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Non biasimava i suoi collaboratori, che avevano lavorato fino a ore impossibili per la campagna elettorale e in quel momento, all'improvviso, avevano l'impressione che lui stesse mancando la palla.

"Capiranno presto" si disse. "Presto tornerò a essere il loro eroe."

Gli dispiaceva tenere all'oscuro il suo staff tanto a lungo, ma la riservatezza era troppo importante. E quando si trattava di mantenere un segreto la Casa Bianca era nota come la nave più piena di falle di tutta Washington.

Nella sala d'attesa davanti allo Studio Ovale, Herney salutò calorosamente la segretaria. «Ha un ottimo aspetto stamattina, Dolores.»

«Anche lei, signore» rispose, osservando l'abbigliamento sportivo con malcelata disapprovazione.

Herney abbassò la voce. «Vorrei che mi organizzasse un incontro.»

«Con chi, signore?»

«Con tutto lo staff della Casa Bianca.»

La segretaria alzò lo sguardo. «Tutto lo staff? Centoquarantacinque persone?»

«Esatto.»

Dolores parve sconcertata. «D'accordo. Nella… sala riunioni?»

Herney scosse la testa. «No. Facciamo nel mio ufficio.»

Lei lo fissò stralunata. «Desidera vedere l'intero staff dentro lo Studio Ovale?»

«Esatto.»

«Subito, signore?»

«Perché no? Diciamo questo pomeriggio alle quattro.»

La segretaria annuì come se tranquillizzasse un malato di mente. «Molto bene, signore. E il tema della riunione…?»

«Un importante annuncio che farò stasera al popolo americano. Voglio informarne prima il mio staff.»

Un'espressione desolata attraversò il viso della segretaria, come se paventasse da tempo quel momento. Abbassò la voce. «Signore, ha deciso di abbandonare la corsa?»

Herney scoppiò in una risata. «Santo cielo, Dolores, no! Anzi, sto accelerando per la volata finale!»

La donna parve dubbiosa. I media non facevano che sottolineare che Herney stava gettando al vento l'elezione.

Lui ammiccò per rassicurarla. «Dolores, in questi anni lei ha fatto un lavoro splendido per me, e spero che continuerà a farlo per altri quattro anni. La Casa Bianca resterà a noi. Glielo prometto.»

La segretaria sembrò decisa a credergli. «Molto bene, signore. Avverto lo staff. Ore sedici.»

Quando entrò nello Studio Ovale, Zach Herney non poté fare a meno di sorridere all'idea che il suo intero staff si sarebbe accalcato in quella sala che pareva più piccola di quanto in realtà non fosse.

Anche se quel grande ufficio aveva avuto molti soprannomi nel corso degli anni — Cesso, Nido dell'Uccello, Camera da letto di Clinton — quello che Herney preferiva era Nassa da aragoste. Gli sembrava decisamente azzeccato. Ogni volta che qualcuno vi metteva piede per la prima volta, il disorientamento era evidente. La simmetria del locale, la curva dolce delle pareti, le porte nascoste con discrezione contribuivano a dare ai visitatori la sensazione di essere stati bendati e fatti girare in tondo. Spesso, dopo un incontro nello Studio Ovale, un capo di Stato si alzava, stringeva la mano al presidente e poi marciava dritto verso il ripostiglio. A seconda dell'esito della riunione, Herney fermava in tempo l'ospite oppure lo guardava divertito affrontare quella situazione imbarazzante.

Herney aveva sempre pensato che la caratteristica principale dello Studio Ovale fosse la colorata aquila americana raffigurata sul tappeto ovale. L'artiglio sinistro stringeva un ramo d'ulivo e il destro un fascio di frecce. Pochi sapevano che, in tempo di pace, l'aquila guardava a sinistra, verso il ramo d'ulivo, mentre in tempo di guerra era misteriosamente rivolta a destra, verso le frecce. Il segreto di quel piccolo trucco da salotto era fonte di molte illazioni tra il personale, perché per tradizione era noto soltanto al presidente e al capo maggiordomo. Herney aveva appreso con delusione che la verità dietro quell'enigmatica aquila era molto banale: in un deposito in cantina era riposto il secondo tappeto ovale e il maggiordomo si limitava a sostituirlo nel cuore della notte.

Mentre Herney abbassava lo sguardo sulla pacifica aquila rivolta a sinistra, sorrise nel pensare che forse avrebbe fatto cambiare il tappeto in onore della piccola guerra che stava per sferrare contro il senatore Sedgewick Sexton.

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La US Delta Force è la sola squadra di combattimento le cui azioni sono coperte da completa immunità.

La Direttiva presidenziale 25 (PDD 25) stabilisce che i soldati della Delta Force sono "sollevati da ogni responsabilità legale", anche relativamente a quanto disposto dal decreto del 1876 del comitato Posse, che prevede l'incriminazione per chi si serva dell'esercito per vantaggi personali, per far rispettare leggi civili o per operazioni segrete non autorizzate. I membri della Delta Force sono scelti a uno a uno dal Combat Applications Group (CAG), un'organizzazione segreta all'interno dello Special Operations Command di Fort Bragg, nel North Carolina. I soldati della Delta Force sono tiratori addestrati ed esperti in missioni speciali quali salvataggio di ostaggi, raid a sorpresa ed eliminazione di forze nemiche clandestine.

Poiché le missioni della Delta Force comportano alti livelli di segretezza, la tradizionale gerarchia di comando è spesso aggirata in favore della gestione accentrata, un solo capo che ha il potere di dirigere l'unità come meglio ritiene. Di solito questi è un militare o un mediatore designato dal governo con sufficiente potere per gestire la missione. Quale che sia la sua identità, le missioni della Delta Force sono coperte dalla massima segretezza e, una volta terminate, i soldati sono tenuti a non parlarne più, né tra loro né con gli ufficiali di comando delle Operazioni speciali.

"Dirigiti sull'obiettivo. Distruggi. Dimentica."

La squadra Delta di stanza al di sopra dell'ottantaduesimo parallelo non si stava dirigendo sull'obiettivo, né distruggeva alcunché. Stava semplicemente osservando.

Delta-Uno doveva ammettere che, per il momento, quella era stata una missione decisamente inusuale, ma aveva imparato da tempo a non sorprendersi mai per ciò che gli veniva chiesto. Nei cinque anni precedenti era stato coinvolto nel salvataggio di ostaggi in Medio Oriente, nella caccia e nell'annientamento di cellule terroristiche che operavano all'interno degli Stati Uniti e perfino nella discreta eliminazione di parecchi uomini e donne pericolosi in giro per il mondo.

Solo il mese precedente, la sua squadra aveva usato un microbot volante per provocare un infarto letale a un signore della droga sudamericano particolarmente pericoloso. Delta-Due aveva impiegato un microbot dotato di un sottilissimo ago di titanio che conteneva un potente vasocostrittore e l'aveva fatto penetrare attraverso una finestra aperta al secondo piano. Poi, identificata la camera da letto dell'obiettivo, l'aveva guidato a iniettare il liquido nella spalla dell'uomo addormentato. Il microbot era già fuori dalla finestra, "svanito nel nulla", prima che il tizio si svegliasse con un forte dolore al petto. La squadra Delta era ormai in volo verso la base quando la moglie della vittima aveva chiamato l'ambulanza.

Nessuna effrazione.

Morte per cause naturali.

Un'operazione pulita.

Più recentemente, un altro microbot collocato all'interno dell'ufficio di un senatore molto in vista per controllare i suoi incontri privati aveva catturato le immagini di un sensazionale rapporto sessuale. La squadra Delta definiva scherzosamente l'operazione una "penetrazione dietro le linee nemiche".

A quel punto, intrappolato in tenda da dieci giorni con compiti di sorveglianza, Delta-Uno aspettava la conclusione della missione.

"Rimanete nascosti."

"Monitorate la struttura, all'interno e all'esterno."

"Riferite al vostro capo eventuali sviluppi inattesi."

Delta-Uno era stato addestrato a non provare alcuna emozione in relazione agli incarichi. Quella missione, però, aveva fatto accelerare il battito cardiaco a lui e ai compagni quando ne avevano sentito parlare per la prima volta. Le informazioni erano arrivate "anonime", ogni frase spiegata attraverso canali elettronici sicuri. Lui non aveva mai incontrato il responsabile della missione.

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