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Mentre studiava la crosta di fusione, le venne in mente che mancava un dato ovvio: forse una svista o una dimenticanza quando le avevano esposto i dati.

Si rivolse a Corky. «Qualcuno ha datato la crosta di fusione?»

Corky parve stupito. «Come?»

«Ho chiesto se qualcuno ha datato lo strato carbonizzato. Voglio dire, sappiamo per certo che la bruciatura è esattamente contemporanea alla meteora Jungersol?»

«Ma è impossibile datarla. L'ossidazione modifica tutti gli indicatori isotopici e, inoltre, i ritmi di decadimento degli isotopi radioattivi sono troppo lenti per misurare qualsiasi cosa che abbia meno di cinquecento anni.»

Rachel rifletté un momento, senza capire perché la data della crosta non rientrava nei dati. «Dunque, per quanto ne sappiamo, questa roccia può essersi carbonizzata nel Medioevo o lo scorso weekend, giusto?»

Tolland rise. «Nessuno sostiene che la scienza possegga tutte le risposte.»

Rachel rifletté ad alta voce. «In sostanza, la crosta di fusione non è altro che una bruciatura ad altissima temperatura. Tecnicamente parlando, quella presente sulla pietra potrebbe risalire a un momento qualsiasi degli ultimi cinquant'anni, ed essere avvenuta in mille modi diversi.»

«Sbagliato» affermò Corky. «Può essere bruciata soltanto durante la caduta attraverso l'atmosfera.»

«Nessun'altra possibilità? Una fornace, per esempio?»

«Una fornace? Questi esemplari sono stati esaminati al microscopio elettronico. Anche la fornace più pulita del mondo avrebbe lasciato residui di combustibile, nucleare, chimico o fossile. Neanche a parlarne. E poi, le striature provocate nel passaggio nell'atmosfera? Impossibile ottenerle in una fornace.»

Rachel aveva dimenticato le striature di orientamento sul meteorite. In effetti, pareva proprio che fosse precipitato attraverso l'atmosfera. «Un vulcano, forse» arrischiò. «Materiale eiettato con violenza durante un'eruzione?»

Corky scosse la testa. «La bruciatura è troppo pulita.»

Rachel guardò Tolland.

L'oceanografo annuì. «Mi dispiace, ma ho abbastanza esperienza di vulcani, sia sopra sia sotto l'acqua. Corky ha ragione. I prodotti piroclastici vengono penetrati da decine di tossine — diossido di carbonio, anidride solforosa, acido solfidrico, acido idrocloridrico — che si sarebbero evidenziate durante la scansione elettronica. La crosta di fusione, che ci piaccia o no, è il risultato di una bruciatura pulita, causata dall'attrito con l'atmosfera.»

Con un sospiro, Rachel tornò a guardare fuori dal finestrino. "Una bruciatura pulita." La frase continuò a girarle in testa. Si voltò verso Tolland. «Cosa intendi, quando parli di "bruciatura pulita"?»

«Soltanto che, sotto il microscopio elettronico, non vediamo resti di combustibile, da cui si deduce che il riscaldamento è stato causato da energia cinetica e attrito e non da agenti chimici o nucleari.»

«Se non sono stati trovati elementi estranei, cosa c'era? Insomma, nello specifico, qual è la composizione della crosta di fusione?»

Fu Corky a rispondere. «Abbiamo trovato esattamente quello che prevedevamo, e cioè elementi atmosferici puri: azoto, ossigeno, idrogeno. Nessuna traccia di petrolio, zolfo o acidi di origine vulcanica. Niente di particolare. Le solite cose che si riscontrano nei meteoriti precipitati attraverso l'atmosfera.»

Rachel si appoggiò allo schienale, concentrata.

Corky si sporse a guardarla. «Ti prego, non dirmi che la tua nuova teoria è che la NASA ha caricato sullo shuttle una roccia fossile, l'ha portata nello spazio e poi l'ha spedita sulla Terra nella speranza che la palla di fuoco, il grande cratere e l'esplosione passassero inosservati.»

Rachel non ci aveva pensato, anche se l'idea non era poi così peregrina. Non facile da praticare, forse, ma interessante. I suoi pensieri, in realtà, erano più vicini a casa. "Tutti elementi atmosferici naturali. Una bruciatura pulita. Striature create dall'attrito durante la caduta." Una debole luce si era accesa in un angolo remoto della sua mente. «I rapporti tra gli elementi atmosferici sono esattamente gli stessi riscontrati in tutti gli altri meteoriti dotati di crosta di fusione?»

Corky sembrò lievemente infastidito dalla domanda. «Perché lo chiedi?»

Vedendolo esitare, Rachel sentì accelerare il battito cardiaco. «I rapporti erano diversi, vero?»

«C'è una spiegazione scientifica.»

A quel punto, il cuore le martellava in petto. «Per caso hai notato un contenuto insolitamente alto di un elemento particolare?»

Tolland e Corky si scambiarono un'occhiata sbalordita. «Sì» disse Corky «ma…»

«Idrogeno ionizzato, forse?»

L'astrofisico sbarrò gli occhi. «Come fai a saperlo?»

Anche Tolland appariva sconcertato.

Rachel li fissò entrambi. «Perché nessuno me ne ha parlato?»

«Perché c'è una spiegazione scientifica assolutamente inattaccabile» ribatté Corky.

«Sono tutta orecchi.»

«L'eccedenza di idrogeno ionizzato è dovuta al fatto che il meteorite ha attraversato l'atmosfera nella zona del polo Nord, dove il campo magnetico terrestre causa una concentrazione più alta del normale di ioni di idrogeno» affermò Corky.

«Purtroppo c'è un'altra spiegazione.»

87

Il quarto piano della sede centrale della NASA era meno maestoso dell'atrio: lunghi corridoi asettici con una serie di porte a intervalli regolari. Era deserto. Insegne smaltate indicavano in ogni direzione.

‹- LANDSAT 7

TERRA -›

‹- ACRMSAT

‹- JASON 1

AQUA -›

PODS -›

Gabrielle seguì l'indicazione PODS. Si inoltrò lungo una serie di tortuosi passaggi e incroci prima di arrivare davanti a pesanti porte d'acciaio. Sulla targa, una scritta:

POLAR ORBITING DENSITY SCANNER (PODS)
Capoprogetto, Chris Harper

Per aprire le porte occorreva inserire la chiave elettronica nella fessura e digitare un codice sul tastierino numerico. Gabrielle avvicinò l'orecchio al freddo metallo. Per un momento ebbe l'impressione di sentir parlare, discutere. Ma forse no. Si chiese se bussare, ma poi decise che per trattare con Chris Harper doveva ricorrere a tattiche più sottili. Si guardò intorno in cerca di un'altra entrata, ma non ne vide. Vicino alla porta, notò uno sgabuzzino poco illuminato. Gabrielle vi cercò una chiave o un passe-partout elettronico. Niente. Soltanto scope e spazzoloni.

Tornò a origliare alla porta. Questa volta udì distintamente alcune voci, sempre più forti, e poi rumore di passi. Qualcuno aprì dall'interno.

Non ebbe il tempo di nascondersi. Balzò di lato, incollandosi al muro dietro la porta spalancata mentre alcune persone uscivano di corsa, parlando animatamente. Parevano seccate.

«Ma che diavolo ha Harper? Pensavo che sarebbe stato al settimo cielo!»

«In una notte come questa vuole stare solo?» ribadì un altro. «Dovrebbe festeggiare!»

Mentre il gruppo si allontanava, la massiccia porta cominciò a richiudersi sui cardini pneumatici, lasciando Gabrielle allo scoperto. Restò immobile il più a lungo possibile mentre quelli percorrevano il corridoio e poi, quando rimaneva solo un varco di pochi centimetri, afferrò la maniglia. Aspettò che gli uomini svoltassero l'angolo, troppo presi dalla conversazione per guardarsi alle spalle.

Con il batticuore, entrò nel locale poco illuminato e richiuse la porta dietro di sé.

Si trovò in un ampio spazio aperto che le ricordò il laboratorio di fisica dell'università: computer, postazioni di lavoro, apparecchi elettronici. Quando gli occhi si abituarono alla penombra, vide sparsi ovunque grafici e fogli di calcolo. L'intera area era buia tranne un ufficio in fondo, sotto la cui porta filtrava una luce. Gabrielle vi si diresse senza fare rumore. La porta era chiusa, ma dal vetro vide un uomo seduto al computer.

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