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Cercò di mettere a fuoco, ma non vide che gli uomini chini su di lei, tutti vestiti con identiche tute blu. Voleva parlare, però la bocca rifiutava di articolare le parole. La sensazione di bruciore sulla pelle stava cedendo a improvvise ondate di dolore che le percorrevano i muscoli come scosse sismiche.

«Si rilassi» disse l'uomo vicino a lei. «Il sangue deve rifluire nella muscolatura.» Parlava come un medico. «Cerchi di muovere gli arti più che può.»

Un dolore straziante, la sensazione che ogni muscolo fosse preso a martellate. Distesa sulle piastrelle, il torace contratto, riusciva a malapena a respirare.

«Muova braccia e gambe» insisteva l'uomo. «Si sforzi.»

Rachel tentò, ma ogni movimento era come una coltellata alle giunture. I getti d'acqua divennero più caldi. Di nuovo l'ustione. Una sofferenza straziante. Nel preciso istante in cui pensò di non poter resistere un altro momento, sentì che qualcuno le praticava un'iniezione. Il dolore si attenuò, sempre meno violento; il tremito si placò. Riusciva a respirare.

Una nuova sensazione si diffuse per il suo corpo, uno strano formicolio. Ovunque, piccole punture, sempre più fitte. Milioni di minuscole punture d'ago che si intensificavano appena si spostava. Cercò di restare immobile, ma i getti d'acqua continuavano a schiaffeggiarla. L'uomo le reggeva le braccia per fargliele muovere.

"Dio, se fa male!" Troppo debole per lottare, il viso rigato da lacrime di dolore e di spossatezza, serrò gli occhi per escludere il mondo.

Finalmente, il formicolio cominciò a diminuire. La pioggia dall'alto cessò. Aprì gli occhi: la visione si era schiarita.

Fu allora che li vide.

Corky e Tolland erano vicini a lei, bagnati e tremanti. Rachel comprese dall'espressione angosciata dei loro volti che dovevano aver sopportato un'esperienza analoga alla sua. Michael la guardò con occhi vitrei, iniettati di sangue, e abbozzò uno stentato sorriso con le labbra bluastre.

Rachel provò a mettersi seduta per guardarsi intorno. Erano tutti e tre vicini in un groviglio di membra tremanti, mezzi nudi, sul pavimento di una minuscola area docce.

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Braccia forti la sorressero. Energici sconosciuti l'asciugarono per poi avvolgerla in una coperta. Venne distesa su una specie di lettino e massaggiata con vigore su braccia, gambe e piedi. Un'altra iniezione nel braccio.

«Adrenalina» disse qualcuno.

Rachel avvertì la droga scorrere nelle vene come una forza vitale che rinvigoriva i muscoli. Sentì il sangue riaffluire lentamente nelle membra, mentre le viscere erano ancora strette da una gelida morsa.

"Ritorno dal regno dei morti."

Sforzò gli occhi. Tolland e Corky, tremanti malgrado le coperte, venivano massaggiati vicino a lei. Anche a loro fu praticata un'iniezione. Capì con chiarezza che quel misterioso gruppo di uomini aveva appena salvato loro la vita. Molti erano fradici: evidentemente erano entrati sotto la doccia completamente vestiti per soccorrerli. Rachel non si capacitava che fossero riusciti a recuperare in tempo lei e i compagni. Ma non importava, in quel momento. "Siamo vivi."

«Dove… dove ci troviamo?» riuscì a dire, ma l'articolazione di quelle poche parole le provocò lancinanti fitte alla testa.

Le rispose l'uomo che la stava massaggiando. «Nell'infermeria di un sottomarino classe Los Angeles…»

«Attenti!» gridò qualcuno.

Rachel avvertì un improvviso trambusto intorno a lei. Si mise a sedere, sostenuta da uno degli uomini in tuta blu, che si affrettò a coprirla. Si strofinò gli occhi e vide qualcuno entrare a passo deciso nel locale.

Il nuovo arrivato era un imponente afroamericano, bello e imperioso, in divisa color cachi. «Riposo!» ordinò, mentre si avvicinava a Rachel e la osservava con attenzione. «Sono Harold Brown» disse con voce profonda e autoritaria. «Comandante del sottomarino statunitense Charlotte. Lei come si chiama?»

"Charlotte." Il nome le suonò vagamente familiare. «Sexton» rispose. «Sono Rachel Sexton.»

L'uomo parve perplesso. Si accostò per studiarla meglio. «Per la miseria! Ma allora è proprio lei!»

Rachel era smarrita. "Mi conosce?" Lei era certa di non averlo mai visto anche se, quando abbassò lo sguardo dal viso alla mostrina che aveva sul petto, riconobbe il noto emblema dell'aquila con l'ancora tra gli artigli circondato dalle parole US NAVY.

Allora comprese perché il nome Charlotte le evocava qualcosa.

«Benvenuta a bordo, signora Sexton» disse il comandante. «Lei ha sintetizzato parecchi rapporti sulle ricognizioni di questa nave. So bene chi è.»

«Ma che ci fate in queste acque?» balbettò Rachel.

Il viso si indurì. «Francamente, stavo per rivolgerle la stessa domanda.»

Tolland si mise lentamente a sedere. Stava per parlare, quando Rachel lo zittì con un cenno deciso del capo. "Non qui. Non ora." Era più che sicura che lui e Corky avrebbero voluto raccontare subito del meteorite e dell'aggressione, ma non erano argomenti da trattare davanti all'equipaggio di un sottomarino militare. Nel mondo dell'intelligence, a prescindere da quale fosse il problema del momento, valeva sempre il livello di "autorizzazione all'accesso di informazioni riservate". La storia del meteorite era per il momento top secret.

«Devo parlare con il direttore dell'NRO, William Pickering» disse lei. «In privato, e immediatamente.»

Il comandante si mostrò perplesso, chiaramente non abituato a ricevere ordini a bordo della sua nave.

«Ho bisogno di comunicargli dati riservati» insistette Rachel.

Brown la studiò per qualche momento. «Lasciamo che il suo corpo riacquisti la temperatura normale, poi la metterò in contatto con il direttore dell'NRO.»

«È urgente, signore. Io…» Rachel si interruppe. Aveva appena visto l'orologio sulla parete sopra l'armadio dei medicinali. 19:51.

Batté gli occhi, stupita. «Funziona quell'orologio?»

«Lei si trova su una nave della marina americana, signora. I nostri orologi sono sempre esatti.»

«E quello è… regolato sul fuso orario della costa orientale?»

«Certo, 19:52, fuso orientale. Siamo al largo di Norfolk.»

"Dio mio! Sono solo le otto meno dieci?" Aveva l'impressione di essere rimasta svenuta per ore, e invece non erano neppure le venti. "Il presidente non ha ancora annunciato ufficialmente la scoperta del meteorite. Forse riesco a fermarlo!" Scivolò giù dal lettino, stringendosi nella coperta, malferma sulle gambe. «Devo parlare immediatamente con il presidente.»

Il comandante parve confuso. «Il presidente di che?»

«Degli Stati Uniti!»

«Avevo capito che volesse William Pickering.»

«Non c'è tempo. Ho bisogno del presidente.»

Il comandante le bloccò la strada con l'imponente corporatura. «A quel che so, il presidente sta per iniziare un'importante conferenza stampa, che verrà trasmessa in diretta. Dubito che accetti telefonate personali.»

Rachel si drizzò in tutta la sua altezza e fissò gli occhi in quelli scuri del comandante. «Signore, lei non ha l'autorizzazione per il tipo di informazioni di cui dispongo, ma sappia che il presidente sta per compiere un errore madornale. Devo assolutamente comunicargli una cosa. Subito. Si fidi di me.»

Il comandante la squadrò a lungo, poi, aggrottando la fronte, controllò di nuovo l'ora. «In nove minuti? Non posso stabilire un collegamento sicuro con la Casa Bianca in così poco tempo. La sola cosa che sono in grado di offrirle è un radiotelefono. Non sicuro. E inoltre dobbiamo raggiungere la quota periscopio, che richiede…»

«Lo faccia! E subito!»

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