Provai di nuovo, riuscii a mettere sulla riva la parte superiore del corpo e mi tirai fuori del fiume. Battevo i denti, mentre dicevo a Aenea: — Dov’è… la… pistola?
La bambina scosse la testa. Batteva anche lei i denti. — Perduta… quando noi… lo Shrike, è spuntato…
Avevo appena la forza per annuire. Il fiume era deserto. — Forse se n’è andato — dissi, serrando le mascelle fra una parola e l’altra. Dov’era la termocoperta? Spazzata a valle, nello zaino. Avevamo perduto tutto ciò che non era nella sacca impermeabile.
Alzai la testa e guardai a valle. L’ultima luce del giorno illuminava la cima degli alberi, ma il canyon era già buio. Una donna scendeva dalle lastre di lava, verso di noi.
Alzai la torcia laser e spostai la leva sul raggio compatto.
— Non useresti su di me quell’affare, vero? — disse la donna, in tono divertito.
Aenea staccò lo sguardo dal monitor diagnostico del medipac e fissò la nuova venuta. La donna indossava un’uniforme nera e cremisi che non avevo mai visto. Non era di corporatura notevole. Aveva capelli corti e scuri; il suo viso era pallido nella luce che ormai svaniva. La sua mano destra, fin sopra il polso, era uno spettacolo assurdo: pareva che qualcuno l’avesse scorticata e vi avesse incastonato ossa in fibra di carbonio.
Aenea cominciò a tremare, non per paura, ma per un’emozione più intensa. Strinse gli occhi e fece una smorfia che avrei definito una via di mezzo tra ferina e intrepida. Strinse il pugno.
La donna rise. — M’aspettavo qualcosa di più interessante — disse. Saltò giù dalla roccia, sull’erba.
55
La giornata è stata lunga e noiosa: Nemes ha riposato per qualche ora e si è svegliata appena ha percepito il dislocamento dovuto all’attivazione del teleporter situato quindici chilometri a monte. Si è spostata più in alto sulle rocce laviche, si è nascosta dietro un tronco caduto e ha atteso l’atto seguente.
L’atto seguente, ha pensato poi, è stato una farsa. Ha osservato il trambusto nel fiume, il goffo salvataggio dell’uomo artificiale (dell’uomo artificiale meno un braccio artificiale, si è corretta) e poi, con un certo interesse, la bizzarra comparsa dello Shrike. Ovviamente sapeva già che lo Shrike era nelle vicinanze, dal momento che le vibrazioni di dislocamento del suo passaggio nel continuum non erano molto diverse da quelle dovute all’apertura del portale. Addirittura è passata al modo temporapido per guardare lo Shrike entrare a guado nel fiume e fare da spauracchio agli umani. Era rimasta perplessa: cosa faceva, quella creatura obsoleta? Teneva gli umani alla larga dalla trappola di forficule, oppure li spingeva verso di lei come un bravo cane da pastore? Nemes sapeva già che la risposta dipendeva dalla fazione che in primo luogo aveva inviato in missione quella mostruosità tutta lame.
Non è che avesse grande importanza. Nel Nucleo si pensava che lo Shrike fosse stato creato e mandato indietro nel tempo da una precoce iterazione dell’Intelligenza Finale. Si sapeva che lo Shrike aveva fallito e che sarebbe stato sconfitto di nuovo nelle lotte del remoto futuro tra l’IF umana appena nata e il Dio Macchina in maturazione. Quale che fosse il caso, lo Shrike era un fallimento e una nota in calce a quel viaggio. Nemes non aveva altro interesse in quella creatura se non la speranza, ormai labile, che le fornisse un attimo d’animazione come avversario.
Ora, guardando gli esausti esseri umani e il comatoso androide giacere scompostamente sull’erba, Nemes si stufa di restare passiva. S’infila saldamente nella cintura la sacca per campioni, nasconde nella fascetta velcro che porta al polso la scheda della trappola sfinge, scende dalle rocce di lava e avanza sulla sporgenza erbosa.
Il giovanotto, Raul, ha piegato il ginocchio e regola un laser a bassa energia. Nemes non può fare a meno di sorridere. — Non useresti su di me quell’affare, vero? — dice.
Il giovanotto non risponde. Solleva il laser. Potrebbe adoperarlo su di lei, senza dubbio nel tentativo di accecarla, pensa Nemes; in questo caso, decide, muterà fase e glielo caccerà in gola e giù fino negli intestini… senza spegnere il raggio.
Aenea la guarda per la prima volta. Nemes capisce per quale motivo il Nucleo sia nervoso per il potenziale della bambina… elementi d’accesso del Vuoto Legante tremolano intorno a Aenea come elettricità statica… ma capisce pure che la bambina è lontana anni luce dall’usare il proprio potenziale in quell’area. Tutto quello Sturm und Drang e tutta quella galoppante urgenza sono stati sprecati. La bambina umana non è soltanto immatura nei propri poteri, è anche all’oscuro del loro vero significato.
Nemes si rende conto d’avere avuto una leggera preoccupazione che la bambina in sé potesse porle un problema nei secondi finali, attingendo in qualche modo a un’interfaccia del Vuoto Legante e creandole difficoltà. Capisce d’essersi sbagliata a preoccuparsi. Per quanto possa parere strano, rimane delusa. — M’aspettavo qualcosa di più interessante — dice e si avvicina di qualche passo.
— Cosa vuoi? — domanda il giovane Raul, alzandosi a fatica. Nemes vede che il giovanotto è esausto per lo sforzo di tirare all’asciutto i suoi due amici.
— Da te non voglio niente — risponde con disinvoltura. — E neppure dal tuo moribondo amico dalla pelle azzurra. Da Aenea voglio solo alcuni secondi di conversazione. — Indica con un cenno i vicini alberi, fra i quali ha seminato le micromine claymore. — Perché non porti fra gli alberi il tuo golem e non aspetti che la bambina ti raggiunga? Scambierò con lei qualche parola in privato, poi sarà tua. — Si avvicina di un altro passo.
— Sta’ indietro — dice Raul. Punta la piccola torcia laser.
Nemes alza le mani, come spaventata. — Ehi, socio, non sparare — dice. Non sarebbe preoccupata nemmeno se quel laser fosse di un amperaggio diecimila volte superiore.
— E tu sta’ indietro — dice Raul. Tiene il pollice sul pulsante. Il laser giocattolo è puntato contro gli occhi della donna.
— Va bene, va bene — dice Nemes. Arretra d’un passo. E muta fase, diviene una luccicante figura di cromo, solo approssimativamente umana.
— Raul! — grida Aenea.
Nemes si è stufata. Passa al modo temporapido. Davanti a lei il quadro si congela. Aenea ha la bocca aperta, parla ancora, ma le vibrazioni non muovono l’aria. Il fiume rapinoso è impietrito, come in una fotografia a velocità di scatto assurdamente elevata. Goccioline di spruzzaglia sono sospese a mezz’aria. Un’altra goccia d’acqua è sospesa un millimetro sotto il mento gocciolante di Raul.
Nemes avanza e toglie di mano a Raul la torcia laser. Ha la tentazione di seguire subito il precedente impulso e poi passare al modo tempolento per osservare la reazione dei tre, ma con la coda dell’occhio vede Aenea… la manina ancora stretta a pugno… e si rende conto d’avere del lavoro da fare, prima di divertirsi.
Lascia cadere lo strato morfico di sfasamento quanto basta a togliere dalla cintura la sacca per campioni e torna come prima. Si avvicina alla figuretta accucciata, con la sinistra apre la sacca, come se fosse un cesto, tenendola sotto il mento della bambina, e rende rigidi la mano destra e tutto l’avambraccio, facendoli diventare una lama affilata quasi quanto il monofilo ancora sospeso sul fiume.
Dietro la maschera di cromo, sorride. — Addio… ragazzina — dice. Ha ascoltato di nascosto la conversazione, quando il terzetto si trovava diversi chilometri a monte del fiume.
Muove in un arco omicida l’affilato avambraccio.
— Che diavolo succede? — grida il caporale Kee. — Non vedo.
— Calma — ordina de Soya. I due uomini occupano le poltroncine di comando e stanno chini sui monitor telescopici.
— Nemes è diventata… non so… metallica — dice Kee, facendo girare di nuovo il video in un ripetitore, mentre osserva il quadro in movimento più in basso — e poi è scomparsa.