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Avanzando con molta prudenza, l'arma spianata di fronte a sé, Delta-Due aveva superato l'ingresso della sezione della nave che alloggiava il laboratorio; la striscia continuava verso il ponte di poppa. Aveva svoltato l'angolo tenendosi largo, gli occhi sempre fissi sulla traccia.

Fu allora che lo vide. "Cristo!"

Delta-Tre, legato e imbavagliato, era stato scaricato senza tante cerimonie di fronte al piccolo batiscafo della Goya. Perfino da quella distanza, Delta-Due poteva vedere che al suo compagno mancava una grossa parte del piede destro.

Sospettando una trappola, sollevò la mitraglietta e avanzò. Ora Delta-Tre si stava dimenando, cercando di parlare. Paradossalmente, il modo in cui era stato legato, con le ginocchia piegate all'indietro, gli stava salvando la vita: l'emorragia dal piede, infatti, si era bloccata.

Delta-Due si avvicinò al sommergibile, apprezzando la rara opportunità di poter vedere tutto ciò che gli era alle spalle, praticamente l'intero ponte della nave, riflesso nella cupola semisferica del battello. Raggiunse il compagno che lottava per liberarsi, ma lesse troppo tardi l'allarme nei suoi occhi.

Il lampo argenteo apparve dal nulla.

Uno dei bracci meccanici del Triton balzò all'improvviso in avanti e si chiuse come una morsa attorno alla coscia sinistra del soldato. Delta-Due cercò di districarsi, ma la pinza meccanica non mollò. Urlò di dolore sentendo l'osso che si spezzava. Lanciò un'occhiata all'abitacolo del batiscafo. Scrutando attraverso il riflesso del ponte, vide Michael Tolland rannicchiato nel buio, ai comandi del Triton.

"Pessima idea." La rabbia di essere stato giocato gli ridiede energia. Dimenticò il dolore e portò la mitraglietta alla spalla. Mirando al torace di Tolland, che era a un solo metro di distanza, oltre la cupola di perspex, tenne il grilletto premuto finché l'ultimo dei bossoli esplosi non cadde sul ponte e non sentì lo scatto a vuoto dell'otturatore. Senza fiato, lasciò cadere l'arma e fissò con rabbia la cupola crivellata.

«Sei morto!» disse con un sibilo, cercando di liberarsi. La pinza meccanica gli lacerò la pelle. «Merda!» Afferrò la trasmittente del CrypTalk ma, all'atto di portarsela alle labbra, la pinza del secondo braccio meccanico si aprì di scatto e si lanciò in avanti, chiudendosi a morsa sul suo braccio destro. La radio cadde sul ponte.

Fu allora che Delta-Due vide il fantasma nel vetro davanti a lui. Un volto pallido si sporgeva a guardarlo attraverso una parte indenne della cupola. Sbalordito, esaminò il perspex. I proiettili l'avevano coperto di piccoli crateri, ma non erano penetrati attraverso lo spesso materiale.

Un attimo dopo, il portello sulla cima del sommergibile si aprì. Michael Tolland sembrava scosso ma incolume. Scese sul ponte e guardò la cupola del Triton.

«Resiste a più di sette milioni di chiogrammi di pressione al metro quadrato» disse. «Avresti avuto bisogno di un cannone.»

Nel laboratorio, Rachel sapeva che le era rimasto poco tempo. Aveva sentito gli spari sul ponte e pregava che tutto stesse andando secondo i piani di Tolland. Non le interessava più chi ci fosse dietro la messinscena del meteorite, il direttore della NASA, Marjorie Tench o addirittura il presidente in persona; non aveva più importanza.

"Non la faranno franca, chiunque sia il responsabile. La verità verrà a galla."

La ferita al braccio non sanguinava più e l'adrenalina che le scorreva in corpo aveva messo a tacere il dolore e acuito la sua concentrazione. Trovò carta e penna e scribacchiò un messaggio di due righe, diretto e spiccio: lo stile forbito era un lusso che non si poteva permettere in quel momento. Allegò la nota alla pila di fogli che aveva in mano: le stampate del GPR e del microscanner elettronico, le immagini del Bathynomous giganteus, foto e articoli sui condri. Il meteorite era un falso e quelle erano le prove.

Inserì l'intera pila nel fax del laboratorio. Aveva poca scelta perché conosceva a memoria solo alcuni numeri, ma aveva già deciso chi sarebbe stato il destinatario. Compose il numero trattenendo il fiato. Pigiò il tasto dell'invio, pregando di avere scelto la persona giusta.

La macchina fece: Biiiip.

ERRORE: NESSUN SEGNALE

Rachel se l'aspettava. Le trasmissioni dalla Goya erano ancora oggetto dei disturbi elettronici. Aspettò, sperando che l'apparecchio funzionasse come quello che aveva a casa. "Dai!"

Dopo dieci secondi, la macchina emise di nuovo un segnale.

NUOVA CHIAMATA

"Sì!" Rachel osservò la macchina procedere in un ciclo perpetuo.

ERRORE: NESSUN SEGNALE

NUOVA CHIAMATA

ERRORE: NESSUN SEGNALE

NUOVA CHIAMATA

Abbandonando la macchina a se stessa, Rachel si precipitò fuori dal laboratorio proprio mentre la pale di un rotore si annunciavano con un rombo.

119

A duecentocinquanta chilometri dalla Goya, Gabrielle fissava il computer del senatore Sexton ammutolita dallo stupore. I suoi sospetti erano fondati.

Oltre l'immaginabile.

Sotto i suoi occhi, le copie digitali di dozzine di assegni bancari intestati a Sexton, provenienti da società aerospaziali private e depositati in conti anonimi nelle isole Cayman. L'assegno più modesto era di quindicimila dollari. Alcuni ammontavano a oltre cinquecentomila.

"Briciole" a detta di Sexton. "Tutte le donazioni sono sotto il limite legale dei duemila dollari."

Sexton le aveva sempre mentito, dunque. Davanti a Gabrielle, ecco le prove di un finanziamento illecito di enormi proporzioni. Avvertì sul cuore il doloroso peso del tradimento e della delusione. "Bugiardo!"

Si sentì, infangata, sciocca, ma soprattutto furibonda.

Sola, al buio, si rese conto di non sapere che cosa fare.

120

Una visione totalmente inattesa si presentò agli occhi di Delta-Uno mentre sorvolava in virata il ponte della Goya. Michael Tolland era in piedi vicino a un veicolo dotato di bracci meccanici, che sembrava un piccolo batiscafo; tra i suoi grandi artigli di metallo Delta-Due si dibatteva come la preda di un gigantesco insetto.

"Che cavolo…?"

Ad aggravare il suo sgomento, Rachel Sexton apparve sul ponte e si portò vicino a un uomo legato e sanguinante, ai piedi del batiscafo: non poteva essere che Delta-Tre. La donna gli puntò contro una delle mitragliette in dotazione alla Delta Force, poi alzò lo sguardo verso l'elicottero in atteggiamento di sfida.

Per un attimo, Delta-Uno si sentì disorientato, incapace di spiegarsi come tutto ciò fosse possibile. La Delta Force sbagliava raramente, com'era accaduto sulla banchisa, ma sempre per ragioni comprensibili; gli eventi di quella sera, invece, erano inimmaginabili.

L'umiliazione sarebbe stata terribile in qualunque circostanza, ma in quel momento era resa ancora più bruciante dalla presenza, assolutamente inusuale, di un'altra persona a bordo dell'elicottero.

Il capo.

Dopo l'assassinio al Roosevelt Memorial, il capo aveva ordinato a Delta-Uno di fare rotta verso un parco pubblico deserto poco distante dalla Casa Bianca. Seguendo le istruzioni del superiore, Delta-Uno era atterrato su un poggio erboso circondato da un boschetto. Il capo era emerso dall'oscurità per imbarcarsi sul Kiowa Warrior. Pochi secondi dopo erano di nuovo in volo.

Benché una diretta partecipazione del capo alle missioni fosse molto rara, Delta-Uno non avrebbe certo potuto protestare. Il suo superiore, preoccupato dal fallimento sulla banchisa di Milne e timoroso di destare sospetti e sollevare ulteriori questioni, lo aveva informato che avrebbe sovrinteso personalmente alle operazioni.

In quel momento, a bordo, era testimone di un altro clamoroso insuccesso.

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