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Tesa la trappola di monofilo, Nemes si sposta a monte lungo l’unica piattaforma di terra, apre la boccetta di pillole e sparge sul terreno e fra gli alberi diverse centinaia di micromine claymore. Le micromine rivestite di polimero camaleonte assumono immediatamente il colore e la consistenza della superficie dove sono cadute. Ogni claymore, prima di esplodere, balzerà verso il bersaglio che sopraggiunge di passo o in corsa e lo scoppio è sagomato per scavare l’interno della vittima. Per far scattare le claymore basta la vicinanza di un battito cardiaco, l’esalazione d’anidride carbonica e di calore corporeo, la pressione di un piede nel raggio di dieci metri.

Nemes valuta il terreno. Quella zona piatta è l’unica parte di riva nei pressi delle rapide dove una persona a piedi può ritirarsi; con le micromine claymore disseminate sul terreno, nessuna creatura priva d’ali potrebbe sopravvivere. Nemes torna al campo di massi e con un impulso in codice attiva i sensori delle micromine.

Per impedire a qualcuno di risalire a nuoto il fiume, Nemes apre la scatola di tamponi e semina sul letto del fiume uova di forficula auricolaria incapsulate in ceramica. Le uova hanno l’identico aspetto dei ciottoli levigati dall’acqua presenti sul fondo. Quando un essere vivente passa su di esse, si attivano automaticamente. Se qualcuno poi tenta di risalire il fiume, le forficule, delle dimensioni di un moscerino, spaccheranno l’uovo di ceramica e ronzeranno nell’acqua o nell’aria per spingersi nel cranio del bersaglio, esplodendo in una massa di rigidi filamenti solo dopo il contatto con il tessuto cerebrale.

Il "computer" è l’oggetto tecnologicamente più avanzato che Nemes ha portato con sé in quella partita di caccia. Chiamata "trappola sfinge" dalle entità che l’hanno creata apposta per lei (con riferimento alla Tomba Sfinge su Hyperion, progettata dalla stessa fazione di IA) la scheda è in grado di creare in un raggio di cinque metri la propria bolla di maree antientropiche o iperentropiche. L’energia necessaria per creare questa bolla basterebbe a rifornire per decenni un affollato pianeta come Vettore Rinascimento, ma Nemes ha bisogno di soli tre minuti di spiazzamento temporale. Sfiorando la scheda, pensa che sarebbe stato più giusto chiamarla "trappola Shrike".

Lancia un’occhiata a monte. Ora qualsiasi momento è buono. Anche se il portale dista quindici chilometri, Nemes riceverà un avvertimento: è sensibile alla distorsione teleporter. S’aspetta che lo Shrike sia con Aenea e gli altri e prevede d’essere trattata come una nemica. In realtà resterebbe delusa, se lo Shrike non si presentasse e non l’affrontasse.

Rhadamanth Nemes sfiora l’ultimo oggetto che porta nella cintura. La sacca per campioni è solo ciò che sembra: una sacca per campioni prelevati durante l’attività extraveicolare, con chiusura sotto vuoto. Le servirà per portare sulla Raffaele la testa della bambina, che conserverà in uno scomparto segreto dietro il pannello d’accesso al motore a fusione. I suoi padroni vogliono una prova tangibile.

Con un lieve sorriso Nemes si distende sulla lava nera, cambia posizione in modo che il sole del pomeriggio le scaldi il viso, si copre col polso gli occhi e si concede un breve pisolino. Tutto è pronto.

52

Quando, poco prima dell’alba di quell’ultimo, fatidico giorno, arrivammo al lungofiume di Mashhad su Qom-Riyadh, m’aspettavo, lo ammetto, che lo Shrike fosse scomparso. Non era scomparso.

Ci fermammo tutti di colpo, alla vista di quella scultura di cromo e di lame, alta tre metri, sulla nostra piccola zattera. La creatura era ferma nella stessa posizione in cui l’avevo vista la notte precedente. Allora ero arretrato con prudenza, carabina alzata; ora avanzai di un passo, con prudenza, carabina alzata.

— Calma, calma — mi ammonì Aenea, posandomi sul braccio la mano.

— Che diavolo vuole? — dissi, togliendo la sicura. Infilai nella camera di scoppio la prima cartuccia al plasma.

— Non lo so — rispose Aenea. — Ma la tua arma non gli farebbe niente.

Mi umettai le labbra e guardai la bambina. Volevo dirle che una scarica di plasma avrebbe distrutto qualsiasi cosa che non fosse avvolta in venti centimetri d’armatura antiurto dell’epoca della Rete. Aenea mi pareva pallida e tirata. Aveva borse scure sotto gli occhi. Mi trattenni.

— Be’ — dissi infine, abbassando un poco la carabina — non possiamo salire a bordo, finché sulla zattera c’è quella creatura.

Aenea mi diede una stretta al braccio. — Dobbiamo salirvi — disse. Si avviò alla banchina di cemento.

Guardai A. Bettik, che pareva entusiasta quanto me all’idea; poi allungammo il passo per raggiungere Aenea.

Da vicino lo Shrike era perfino più terrificante. Prima ho usato la parola "scultura" e c’era infatti in quell’essere qualcosa delle sculture… se si riesce a immaginare una statua di punte cromate, di affilati rasoi, di lame, di spine, con un liscio carapace metallico. Era enorme, alto un metro più di me… e non sono certo basso. L’effettiva forma della creatura era complessa: solide gambe con giunture rivestite di bande borchiate di spine; piedi piatti con lame ricurve dove dovrebbero esserci le dita e una lunga lama a forma di cucchiaio sul tallone, che poteva essere un utensile perfetto per sventrare; un intricato carapace superiore di lucido cromo cosparso di rasoi; braccia troppo lunghe, dotate di troppe giunture e troppo numerose (ne aveva un paio supplementare, sotto il primo, più lungo) e quattro enormi mani munite di lame, al momento tenute penzoloni lungo i fianchi.

Il cranio era per la maggior parte liscio e bizzarramente allungato, con una mascella come pala di bulldozer munita di file e file di denti metallici. Sulla fronte c’era una lama ricurva e un’altra lama era sulla sommità del cranio corazzato. Gli occhi erano grandi, infossati, di un rosso spento.

— Vuoi salire sulla zattera con quella… cosa? — bisbigliai a Aenea, mentre eravamo a quattro metri di distanza, sulla banchina. Lo Shrike non aveva girato la testa al nostro avvicinarci e i suoi occhi parevano privi di vita come catarifrangenti, ma l’impulso di indietreggiare, girare le spalle a quella creatura e darmela a gambe era fortissimo.

— Dobbiamo salire sulla zattera — mi bisbigliò di rimando Aenea. — Dobbiamo andare via di qui oggi stesso. Oggi è l’ultimo giorno.

Senza staccare in pratica gli occhi dal mostro, lanciai un’occhiata al cielo e agli edifici alle nostre spalle. Dopo la tempesta notturna, ci si sarebbe aspettato che il cielo fosse più rosa per la maggiore quantità di sabbia in sospensione; pareva invece che la tempesta avesse schiarito un poco l’aria. Mentre nubi rossastre ancora si muovevano nell’ultima brezza del deserto, il cielo era più azzurro del giorno precedente. I raggi del sole già sfioravano la cima degli edifici più alti.

— Forse possiamo trovare un VEM funzionante e viaggiare come si deve — bisbigliai, tenendo sempre alzata la carabina. — Un veicolo senza un simile fregio sul cofano. — La battuta parve fiacca perfino a me, ma per farla mi occorse quasi tutto il coraggio di cui disponevo quel mattino.

— Andiamo — bisbigliò Aenea e scese la scaletta di ferro che dalla banchina portava alla malconcia zattera. Mi affrettai a raggiungerla, tenendo con una mano la carabina puntata su quell’incubo cromato e reggendomi con l’altra alla vecchia scaletta. A. Bettik ci seguì senza una parola.

Non avevo notato quanto sembrasse malconcia e fragile la zattera. I tronchi erano scheggiati in vari punti, l’acqua saliva sulla parte anteriore e lambiva gli enormi piedi dello Shrike, la tenda era piena di sabbia rossa a causa della tempesta notturna. Il timone, ricavato unendo due pezzi, pareva sul punto di rompersi da un istante all’altro e il bagaglio rimasto a bordo pareva abbandonato. Lasciammo cadere nella tenda gli zaini e restammo indecisi, guardando la schiena dello Shrike e aspettando un movimento… come tre topolini finiti sul tappeto del gatto addormentato.

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