— Teilhard avrebbe incluso il TecnoNucleo in questa evoluzione? — domandò piano Aenea. Si stringeva le ginocchia.
Padre Glauco smise di dondolarsi e con le dita si pettinò la barba. — Gli studiosi di Teilhard hanno dibattuto con vigore per secoli questo argomento, mia cara. Non sono uno studioso, ma sono sicuro che nel suo ottimismo Teilhard avrebbe incluso il Nucleo.
— Ma le Intelligenze Artificiali discendono dalle macchine — obiettò A. Bettik. — E il loro concetto d’Intelligenza Finale è totalmente diverso da quello cristiano: una mente fredda e spassionata, una capacità di previsione in grado di contemplare tutte le variabili.
Padre Glauco annuiva. — Ma le IA pensano, figliolo. I primi loro progenitori dotati di consapevolezza furono progettati dal DNA vivente…
— Progettati dal DNA per calcolare - intervenni, atterrito al pensiero che, parlando di anima, alle macchine del Nucleo si concedesse il beneficio del dubbio.
— E per cos’era progettato il nostro DNA, nei primi cento milioni di anni, figliolo? Mangiare? Uccidere? Procreare? Eravamo, agli inizi, meno ignobili delle Intelligenze Artificiali pre-Egira basate su silicio e DNA? Come avrebbe detto Teilhard, è la coscienza ciò che Dio ha creato per accelerare la consapevolezza dell’universo come mezzo per capire la Sua volontà.
— Il TecnoNucleo — dissi — voleva usare la razza umana come parte del progetto per l’Intelligenza Finale e poi distruggerci.
— Ma non ci ha distrutti — replicò padre Glauco.
— Non grazie al Nucleo.
— L’umanità si è evoluta, fino al punto in cui si è evoluta, senza ringraziamenti ai suoi predecessori né a se stessa — disse il vecchio prete. — L’evoluzione porta esseri umani. Gli esseri umani, attraverso un procedimento lungo e doloroso, portano umanità.
— Empatia — mormorò Aenea.
Padre Glauco girò nella sua direzione gli occhi ciechi. — Esatto, mia cara. Ma noi non siamo la sola incarnazione della razza umana. Appena raggiunta la consapevolezza, le nostre macchine calcolatrici sono diventate parte di questo disegno. Potranno opporre resistenza. Potranno cercare di disfarlo per i loro complessi fini. Ma l’universo continua a intessere il proprio disegno.
— Lei fa in modo che l’universo e i suoi processi sembrino una macchina — dissi. — Programmata, inarrestabile, inevitabile.
Il vecchio prete scosse lentamente la testa. — No, no… una macchina, mai. E mai inevitabile. La venuta di Cristo ci ha insegnato almeno una cosa: niente è inevitabile. Il risultato è sempre in dubbio. Siamo sempre noi a decidere per la luce o per le tenebre. Noi… e qualsiasi entità consapevole.
— Ma Teilhard pensava che la consapevolezza e l’empatia avrebbero vinto? — domandò Aenea.
Padre Glauco mosse la mano ossuta in direzione della scaffalatura alle spalle di Aenea. — Là dovrebbe esserci un libro… nel terzo ripiano… aveva un segnalibro azzurro, l’ultima volta che l’ho visto, trenta e passa anni fa. Lo vedi?
— Diari, appunti e corrispondenze di Teilhard de Chardin? — disse Aenea.
— Sì, sì. Aprilo dove c’è il segnalibro. Vedi il brano sottolineato? Una delle ultime cose che questi vecchi occhi hanno visto prima che scendessero le tenebre…
— L’annotazione datata 12 dicembre 1919? — domandò Aenea.
— Sì. Leggila, per favore.
Aenea accostò il libro alla luce del fuoco.
— "Si noti bene" — lesse. — "Non attribuisco alcun valore definitivo e assoluto alle varie costruzioni dell’uomo. Credo che scompariranno, riplasmate in un nuovo intero che ancora non possiamo concepire. Nello stesso tempo riconosco che hanno avuto un ruolo provvisorio essenziale: sono fasi necessarie, inevitabili, che noi (noi o la razza) dobbiamo percorrere nel corso della nostra metamorfosi. Ciò che amo in esse non è la loro forma particolare, ma la loro funzione, che è quella di costruire, in modo misterioso, prima qualcosa che possa essere reso divino, e poi, tramite la grazia di Cristo che illumina i nostri sforzi, qualcosa di divino."
Seguì un momento di silenzio, rotto solo dal lieve sibilo del fuoco e dagli scricchiolii e dai gemiti di decine di milioni di tonnellate di ghiaccio sopra e intorno a noi. Finalmente padre Glauco disse: — Quella speranza è l’eresia di Teilhard agli occhi dell’attuale papa. La fede in quella speranza fu il mio grande peccato. Questo… — indicò la parete esterna di ghiaccio e le tenebre che premevano contro il vetro — è il mio castigo.
Per qualche momento nessuno di noi aprì bocca.
Poi padre Glauco rise e posò sulle ginocchia le mani ossute. — Ma mia madre m’insegnò che non esiste castigo, né dolore, quando ci sono amici e cibo e conversazione. Tutte cose che qui abbiamo. Signor Bettik! Dico "signor Bettik" perché l’altra forma non le rende onore, anzi la emargina dall’umanità mediante la falsa invenzione di false categorie. Signor Bettik!
— Signore?
— Farebbe a questo vecchio il favore di andare in cucina a prendere il caffè che ormai dovrebbe essere pronto? Provvederò io allo stufato e al pane messi a scaldare. Signor Endymion?
— Sì, Padre?
— Le dispiacerebbe scendere in cantina e scegliere il vino della migliore annata disponibile?
Sorrisi, sapendo che il prete non poteva vedermi. — E quanti piani devo scendere, Padre, prima di trovare la cantina? Non cinquantanove, mi auguro.
Il vecchio ridacchiò fra la barba. — Bevo vino a ogni pasto, figliolo, quindi sarei in una migliore forma fisica, se fossi costretto a scendere e salire in continuazione. No, vecchio e pigro come sono, tengo il vino nel ripostiglio al piano sottostante. Accanto alla scala.
— Lo troverò — assicurai.
— Intanto apparecchio — disse Aenea. — E domani sera cucino io.
Ognuno andò a svolgere il proprio compito.
45
La Raffaele trasla nel sistema Sol Draconis. Contrariamente a quanto spiegato al Padre Capitano de Soya e ad altri capitani di corrieri, il meccanismo di propulsione delle navi Arcangelo non deriva dall’antico motore Hawking che, fin da prima dell’Egira, ha superato la barriera della velocità della luce. Il motore della Raffaele è soprattutto una mistificazione: quando raggiunge velocità prossime a quelle quantiche, lancia un segnale tramite un mezzo un tempo denominato Vuoto Legante. Una fonte d’energia residente altrove innesca un remoto meccanismo che perfora un sub-piano di quel mezzo e lacera il tessuto stesso dello spazio e del tempo. La perforazione è istantaneamente fatale all’equipaggio, che muore tra mille sofferenze: cellule frantumate, ossa sbriciolate, blocco delle sinapsi, rilasciamento dei visceri, liquefazione degli organi. L’equipaggio non scopre mai i particolari: durante la ricostruzione del corpo a opera del crucimorfo e la seguente risurrezione, ogni ricordo di quei microsecondi d’orrore e di morte viene cancellato.
Ora la Raffaele inizia la traiettoria di decelerazione verso Sol Draconis Septem e il suo motore a fusione, quello reale, rallenta la nave, sottoposta a una forza di 200 g. Nelle cuccette di risurrezione, il Padre Capitano de Soya, il sergente Gregorius e il caporale Kee giacciono morti e i loro corpi già distrutti sono polverizzati una seconda volta, perché la nave risparmia automaticamente energia tenendo spenti i campi interni finché la risurrezione non è in corso. Oltre ai tre cadaveri umani a bordo c’è un altro paio d’occhi. Rhadamanth Nemes ha sollevato il coperchio della sua culla di risurrezione e ora giace sul lettino: il suo corpo ben strutturato subisce il tormento, ma non i danni, della terribile decelerazione. Secondo il programma standard, il supporto vitale nella cabina generale è spento: non c’è ossigeno, la pressione atmosferica è troppo bassa per consentire a un essere umano di sopravvivere senza tuta spaziale e la temperatura è di trenta gradi centigradi sotto zero. Rhadamanth Nemes, nella sua tuta cremisi, giace sul lettino e guarda i monitor; di tanto in tanto rivolge alla nave una domanda e riceve la risposta su un fibrafilo di collegamento dati.