre torniamo a terra. Ce ne andiamo.»

Rachel raccolse in fretta tutte le carte e le prove, che a quel punto erano definitive: la stampata dello scanner che mostrava il pozzo di inserimento nella banchisa di Milne, le foto di un isopode marino vivente somigliante al fossile della NASA; l'articolo di Pollock sui condri oceanici; i dati della microsonda che mostravano zirconio impoverito nel meteorite.

La conclusione era inevitabile. "Un inganno."

Tolland osservò la pila di fogli tra le mani di Rachel ed emise un sospiro malinconico. «Be', direi che William Pickering ha prove sufficienti.»

Rachel annuì, chiedendosi di nuovo come mai il suo capo non avesse risposto alla chiamata.

Tolland sollevò il ricevitore di un telefono vicino e glielo porse. «Vuoi riprovare da qui?»

«No, muoviamoci. Cercherò di contattarlo dall'elicottero.» Aveva già deciso che, se non ci fosse riuscita, avrebbe chiesto alla guardia costiera di portarli direttamente all'NRO, a soli trecento chilometri.

Tolland stava per posare la cornetta, ma si interruppe di colpo. Perplesso, l'accostò all'orecchio. «Strano. Non c'è linea.»

«Che vuoi dire?» chiese Rachel, agitata.

«Davvero strano, perché le linee dirette COMSAT non perdono mai il segnale portante…»

«Signor Tolland?» Il pilota della guardia costiera entrò di corsa nel laboratorio, pallido in volto.

«Che c'è?» chiese Rachel. «Arriva qualcuno?»

«È questo il problema. Non lo so. Il radar e tutti i sistemi di comunicazione di bordo sono fuori uso.»

Rachel infilò le carte dentro la camicia. «Forza, in elicottero. Partiamo IMMEDIATAMENTE!»

109

Gabrielle avvertì il batticuore mentre attraversava l'ufficio buio del senatore Sexton. La stanza era ampia ed elegante: muri rivestiti di pannelli di legno intarsiati, quadri a olio, tappeti persiani, poltrone di pelle trapuntate e una gigantesca scrivania di mogano. L'unica luce proveniva dallo schermo del computer di Sexton.

Gabrielle si avvicinò alla scrivania.

Il senatore Sexton aveva sposato in pieno il concetto di "ufficio elettronico", sostituendo i classici schedari stracolmi con un solo computer, compatto e facile da consultare, che alimentava con un'enorme quantità di informazioni: verbali di riunioni, scansioni di articoli, testi di discorsi e idee. Il computer era il suo sancta sanctorum, e per proteggerlo teneva l'ufficio chiuso a chiave a tutte le ore. Evitava persino di connettersi a internet, per paura che pirati informatici s'intrufolassero nel suo forziere elettronico.

Un anno prima, Gabrielle, non avrebbe mai creduto che una personalità politica potesse essere tanto stupida da conservare copie di documenti incriminanti, ma Washington le aveva insegnato parecchio. "L'informazione è potere." Gabrielle era rimasta esterrefatta nell'apprendere che i politici che accettavano finanziamenti discutibili nelle loro campagne elettorali avessero la consuetudine di conservare le prove di tali contributi: lettere, ricevute, estratti conto; il tutto nascosto in un posto sicuro. Questa tattica antiricatto, conosciuta a Washington come "polizza siamese", proteggeva i candidati dai loro benefattori nel caso questi avessero creduto che la propria generosità desse loro il diritto di esercitare un'eccessiva pressione politica. Se un finanziatore fosse diventato troppo esigente, il candidato avrebbe potuto semplicemente esibire le prove del versamento illecito e ricordare al donatore come entrambe le parti avessero violato la legge. In questo modo candidati e finanziatori erano uniti per sempre, come gemelli siamesi.

Gabrielle scivolò dietro la scrivania del senatore e si sedette. Fece un profondo respiro e guardò il monitor. "Se il senatore si è lasciato corrompere dalla SFF, le prove sono sicuramente qui dentro."

Il salvaschermo di Sexton era costituito da una sequenza continua di immagini della Casa Bianca e dei giardini circostanti, creata da uno dei suoi assistenti pieni di entusiasmo, convinto della necessità di "visualizzare" le mete da raggiungere e di mantenere un atteggiamento ottimista.

Intorno alle immagini, scorreva una scritta che diceva: "Il presidente degli Stati Uniti Sedgewick Sexton… Il presidente degli Stati Uniti Sedgewick Sexton… Il presidente degli…"

Gabrielle diede un colpetto al mouse e apparve una finestra di dialogo.

DIGITARE PASSWORD.

Se lo aspettava, ma non era un problema. Una settimana prima, Gabrielle era entrata nell'ufficio di Sexton proprio mentre lui si sedeva al computer. Lo aveva visto digitare tre caratteri in rapida successione e lei, dalla soglia, lo aveva provocato: «E quella sarebbe una password?».

Sexton aveva alzato lo sguardo. «Cosa?»

«E io che credevo che lei si preoccupasse per la sicurezza» lo aveva scherzosamente ripreso. «Una password di soli tre caratteri? Mi pareva che gli informatici ci avessero raccomandato di usarne almeno sei.»

«Sono giovani e non sanno com'è difficile tenere a mente sei caratteri casuali dopo i quarant'anni. E poi, la porta ha un allarme. Nessuno può entrare.»

Gabrielle gli si era avvicinata, sorridendo: «E se qualcuno sgattaiolasse dentro, mentre lei è in bagno?».

«Per provare ogni possibile combinazione?» Sexton aveva fatto una risatina scettica. «Sono lento, in bagno, ma non fino a questo punto.»

«Scommetto una cena da Davide che riesco a indovinare la password in dieci secondi.»

Sexton era parso divertito e interessato. «Non puoi permetterti Davide, Gabrielle.»

«Dunque ha paura!»

Sexton era sembrato quasi dispiaciuto per lei nel raccogliere la sfida. «Dieci secondi?» Aveva chiuso il programma e fatto segno a Gabrielle di accomodarsi e provare. «Lo sai che io ordino solo i saltimbocca, da Davide. E non te li regalano.»

95
{"b":"119726","o":1}