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— Su, vieni! — dice Nemes, avanzando contro lo Shrike. — Vieni! — Vuole distruggerlo (il sangue le è andato alla testa, come solevano dire un tempo gli uomini), ma è abbastanza calma da sapere che il suo compito è un altro. Deve solo distrarre lo Shrike, oppure renderlo inoffensivo al punto che le sia possibile decapitare la bambina. Allora lo Shrike non avrà più importanza, per sempre. Forse Nemes e quelli della sua razza lo terranno in uno zoo per dargli la caccia nei momenti di noia. — Su, vieni — lo provoca, muovendo un altro passo avanti.

Lo Shrike è ferito, tanto da uscire dal modo temporapido senza staccare i campi di dislocamento. Nemes potrebbe distruggerlo con facilità, ma c’è sempre il campo di dislocamento: se ora gira intorno al campo, lo Shrike può passare al modo temporapido mentre lei gli dà le spalle. Allora lo segue in tempolento, contenta di risparmiare energia.

— Cristo! — esclamai, alzando gli occhi ma continuando a proteggere Aenea. Lei guardava dal cavo del mio braccio.

Accadeva tutto nello stesso tempo. L’allarme del medipac di A. Bettik strideva, l’aria era calda come l’alito di una fornace, la foresta dietro di noi esplodeva in fiamme e rumori, schegge d’albero scagliate dal vapore iperriscaldato riempivano l’aria sopra di noi, il fiume lanciava un geyser di vapore e all’improvviso lo Shrike e la cromata figura umana facevano finte e vibravano colpi a meno di tre metri da noi.

Aenea non badò al massacro, strisciò fuori dal riparo del mio corpo, si mosse a tentoni sul terreno fangoso per raggiungere A. Bettik. Le andai dietro, guardando le confuse sagome cromate lanciarsi una contro l’altra e scontrarsi. Elettricità statica schizzava dai due contendenti e balzava contro le rocce e il terreno rovinato.

— Massaggio cardiaco! — gridò la bambina e cominciò a comprimere il torace di A. Bettik. Balzai sull’altro lato dell’androide e lessi le spie del medipac. A. Bettik non respirava. Il cuore si era fermato da mezzo minuto. Eccessiva perdita di sangue.

Qualcosa d’argenteo e affilato saettò verso la schiena di Aenea. Mi mossi per tirare a terra la bambina, ma, prima di poterla raggiungere, un’altra forma metallica intercettò la prima e nell’aria esplose il fragore di metallo contro metallo. — Lascialo a me! — gridai, spingendo da parte Aenea e cercando di tenerla dietro di me, mentre premevo sul torace di A. Bettik e cercavo il giusto ritmo delle compressioni. Le spie luminose del medipac mostravano che i nostri sforzi spingevano il sangue nel cervello dell’androide. I polmoni ricevevano ed emettevano aria, ma non senza il nostro aiuto. Continuai le pressioni, guardando da sopra la spalla le due figure muoversi rumorosamente, rotolare, entrare in collisione a velocità quasi supersonica. L’aria puzzava d’ozono. Faville della foresta in fiamme volavano intorno a noi e nubi di vapore sibilavano e si gonfiavano.

— L’anno… prossimo… — gridò Aenea per superare il frastuono, battendo i denti malgrado il sudore provocato dall’aria caldissima — andiamo… in vacanza… da un’altra parte.

La fissai, pensando che fosse impazzita. Aveva occhi stralunati, ma non del tutto pazzi. Era la mia diagnosi. Il medipac mandò lo stridio d’allarme e continuai le compressioni.

Dietro di noi ci fu un’improvvisa implosione, chiaramente percettibile sopra lo scoppiettio delle fiamme, il sibilo del vapore e il fragore di scontri metallici. Girai la testa per guardare da sopra la spalla, senza mai smettere il massaggio cardiaco sul torace di A. Bettik.

L’aria tremolò e una sola figura comparve nel punto dove due si erano scontrate. Poi la superficie metallica s’increspò e scomparve. La donna era lì. Non aveva un capello fuori posto e non mostrava segni di fatica.

— Allora, a che punto eravamo? — disse. Avanzò senza fretta.

In quegli ultimi secondi di battaglia non è stato facile piazzare la trappola sfinge. Nemes usa tutta l’energia per ribattere alle lame turbinanti dello Shrike. Le pare di combattere contro parecchie eliche rotanti tutte insieme. È già stata su pianeti con velivoli spinti da eliche. Due secoli prima, su uno di quei pianeti ha ucciso il Console dell’Egemonia.

Adesso controbatte braccia mulinanti, senza mai staccare lo sguardo dagli occhi ardenti. "Il tuo tempo è trascorso" pensa, rivolgendosi allo Shrike, mentre braccia e gambe, protette dal dislocamento, menano fendenti e controfendenti, come falci invisibili. Penetrando nel campo meno focalizzato dello Shrike, Nemes afferra una giuntura del braccio superiore e strappa via spine e lame. Quel braccio ricade, ma cinque bisturi della mano inferiore penetrano nell’addome di Nemes e cercano di sventrarla.

— No no — dice Nemes, con un calcio alla gamba destra dello Shrike, sbilanciandolo per un millesimo di secondo. — Non correre troppo.

Lo Shrike barcolla e in quell’attimo di vulnerabilità Nemes toglie dalla fascia che porta al polso la scheda sfinge; sfruttando una breccia di cinque nanosecondi nel proprio campo di dislocamento, posiziona la scheda esattamente nel palmo della propria mano e la sbatte in una punta che sporge dal collo dello Shrike.

— Ecco fatto — grida, balzando indietro. Passa in temporapido per controbattere il tentativo dello Shrike di staccare la scheda e l’attiva pensando a un cerchio rosso.

Si allontana ancora, mentre il campo iperentropico si manifesta con un ronzio e scaglia lo Shrike cinque minuti nel futuro. Lo Shrike non può tornare, mentre quel campo continua a esistere.

Rhadamanth Nemes torna in tempolento e spegne il campo. La brezza, per quanto surriscaldata e piena di faville, le dà un piacevole senso di freschezza. — Allora — dice Nemes, godendosi l’espressione nelle due paia d’occhi umani — a che punto eravamo?

— Lo faccia! — grida il caporale Kee.

— Non posso — dice de Soya, ai comandi. Tiene il dito sull’onni-presa tattica. — Acqua a terra. Esplosione di vapore. Li ucciderebbe tutti. — I quadri di comando della Raffaele mostrano ogni erg di energia deviata, ma non serve a niente.

Kee abbassa il microfono a perla, commuta l’interruttore su tutti i canali e comincia a trasmettere su raggio compatto, assicurandosi che il reticolo inquadri l’uomo e la bambina, non la donna che avanza.

— Non servirà a niente — dice de Soya. In tutta la sua vita non si è mai sentito così frustrato.

— Rocce — grida intanto Kee nel microfono. — Rocce!

Mi ero alzato, spingevo Aenea tenendola dietro di me e rimpiangevo di non avere la pistola, la torcia laser, qualsiasi cosa, mentre la donna si avvicinava. La carabina al plasma era sempre nella sacca impermeabile sulla riva a soli due metri da me. Dovevo solo fare un balzo, aprire la sacca, togliere la sicura, aprire il calcio ripiegato, puntare e sparare. Non credevo che quella donna sorridente me ne avrebbe lasciato il tempo. E non credevo neppure che Aenea sarebbe stata ancora viva, quando mi fossi girato a sparare.

In quel momento lo stupido braccialetto comlog si mise a vibrare e il rivestimento interno mi sfregò la pelle come quelle antiquate sveglie da polso non sonore. Non ci badai. Il comlog cominciò a farmi formicolare il polso. Portai all’orecchio lo stupido marchingegno. Il comlog bisbigliò: «Vai sulle rocce. Prendi la bambina e vai sulle lastre di lava».

Non aveva senso. Guardai A. Bettik (sotto i miei occhi le spie luminose già passavano dal verde all’ambra) e iniziai ad arretrare, inciampando ma tenendomi fra quella donna sorridente e Aenea.

— Via, via — disse la donna. — Non è simpatico. Aenea, se vieni qui, il tuo amico avrà salva la vita. Anche il tuo pseudouomo azzurro si salverà, se il tuo amico riuscirà a tenerlo in vita.

Abbassai rapidamente gli occhi per guardare il viso di Aenea: avevo paura che la bambina accettasse l’offerta. Lei mi si appese al braccio. Negli occhi aveva un’intensità terribile, ma non era impaurita. — Andrà tutto bene, ragazzina — le mormorai, continuando a spostarmi sulla sinistra. Dietro di noi c’era il fiume. Cinque metri a sinistra iniziavano le rocce di lava.

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