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— D’accordo — risposi. — Ma dove dormiamo stanotte? Qui sulla spiaggia o nella nave, dove saremmo più al sicuro?

Intervenne la nave: «Provvederò a rendere il mio interno sicuro e ospitale quanto possibile, date le circostanze. Due delle cuccette di crio-fuga serviranno da letto e ci sono amache utilizzabili…»

— Voto per accamparci — disse Aenea. — Per quanto riguarda lo Shrike, la nave non è certo più sicura della spiaggia.

Guardai la foresta sempre più buia. — Potrebbero esserci altre creature che preferiremmo non incontrare nel buio — obiettai. — La nave pare più sicura.

A. Bettik toccò una cassetta. — Ho trovato alcuni piccoli allarmi perimetrici — disse. — Possiamo disporli intorno al campo. Sarei lieto di montare la guardia, stanotte. Ammetto di provare un ceno interesse nel dormire all’aria aperta, dopo tanti giorni a bordo della nave.

Sospirai e mi arresi. — Faremo la guardia a turno. Sistemiamo questa roba, prima che sia troppo buio.

La "roba" comprendeva l’attrezzatura da campeggio che avevo detto all’androide di portare a terra: una tenda di polimero microsottile, spessa quanto l’ombra d’una ragnatela, ma resistente, impermeabile e tanto leggera che la si poteva portare, ripiegata, in tasca; il termocubo di materiale superconduttore, freddo su cinque lati e sufficiente a scaldare qualsiasi pasto nel sesto; gli allarmi perimetrici menzionati da A. Bettik, in pratica una versione per cacciatori dei vecchi rivelatori di movimento militari, dischi di tre centimetri che potevano essere piantati a terra su di un qualsiasi perimetro fino a due chilometri d’estensione; sacchi a pelo, giacigli di schiuma infinitamente comprimibile, occhiali notturni, i ricetrasmettitori, attrezzature mensa e utensili vari.

Per prima cosa disponemmo gli allarmi, piantandoli in un semicerchio dal limitare della foresta al bordo del fiume.

— E se quell’enorme creatura striscia fuori del fiume e ci divora? — disse Aenea, mentre terminavamo di stabilire il perimetro. Ora il buio s’infittiva, ma le nuvole nascondevano le stelle. La brezza faceva frusciare le fronde con un rumore più sinistro di prima.

— Se quella creatura o qualsiasi altra striscia fuori del fiume e ci divora — dissi — rimpiangerai che non siamo rimasti nella nave ancora una notte. — Sistemai sul bordo del fiume l’ultimo rivelatore.

Alzammo la tenda al centro della spiaggia, non lontano dalla prua della nave azzoppata. Il microtessuto rendeva superflui pali e paletti: bastava piegare e ripiegare le parti del tessuto che si volevano rigide e le pieghe avrebbero resistito a un uragano; ma montare una microtenda era quasi un’arte e gli altri due rimasero a guardare, mentre espandevo il tessuto, piegavo i bordi a forma di A, con una cupola centrale abbastanza alta da consentirci di stare in piedi e ripiegavo nella sabbia i bordi a un tratto rigidi per piantarli come paletti. Avevo lasciato una parte di microtessuto perché fungesse da pavimento e stiracchiandolo un poco ottenni un ingresso. A. Bettik annuì in segno d’approvazione per il trucco; Aenea sistemò i sacchi a pelo, mentre io mettevo sul termocubo una pentola e aprivo una scatoletta di stufato di vitello. All’ultimo momento ricordai che Aenea era vegetariana… nelle due settimane sulla nave si era nutrita soprattutto d’insalate.

— Va benissimo — disse la bambina, sporgendo la testa da dentro la tenda. — Mangerò un po’ del pane che A. Bettik sta riscaldando e forse un pezzetto di formaggio.

A. Bettik in quel momento portava legna secca e disponeva in cerchio alcune pietre.

— Non abbiamo bisogno di un fuoco — dissi, indicando il termocubo e la pentola borbottante.

— No, certo — disse l’androide. — Ma pensavo che un fuoco sarebbe stato piacevole. E la luce, gradita.

La luce, infatti, fu molto gradita. Seduti al riparo della veranda, guardammo le fiamme sputare al cielo scintille, mentre si avvicinava una tempesta. Era una tempesta insolita, con bande di luce cangiante al posto di fulmini. Le livide bande di tremuli colori danzavano dal ventre delle nuvole in corsa fino a qualche metro dalle fronde di gimnosperme che mulinavano nel vento. Il fenomeno non era accompagnato da tuoni, ma da una sorta di rombo subsonico che mi dava ai nervi. Nella giungla stessa, lividi globi di fosforescenza rossa e gialla saltellavano e danzavano… non con la grazia dei ragnatelidi radianti delle foreste di Hyperion, ma a scatti, quasi con malevolenza. Alle nostre spalle il fiume lambiva con onde sempre più decise la spiaggia. Seduto accanto al fuoco, con in testa la cuffia radio sintonizzata sulla frequenza dei rivelatori perimetrali, con la carabina al plasma di traverso sulle ginocchia, con gli occhiali notturni alzati sulla fronte e pronti a essere abbassati al minimo preavviso, ero di sicuro una figura comica. Ma in quel momento non ci vidi niente di buffo: continuavano a venirmi in mente le orme dello Shrike sulla sabbia.

— Si è mostrato minaccioso? — avevo domandato ad A. Bettik qualche minuto prima. Avevo cercato di convincerlo a impugnare la doppietta cal. 16 (per un novellino non c’è arma più facile da usare di una doppietta), ma ero riuscito solo a fargliela tenere accanto a sé vicino al fuoco.

— Non si è nemmeno mosso — aveva risposto A. Bettik. — Si è limitato a stare fermo lì sulla spiaggia: alto, irto di punte, scuro ma luccicante. Aveva occhi d’un rosso acceso.

— Guardava te?

— Guardava a est, lungo il fiume.

"Come in attesa che Aenea e io facessimo ritorno" avevo pensato.

Così ora me ne stavo seduto accanto al fuoco guizzante, guardavo l’aurora boreale danzare e vibrare sopra la giungla sbatacchiata dal vento, seguivo i fuochi fatui che saltellavano nel buio della foresta, ascoltavo il tuono subsonico brontolare come una grossa belva famelica e ingannavo il tempo domandandomi come diavolo m’ero cacciato in quella situazione. Per quanto ne sapevo, branchi di velorapaci e di kaliderghi in quel momento scivolavano nella giungla verso di noi che ce ne stavamo, tonti e ben pasciuti, accanto al fuoco. O forse il livello del fiume si sarebbe alzato… forse una muraglia d’acqua già si precipitava verso di noi. Accamparsi in una lingua di sabbia non era stata un’idea molto brillante. Avremmo dovuto dormire nella nave, con il portello ben chiuso.

Aenea, distesa sullo stomaco, guardava il fuoco. — Non conosci qualche storia? — mi disse.

— Qualche storia! — sbottai. A. Bettik, che se ne stava seduto accanto al fuoco, braccia strette intorno alle ginocchia, alzò gli occhi.

— Sì. Come le storie di fantasmi.

Borbottai qualcosa.

Aenea appoggiò il mento sulle mani: il fuoco le dipingeva il viso di toni caldi. — Pensavo solo che sarebbe stato divertente — disse. — Mi piacciono le storie di fantasmi.

Mi vennero in mente quattro o cinque risposte pepate, ma mi trattenni. — Faresti meglio a dormire — dissi infine. — Se la nave ha ragione sulla lunghezza del giorno, anche la notte sarà breve… — "Signore, ti prego, fa’ che sia vero" pensavo intanto. Soggiunsi: — Ti conviene dormire un poco, finché puoi.

— Va bene — disse Aenea. Diede un’ultima occhiata, al di là del fuoco, alla giungla squassata dal vento, all’aurora boreale, al fuoco di S. Elmo sugli alberi; poi s’infilò nel sacco a pelo e si dispose a dormire.

A. Bettik e io restammo in silenzio per un poco. Di tanto in tanto parlavo nel comlog, chiedevo alla nave d’informarmi subito se il livello del fiume cominciava a salire o se si verificava qualche spostamento di massa o se…

— Sarei lieto di fare il primo turno di guardia, signor Endymion — disse A. Bettik.

— No, pensa a dormire — risposi, dimenticando che agli androidi bastavano pochissime ore di sonno.

— Allora faremo la guardia insieme — disse piano A. Bettik. — Ma si ritenga libero d’appisolarsi quando ne ha bisogno, signor Endymion.

Forse mi appisolai davvero per un poco, prima che spuntasse l’alba tropicale, circa sei ore più tardi. Per tutta la notte il cielo era stato coperto e tempestoso; mentre eravamo lì, la nave non ebbe mai la possibilità di fare un rilevamento stellare. Non fummo divorati da velorapaci né da kaliderghi. Il livello del fiume non salì. L’aurora boreale non ci creò inconvenienti e i globi di gas di palude non uscirono dagli acquitrini per bruciarci.

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