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L’androide annuì. Avevamo già stabilito gli altri segnali che avrei usato.

— Oh, se mi tirate a bordo e sono in coma o già morto — soggiunsi, cercando di parlare con indifferenza — non dimenticate che potrei essere risuscitato anche dopo alcuni minuti dall’arresto cardiaco. L’acqua gelida dovrebbe ritardare la morte cerebrale.

A. Bettik annuì di nuovo. Era in piedi, con la corda sulla spalla e arrotolata intorno alla cintola, nella classica posa dello scalatore.

— Bene — dissi, accorgendomi di tirarla per le lunghe e di perdere così calore corporeo. — Ci vediamo fra qualche minuto. — Scavalcai la fiancata e scivolai nell’acqua nera.

Credo che il cuore mi si fermò davvero per un minuto, ma poi riprese a battere quasi dolorosamente. La corrente era più forte di quanto non m’aspettassi. Prima che fossi pronto, minacciò di tirarmi a fondo e sotto la parete di ghiaccio. In realtà mi trascinò di alcuni metri a destra della zattera e mi mandò a sbattere dolorosamente contro il ghiaccio scabro, provocandomi un taglio alla fronte e lividi alle braccia. Mi aggrappai con tutte le forze al ghiaccio frastagliato, sentendo che le gambe e la parte inferiore del corpo erano trascinate nel vortice sotterraneo e lottai per tenere il viso fuor d’acqua. La stalattite caduta poco prima dietro di noi urtò la parete di ghiaccio a solo un mezzo metro alla mia sinistra. Se avesse colpito me, avrei perso i sensi e sarei annegato senza neppure accorgermene.

— Forse… non… è stata… una… buona idea — ansimai, battendo i denti; poi perdetti la presa e fui trascinato sotto la cascata di ghiaccio.

37

De Soya ha l’idea di lasciar perdere lo schema di ricerca della Raffaele e di traslare direttamente nel primo dei sistemi catturati dagli Ouster.

— Quale vantaggio ne avremmo, signore? — domanda il caporale Kee.

— Nessuno, forse — ammette il Padre Capitano de Soya. — Ma se c’è una relazione con gli Ouster, lì potremmo scoprire qualche indizio.

Il sergente Gregorius si liscia la mascella. — Sì, ma potremmo anche cadere in mano a uno Sciame. Questa nave non è la meglio armata della flotta di Sua Santità, se me lo consente, signore.

De Soya annuisce. — Però è veloce. Probabilmente potremmo battere in velocità la maggior parte delle navi di uno Sciame. E forse ormai quelli avranno abbandonato il sistema: tendono a fare così, colpiscono, fuggono, spingono indietro la Grande Muraglia della Pax, poi lasciano nel sistema solo una simbolica difesa perimetrale, dopo avere causato la maggior distruzione possibile sul pianeta e sulla popolazione… — S’interrompe. Ha visto di persona solo uno dei pianeti devastati dagli Ouster, Svoboda, ma si augura di non vederne mai altri. — Comunque — riprende — per noi su questa nave non cambia niente. Di norma il balzo quantico al di là della Grande Muraglia comporterebbe otto o nove mesi di tempo/nave, con un debito temporale di undici anni o più. Per noi si tratterà del solito balzo istantaneo e di tre giorni per la risurrezione.

Il lanciere Rettig alza la mano, come fa spesso in quelle discussioni. — Bisogna considerare una cosa, signore.

— Quale?

— Gli Ouster non hanno mai catturato un corriere Arcangelo, signore. Non credo siano al corrente dell’esistenza di queste navi. Diamine, signore, gran parte della nostra flotta ignora perfino che esiste la tecnologia per le Arcangelo.

De Soya capisce subito il punto, ma Rettig prosegue: — Perciò sarebbe un bel rischio, signore. Non per noi stessi, ma per la Pax.

Segue un lungo silenzio. Alla fine de Soya dice: — Giusta obiezione, lanciere. Anch’io ci ho riflettuto. Ma il Comando della Pax ha costruito questa nave con la culla automatica di risurrezione per consentirci di andare al di là dello spazio della Pax. Mi pare sottinteso che potrebbe presentarsi la necessità di seguire qualche traccia nella Periferia… nel territorio Ouster, se occorre. — Prende fiato. — Io ci sono stato. Ho bruciato le loro foreste orbitali e mi sono aperto la strada combattendo per uscire dagli Sciami. Gli Ouster sono… bizzarri. Il loro tentativo di adattarsi ad ambienti insoliti, perfino allo spazio, è… blasfemo. Forse loro non appartengono più alla razza umana. Ma le loro navi non sono veloci. La Raffaele dovrebbe essere in grado di entrare nella Periferia e poi di traslare a velocità quantiche, se c’è pericolo che sia catturata. E possiamo programmarla in modo che si autodistrugga in caso di cattura.

Le tre Guardie Svizzere rimangono in silenzio. Ciascuno pare pensare alla morte nella morte che quell’evento comporterebbe… la distruzione senza preavviso di distruzione. Andrebbero a dormire come sempre nella loro cuccetta e non si risveglierebbero, semplicemente… non in questa vita, almeno. Il sacramento del crucimorfo è davvero miracoloso, può riportare in vita cadaveri maciullati ed esplosi, riformare la sagoma e l’anima di cristiani rinati che siano stati colpiti, bruciati, affamati, annegati, asfissiati, pugnalati, schiacciati o rovinati dalla malattia… ma ha i suoi limiti: è impotente di fronte a un lungo periodo di decomposizione, come lo sarebbe in caso d’esplosione termonucleare del motore interplanetario della nave.

— Siamo con lei, credo — dice infine il sergente Gregorius, sapendo che il Padre Capitano de Soya ha intavolato questa discussione perché a lui non piace dare un semplice ordine e imporre ai propri uomini un simile rischio di vera morte.

Kee e Rettig si limitano ad annuire.

— Bene — dice de Soya. — Programmerò la Raffaele in questo modo: se non avrà la possibilità di fuggire prima di risuscitarci, farà esplodere i motori a fusione. E starò ben attento a stabilire i parametri che determinano "l’impossibilità di fuga". Ma non credo che ci siano molte possibilità che la situazione si verifichi. Ci sveglieremo in… oddio, non ho neppure controllato qual è il primo mondo del Teti occupato dagli Ouster. Tai Zhin?

— Negativo, signore — dice Gregorius, chino sopra la mappa stellare che riporta lo schema di ricerca della Raffaele. Punta il dito sopra una zona fuori della Pax, segnata con un circoletto. — Hebron. Il pianeta degli ebrei.

— D’accordo, allora — dice il prete-capitano. — Entriamo nelle cuccette e dirigiamoci al punto di traslazione. L’anno prossimo a Nuova Gerusalemme!

— L’anno prossimo, signore? — si meraviglia il lanciere Rettig, sospeso sopra la mappa, prima di darsi lo slancio per tornare nella cuccetta.

De Soya sorride. — Un modo di dire che ho appreso da alcuni amici ebrei. Non so cosa significhi.

— Non sapevo che in giro ci fossero ancora degli ebrei — dice il caporale Kee, librato sopra la cuccetta. — Pensavo che se ne stessero tutti nella Periferia.

De Soya scuote la testa. — Nell’università, quando seguivo corsi esterni al seminario, c’erano alcuni ebrei convertiti. Non pensateci. Fra poco su Hebron ne incontrerete alcuni. Allacciare le cinture.

Appena si sveglia, il prete-capitano capisce subito che qualcosa è andato storto. Alcune volte, da giovane, nei suoi giorni più sfrenati, Federico de Soya si è ubriacato con i colleghi seminaristi e in una di quelle occasioni si è svegliato in un letto estraneo… da solo, grazie a Dio… ma in un letto sconosciuto, in una sconosciuta parte della città, senza il minimo ricordo del padrone di quel letto né di come lui vi fosse finito. Questo risveglio gli ricorda le vecchie bravate.

Anziché aprire gli occhi e vedere le compatte culle automatizzate della Raffaele, sentire gli odori d’ozono e di sudore riciclato della nave, provare il terrore di svegliarsi-e-cadere dovuto all’assenza di gravità, de Soya si trova in un comodo letto e in una graziosa stanza, in un campo gravitazionale ragionevolmente normale. Alle pareti sono appese icone religiose: la Vergine Maria, un grande crocifisso con il Cristo sofferente che leva al cielo gli occhi, un quadro raffigurante il martirio di S. Paolo. Dalle tendine di merletto penetrano deboli raggi di sole.

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