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«No, signorina Aenea. Gli Ouster hanno eseguito su di me alcune affascinanti imprese d’ingegneria piezodinamica, ma bisogna sempre fare i conti con la legge di conservazione della massa. » Un secondo di pausa. «Mi spiace, signorina Aenea.»

— Solo un’idea sciocca — disse Aenea; si drizzò a sedere. Fu chiaro che qualcosa le era balenato in mente, tanto che per due minuti né A. Bettik né io osammo interrompere il corso dei suoi pensieri. Alla fine Aenea disse: — Nave?

«Sì, signorina Aenea?»

— Sei in grado di metamorfosare un portello a tenuta stagna… o una semplice apertura… in qualsiasi punto dello scafo?

«Quasi ovunque, signorina Aenea. Ci sono alcuni scomparti mobili di trasmissione e alcune zone correlate ai motori dove non potrei…»

— Ma nei ponti di soggiorno? — la interruppe Aenea. — Potresti aprirli così come rendi trasparente la parte superiore dello scafo?

«Sì, signorina Aenea.»

— In questo caso, l’aria uscirebbe?

La nave mostrò nel tono un certo turbamento. «Non permetterei mai che accadesse, signorina Aenea. Come per la loggia col pianoforte, manterrei l’integrità di tutti i campi esterni in modo da…»

— Ma potresti aprire e depressurizzare ogni ponte, non solo la camera stagna? — La perseveranza della bambina mi era nuova, a quel tempo. Ora mi è ben nota.

«Sì, signorina Aenea.»

A. Bettik e io ascoltammo senza fare commenti. Non so l’androide, ma io non avevo la minima idea di dove Aenea volesse andare a parare. Mi sporsi verso di lei. — Fa parte di un piano?

Aenea sorrise di storto. Era quello che più avanti avrei definito il suo sorriso malizioso. — Troppo primitivo per essere un piano — disse. — E se i miei sospetti sul motivo per cui la Pax vuole catturarmi sono errati… be’, allora non funzionerà. — Il sorriso malizioso prese una piega ironica. — Probabilmente non funzionerà comunque.

Guardai il cronometro. — Abbiamo quarantacinque minuti prima di emergere e di scoprire se ci aspettano — dissi. — Hai voglia di metterci a parte del tuo piano che non funzionerà?

Aenea cominciò a spiegare. Non parlò a lungo. Al termine, l’androide e io ci guardammo.

— Hai ragione — dissi a Aenea. — Non è un gran piano e non funzionerà.

Aenea continuò a sorridere. Mi prese la mano e mi girò il polso in modo da guardare il quadrante del cronometro. — Abbiamo quarantun minuti — disse. — Trova un piano migliore.

24

La Raffaele si trova nel tratto conclusivo dell’ellissoide di ritorno e corre all’interno del sistema verso il sole di Parvati a velocità pari al tre percento di quella della luce. La nave corriere/guerra classe Arcangelo è sgraziata: massicci scomparti motore, capsule di trasmissione ammucchiate come montagnole di ciottoli, braccia spin, sporgenze occupate da piattaforme per le armi e per schiere d’antenne, la minuscola sfera ambientale con annessa navetta rimboccata in quella confusione come per ripensamento; ma diventa ora una temibile nave da guerra, mentre ruota di 180 gradi in modo da correre a capofitto verso il previsto punto di traslazione della nave fuggiasca.

«Un minuto alla comparsa» dice de Soya sulla banda tattica. I tre soldati nella camera stagna non hanno bisogno di dare conferma. Sanno inoltre che per loro l’altra nave, appena comparirà nello spazio reale, non sarà visibile, neppure con gli ingranditori del casco, per altri due minuti.

Il Padre Capitano de Soya, legato nella cuccetta d’accelerazione, circondato dai pannelli operativi, mano guantata sull’onnicomando, collegato allo shunt tattico in modo da essere realmente un tutt’uno con la nave, ascolta sul canale di trasmissione il respiro dei tre soldati e intanto osserva e percepisce l’altra nave che si avvicina. «Lettura distorsione motore Hawking, angolo tre-nove, coordinate zero-zero-zero, tre-nove, uno-nove-nove» dice nel microfono. «Punto d’uscita a zero-zero-zero, novecento chilometri. Probabilità vascello singolo, novantanove percento. Velocità relativa, diciannove chilometri all’ora.»

Di colpo l’altra nave compare su radar, t-dirac e tutti i sensori passivi. «Eccola» dice il Padre Capitano de Soya ai soldati in attesa. «Puntuale, secondo programma… Maledizione.»

«Che c’è?» dice il sergente Gregorius. Con i suoi uomini ha controllato le armi, le cariche, i collari d’abbordaggio. I tre sono pronti a balzare in meno di tre minuti.

«La nave sta accelerando, non decelerando come abbiamo ipotizzato in quasi tutte le simulazioni» dice de Soya. Sul canale tattico consente alla nave di eseguire alternative preprogrammate. «Reggetevi!» dice ai soldati, ma i propulsori si sono già accesi, la Raffaele già ruota. «Niente di male» dice de Soya, mentre il motore principale accelera e li spinge a 147 g. «Restate nel campo, durante il balzo. Occorrerà solo un minuto extra per pareggiare le velocità.»

Gregorius, Kee e Rettig non rispondono. De Soya sente il loro respiro.

Dopo due minuti, de Soya dice: «È nel campo visivo».

Il sergente Gregorius e i due soldati si sporgono dalla camera stagna. Gregorius vede l’altra nave come una palla di fuoco di fusione. Aziona le lenti d’ingrandimento per vedere al di là della palla di fuoco, alza i filtri e scorge la nave. «Molto simile alle simulazioni tattiche» dice Kee.

«Non confonderti» lo redarguisce il sergente. «La realtà non è mai come le simulazioni.» Sa che gli altri due se ne rendono conto; sono già stati in combattimento. Ma il sergente Gregorius è stato per tre anni istruttore nel Comando della Pax su Armaghast e le abitudini sono dure da dimenticare.

«Quella roba è davvero veloce!» dice de Soya. «Se non avessimo già la spinta, non penso che la raggiungeremmo. All’atto pratico riusciremo solo a pareggiare le velocità per cinque o sei minuti.»

«Ce ne bastano tre» dice Gregorius. «Pensi solo ad affiancarla, Capitano.»

«La sto affiancando» dice de Soya. «Ci ha rilevati.» La Raffaele non è stata progettata per l’invisibilità operativa e ora tutti gli strumenti registrano d’essere sottoposti ai sensori dell’altra nave. «Mille metri» comunica de Soya. «Ancora niente armi. Campi al massimo. Delta-v in riduzione. Ottocento metri.»

Gregorius, Kee e Rettig sganciano le carabine al plasma e si acquattano.

«Trecento metri… duecento metri…» dice de Soya. L’altra nave non reagisce, la sua accelerazione è alta ma costante. In molte simulazioni de Soya ha previsto un tempestoso inseguimento, prima di pareggiare le velocità e distruggere i campi difensivi dell’altra nave. Così è troppo facile. Per la prima volta il Padre Capitano prova una punta di preoccupazione. «Entro portata minima delle lance» dice. «Via!»

Le tre Guardie Svizzere scattano dalla camera stagna, sputando fiamme azzurre dai propulsori personali.

«Disgregazione… ora!» esclama de Soya. Per un’eternità, quasi tre secondi, un tempo mai simulato nelle prove tattiche, i campi dell’altra nave si rifiutano di cadere, ma alla fine si spengono. «Campi annullati!» comunica de Soya, ma i soldati già lo sanno… ruzzolano, decelerando, e precipitano contro lo scafo nemico, verso il previsto punto d’ingresso, Kee nei pressi della prua, Gregorius in quello che secondo i vecchi disegni è il ponte di navigazione, Rettig sopra la sala motori.

«Sopra» dice Gregorius. Un secondo più tardi, gli altri confermano di essere sullo scafo.

«Collari d’abbordaggio fissati» ansima il sergente.

«Fissati» conferma Kee.

«Fissati» dice Rettig.

«Apertura fra tre» ordina il sergente. «Tre, due, uno… apertura.»

La sua sacca di polimero sboccia alla luce del sole.

Nella cuccetta di comando de Soya tiene d’occhio il delta-v. L’accelerazione ha superato i 230 g. Se il campo cedesse ora… De Soya scaccia quel pensiero. La Raffaele si sforza al massimo per pareggiare la velocità dell’altra nave. Ancora quattro o cinque minuti e lui sarà costretto a restare indietro oppure a caricare troppo tutti i motori a fusione. "Sbrigatevi" pensa, rivolgendosi alle sagome in tuta da combattimento che vede nello spazio tattico e sugli schermi video.

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