Литмир - Электронная Библиотека
Содержание  
A
A

La donna si mosse a destra, bloccandoci la strada. — Perdiamo solo tempo — disse, calma. — Ho ancora solo quattro minuti. Un mucchio di tempo. Un’eternità.

— Andiamo. — Afferrai per il braccio Aenea e corsi verso le rocce. Non avevo piani. Avevo solo le parole prive di senso mormorate da una voce che non era quella del comlog.

Non raggiungemmo mai le rocce di lava. Ci fu una vampata d’aria calda e la sagoma cromata della donna fu davanti a noi, tre metri sopra di noi, sulla facciata di roccia nera. — Addio, Raul Endymion — disse la maschera di cromo. Il tremolante braccio metallico si sollevò.

La vampata di calore mi bruciò le sopracciglia, m’incendiò la camicia e ci scagliò in aria, all’indietro. Battemmo duramente e rotolammo via dall’indicibile calore. I capelli di Aenea fumavano e li battei con le braccia per impedire che prendessero fuoco. Il medipac di A. Bettik strideva di nuovo, ma il rombo da valanga dell’aria iperriscaldata soffocava l’avvertimento. Vidi che la manica della mia camicia fumava e la strappai prima che prendesse fuoco. Girammo le spalle al calore e strisciammo via il più rapidamente possibile. Pareva d’essere sul bordo d’un vulcano attivo.

Afferrammo A. Bettik e lo tirammo sulla riva, senza esitare un secondo a infilarci nell’acqua fumante. Mi sforzai di tenere fuor d’acqua la testa dell’androide svenuto, mentre Aenea si sforzava d’impedire a noi due di scivolare via nella corrente. Proprio appena sopra la superficie dell’acqua, dove il nostro viso premeva sul fango umido della riva, l’aria era quasi abbastanza fresca da consentirci di respirarla.

Sentendo le bolle gonfiarsi sulla fronte, senza sapere ancora che le sopracciglia e ciocche di capelli erano bruciate, alzai la testa e scrutai dal bordo della riva.

La figura cromata era ritta al centro di un cerchio di tre metri di luce arancione che si estendeva fino al cielo e scompariva solo quando si restringeva a un infinitesimale puntino, centinaia di chilometri più in alto. L’aria tremolava e ribolliva, dove il raggio d’energia quasi solida tagliava l’atmosfera.

La donna metallica cercò di muoversi verso di noi, ma il raggio ad alta energia parve esercitare una pressione troppo forte. Tuttavia la donna si tenne in piedi; il campo cromato divenne rosso, poi verde, poi d’un bianco abbagliante. Ma lei continuò a stare dritta, ad agitare il pugno al cielo. Sotto i suoi piedi la lava bollì, divenne rossa, colò a valle in grandi rivoli fusi. Alcuni rivoli finirono nel fiume, a neppure dieci metri da noi, e con un forte sibilo sollevarono nubi di vapore. Ammetto che in quel momento, per la prima volta in vita mia, presi in seria considerazione l’idea di diventare religioso.

La sagoma cromata parve intuire il pericolo qualche secondo prima che fosse troppo tardi. Sparì, ricomparve come macchia confusa… pugno agitato contro il cielo… sparì di nuovo, comparve per l’ultima volta e poi affondò nella lava fusa dove un istante prima c’era solida roccia.

Il raggio rimase attivo ancora per un minuto buono. Non potevo più guardarlo direttamente e il calore mi spellava le guance. Premetti di nuovo il viso nel fango e tenni A. Bettik e la bambina contro la riva, mentre la corrente cercava di tirarci a valle nel vapore e nella lava e nel reticolato di monofili.

Guardai dal bordo un’ultima volta e vidi il pugno di cromo affondare nella lava; poi il campo parve per un attimo frazionarsi in colori, prima di estinguersi. La lava cominciò subito a solidificarsi. Nel tempo che impiegai a tirare sulla riva Aenea e A. Bettik e a ricominciare il massaggio cardiaco, dalla roccia quasi solida colava solo qualche rivolo o pseudopodo di lava. Schegge di roccia si staccarono e volteggiarono nell’aria surriscaldata, mescolandosi alle faville della foresta ancora in fiamme dietro di noi. Non c’era segno della donna cromata.

Il medipac funzionava ancora. Le spie luminose passarono dal rosso all’ambra, mentre mantenevamo il sangue in movimento e riportavamo la vita nel corpo di A. Bettik. La manica emostatica era ben stretta. Quando mi parve che A. Bettik potesse farcela da solo, guardai la bambina accoccolata di fronte a me. — E ora? — domandai.

Dietro di noi ci fu una fioca implosione d’aria: mi girai in tempo per veder ricomparire lo Shrike.

— Oh, Cristo — mormorai.

Aenea scuoteva la testa. Sulla fronte e sulle labbra aveva vesciche da ustioni. Ciuffi di capelli erano bruciati e la sua camicia era sporca e strappata. Per il resto, Aenea pareva in buone condizioni. — No — disse. — Tutto a posto.

Mi ero alzato e cercavo nella sacca la carabina al plasma. Inutile. Si era trovata troppo vicino al raggio d’energia: la guardia del grilletto era semifusa e gli elementi di plastica del calcio pieghevole si erano incollati alla canna. Era già un miracolo che le cartucce non fossero esplose riducendoci a vapore. Lasciai cadere la sacca e fronteggiai a pugni alzati lo Shrike. Passasse su di me, maledizione!

— Tutto a posto — ripeté Aenea, tirandomi indietro. — Non farà niente. È tutto a posto.

Ci sedemmo sui talloni accanto all’androide. A. Bettik mosse le ciglia. — Mi sono perso qualcosa? — bisbigliò con voce arrochita.

Non ridemmo. Aenea gli toccò la guancia e mi guardò. Lo Shrike rimase dov’era apparso: faville accese gli passavano davanti agli occhi ardenti e la fuliggine gli si depositava sul carapace.

A. Bettik chiuse gli occhi e le spie luminose ripresero a palpitare. — Dobbiamo trovargli un aiuto valido — mormorai a Aenea — altrimenti lo perderemo.

Aenea annuì. Pensai che m’avesse bisbigliato una risposta, ma non era la sua voce.

Alzai il braccio sinistro, senza badare ai brandelli di camicia e ai lividi rossastri. I peli erano bruciati fino all’ultimo.

Ascoltammo insieme. Il comlog parlava con la voce di un uomo che conoscevamo.

56

Il Padre Capitano de Soya rimane sorpreso, quando finalmente rispondono sulla banda comune. Pensava che l’antiquato comlog non fosse in grado di trasmettere sul raggio compatto che la nave tiene puntato su di loro. C’è perfino un display visivo… la confusa immagine olografica di due facce ustionate e sporche di fuliggine, librata sopra il monitor principale.

Il caporale Kee guarda de Soya. — Be’, che io sia dannato, Padre.

— Anch’io — dice de Soya. Si rivolge alle due facce in attesa. «Sono il Padre Capitano de Soya della Raffaele…»

«Mi ricordo di lei» dice la bambina. De Soya si rende conto che la nave trasmette immagini olografiche e che i due lo vedono… senza dubbio una faccia spettrale in miniatura sopra un solino da prete, il tutto librato sopra il comlog al polso dell’uomo.

«Anch’io mi ricordo di te» dice de Soya: è tutto ciò che riesce a pensare. La ricerca è stata lunga. Guarda gli occhi scuri e la pelle bianca sotto la fuliggine e le ustioni superficiali. C’è mancato davvero molto poco…

L’immagine di Raul Endymion parla: «Chi era quella? Cos’era?».

Il Padre Capitano de Soya scuote la testa. «Non lo so. Si chiamava Rhadamanth Nemes. Ci è stata assegnata solo qualche giorno fa. Ha dichiarato di far parte di una nuova Legione in addestramento…» Si ferma. Sono tutte informazioni coperte da segreto. E lui parla al nemico. Guarda il caporale Kee. Nel suo pallido sorriso vede la loro situazione. In ogni caso sono condannati. «Ha detto d’appartenere a una nuova legione di guerrieri della Pax» riprende «ma non credo che fosse vero. Non credo che fosse umana.»

«Amen» dice l’immagine di Raul Endymion. La faccia distoglie lo sguardo dal comlog per un minuto, poi ritorna. «Il nostro amico è in fin di vita, Padre Capitano de Soya. Può aiutarlo?»

Il prete-capitano scuote la testa. «Non possiamo raggiungervi. Quella creatura, Nemes, ha preso la nostra navetta e ha soppiantato il pilota automatico. Non possiamo neppure metterci in contatto con il radarfaro. Ma se riuscite a trovarla, ha un robochirurgo.»

149
{"b":"121395","o":1}