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P.C. DE SOYA: Non sapevo dove la bambina si fosse teleportata da Vettore Rinascimento. La logica suggeriva che la nave fosse stata abbandonata da qualche parte e che la bambina e i suoi compagni avessero proseguito con altri mezzi lungo il fiume Teti… con il tappeto hawking, forse, o più verosimilmente con una barca o una zattera. Alcune prove raccolte durante le indagini sulla fuga della bambina, prima e durante il passaggio da Mare Infinitum, suggerivano un collegamento con gli Ouster.

INQUISITORE: Il Padre Capitano si spieghi.

P.C. DE SOYA: Primo, la nave spaziale: era un progetto dell’Egemonia, una nave interstellare privata, per quanto possa sembrare incredibile. Nella storia dell’Egemonia, ne furono distribuite solo alcune. Quella più somigliante alla nave da noi incontrata, fu donata a un certo Console dell’Egemonia alcuni decenni prima della Caduta. Quel Console fu più tardi immortalato in un poema epico, i Canti, composto dall’ex pellegrino su Hyperion, Martin Sileno. Nei Canti il Console racconta d’avere tradito l’Egemonia facendo spionaggio in favore degli Ouster.

INQUISITORE: Il Padre Capitano continui.

P.C. DE SOYA: C’erano altri collegamenti. Il sergente Gregorius fu inviato sul pianeta Hyperion per stabilire con prove certe di medicina legale l’identità dell’uomo che si riteneva viaggiasse con la bambina. Si tratta di un certo Raul Endymion, nativo di Hyperion ed ex militare della locale Guardia Nazionale. Il nome Endymion può essere collegato alle opere del… padre… della bambina, l’abominio cìbrido Keats. Un altro ritorno ai Canti.

INQUISITORE: Il Padre Capitano continui.

P.C. DE SOYA: Be’, c’era un altro collegamento. L’apparecchiatura volante catturata dopo la fuga e la presunta uccisione di Raul Endymion su Mare Infinitum…

INQUISITORE: Perché il Padre Capitano parla di "presunta uccisione"? Le dichiarazioni di tutti i testimoni oculari presenti sulla piattaforma concordano nel dire che l’indiziato fu colpito e cadde in mare.

P.C. DE SOYA: Poco prima il tenente Belius era caduto nell’oceano, tuttavia tracce del suo sangue e frammenti dei suoi tessuti organici furono trovati sul tappeto hawking. Sullo stesso tappeto fu trovata solo una piccola parte di sangue con l’impronta DNA di Raul Endymion. Secondo la mia teoria, Endymion cercò di portare in salvo il tenente Belius o in qualche modo fu da lui sorpreso; i due lottarono sul tappeto; l’indiziato, Raul Endymion, fu ferito e cadde dal tappeto prima che le guardie sparassero. Ritengo che il tenente Belius sia colui che è morto sotto i colpi dei fucili a fléchettes.

INQUISITORE: Il Padre Capitano ha altre prove, a parte il sangue e i frammenti di tessuto organico, che con altrettanta facilità potrebbero attestare il fatto che durante la fuga Raul Endymion si sia attardato quanto bastava ad assassinare il tenente Belius?

P.C. DE SOYA: No.

INQUISITORE: Il Padre Capitano continui.

P.C. DE SOYA: L’altro motivo per cui sospettavo un collegamento con gli Ouster è proprio il tappeto hawking. Gli studi dei medici legali hanno mostrato che è molto antico… forse tanto antico da essere il leggendario tappeto adoperato dal marinaio Merin Aspic e da Siri sul pianeta Patto-Maui. Ancora una volta c’è un legame con il pellegrinaggio su Hyperion e con le storie narrate nei Canti di Martin Sileno.

INQU1SITORE: Il Padre Capitano continui.

P.C. DE SOYA: Non c’è altro. Pensai che potevamo andare su Hebron senza incontrare uno Sciame Ouster. Spesso gli Ouster abbandonano i sistemi conquistati. Ovviamente stavolta il mio presentimento si rivelò errato. Costò la vita al lanciere Rettig. Ne sono profondamente e sinceramente dispiaciuto.

INQUISITORE: Perciò il Padre Capitano ritiene coronata da successo l’indagine eseguita con simili spese e imbarazzo per il vescovo Melandriano, dal momento che vari particolari parevano collegarsi ai Canti che a loro volta avevano un tenue collegamento con gli Ouster?

P.C. DE SOYA: Essenzialmente… sì.

INQUISITORE: Il Padre Capitano è al corrente che i Canti sono compresi nell’Indice dei Libri Proibiti e che vi si trovano da più di un secolo e mezzo?

P.C. DE SOYA: Sì.

INQUISITORE: Il Padre Capitano ammette d’avere letto il libro?

P.C. DE SOYA: Sì.

INQUISITORE: Rammenta, il Padre Capitano, la punizione nell’ambito della Società di Gesù per l’intenzionale violazione dell’Indice dei Libri Proibiti?

P.C. DE SOYA: Sì. L’espulsione dalla Società.

INQUISITORE: E rammenta, il Padre Capitano, la massima punizione prevista dal Canone Ecclesiastico di Pace e Giustizia per coloro che, nel Corpo di Cristo, violano deliberatamente le restrizioni dell’Indice dei Libri Proibiti?

P.C. DE SOYA: La scomunica.

INQUISITORE: Il Padre Capitano può tornare nei suoi quartieri presso il Rettorato Vaticano dei Legionari di Cristo e vi si trattenga finché non sarà richiamato per ulteriori testimonianze davanti a questa commissione o non sarà altrimenti disposto. Così noi abiuriamo, giuriamo, promettiamo e leghiamo il nostro Fratello in Cristo; attraverso il potere della Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana, così ti forziamo; parliamo nel nome di Cristo.

P.C. DE SOYA: Grazie, eminentissimi e reverendi cardinali inquisitori. Aspetterò la vostra parola.

40

Per tre settimane restammo con i Chitchatuk, sul mondo ghiacciato di Sol Draconis Septem, e in quel tempo riposammo, ci riprendemmo, girammo con loro nei tunnel di ghiaccio dell’atmosfera ghiacciata, imparammo qualche parola e qualche frase della loro difficile lingua, andammo a trovare padre Glauco nella città sepolta, ci avvicinammo furtivamente agli spettri artici e fummo da loro furtivamente avvicinati, e facemmo quel terribile viaggio a valle del fiume.

Ma corro troppo. È facile correre, nel racconto, soprattutto per la crescente probabilità d’inalare cianuro al prossimo respiro. Ma basta: questa storia finirà quando finirò io, non prima, e importa poco se finirà a questo punto o alla conclusione o a metà strada. La racconterò come se mi fosse concesso di raccontarla tutta.

Il nostro primo incontro con i Chitchatuk rischiò di concludersi in tragedia per noi e per loro. Avevamo smorzato le torce e ce ne stavamo acquattati nel buio del tunnel di ghiaccio, carabina al plasma carica e pronta, quando la più fioca delle luci comparve dalla curva seguente e grosse sagome non umane girarono l’angolo. Accesi la torcia e il suo raggio illuminò una scena spaventosa: tre o quattro grossi animali… pelliccia bianca, artigli neri lunghi come la mia mano, bianche zanne ancora più lunghe, occhi lucenti e rossastri. Quelle creature si muovevano nella nebbiolina provocata dal loro stesso respiro. Portai alla spalla la carabina e spostai su fuoco rapido il selettore.

— Non sparare! — gridò Aenea, afferrandomi il braccio. — Sono esseri umani!

Il grido bloccò la mano non solo a me, ma anche ai Chitchatuk. Lunghe lance d’osso erano comparse dalle pieghe delle bianche pellicce e le nostre torce illuminavano punte acuminate e braccia alzate nel gesto di scagliare la lancia. Ma il grido di Aenea parve bloccare tutti, un attimo prima dell’esplosione di violenza.

Allora vidi le pallide facce sotto le visiere di zanne di spettro artico: facce larghe, dal naso tozzo, pallide al punto da parere albine, ma fin troppo umane, come umani erano i lucenti occhi scuri che ci guardavano. Abbassai la torcia in modo che la luce non desse fastidio.

I Chitchatuk erano grossi e muscolosi, ben adattati all’estenuante gravità di Sol Draconis Septem, e parevano ancora più massicci, avviluppati in quel modo nelle pellicce di spettro artico. Presto avremmo scoperto che ciascuno di loro indossava la metà anteriore della pelle di uno spettro artico, testa compresa, per cui i neri artigli penzolavano sotto le mani e le zanne ricoprivano il viso come una saracinesca di sbarre affilate. Scoprimmo pure che i cristallini oculari degli spettri artici, anche senza i complessi nervi che consentivano a quei mostri di vedere nell’oscurità quasi totale, funzionavano ancora come semplici occhiali a visore notturno. Tutto ciò che i Chitchatuk indossavano e portavano con sé proveniva dagli spettri artici: lance d’osso, corde di cuoio grezzo ricavato dagli intestini e dai tendini, coperte e giacigli, perfino i due soli manufatti che possedevano… un braciere di forma conica, appeso a corregge, contenente le braci che illuminavano loro la via, e un affare più complicato, d’osso, composto di ciotola e d’imbuto, che serviva per sciogliere sul braciere il ghiaccio e ricavarne acqua. Solo più tardi scoprimmo che i Chitchatuk, già di notevole stazza, parevano ancora più grossi e gibbosi a causa degli otri che portavano sotto la pelliccia, sfruttando il calore corporeo per mantenere liquida l’acqua.

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