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Piegai il ginocchio e toccai con reverenza il tappeto.

— Cristiddio — disse Sileno — è solo un merdoso tappeto. Anche brutto, per giunta. A casa mia non lo terrei… fa a pugni con tutto.

Alzai gli occhi.

— Sì — disse A. Bettik — è proprio quel tappeto.

— Funziona ancora? — domandai.

A. Bettik si mise in ginocchio accanto a me e toccò l’aggrovigliato disegno. Il tappeto divenne rigido come un’asse e si librò a dieci centimetri dal pavimento.

Scossi la testa. — Non ho mai capito… I sistemi EM su Hyperion non funzionano a causa delle anomalie del campo magnetico locale…

— I grossi sistemi EM — precisò, brusco, Martin Sileno. — Veicoli elettromagnetici. Chiatte a levitazione. Roba grossa. Il tappeto funziona. Ed è stato migliorato.

Inarcai il sopracciglio. — Migliorato?

«Sempre gli Ouster» intervenne la nave. «Non ricordo bene, ma hanno armeggiato in un mucchio di cose, quando andammo da loro, due secoli e mezzo fa.»

— Ah, certo — dissi. Mi alzai e con la punta del piede diedi un colpetto al leggendario tappeto: ondeggiò avanti e indietro, come fissato su solide molle, ma rimase librato dov’era. — D’accordo — dissi — abbiamo il tappeto volante di Merin e di Siri, che, se ricordo la storia, volava a circa venti chilometri all’ora…

— Ventisei chilometri, velocità massima — precisò A. Bettik.

Annuii e colpii di nuovo il tappeto. — Ventisei chilometri, con un buon vento a favore. E la Valle delle Tombe del Tempo quanto dista da qui?

«1689 chilometri» rispose la nave.

— E quanto tempo abbiamo, prima che Aenea esca dalla Sfinge?

— Venti ore — rispose Martin Sileno. Probabilmente si era stancato dell’immagine di se stesso più giovane, perché adesso la proiezione olografica era quella del vecchio che avevo visto la sera prima, poltrona a cuscino d’aria e tutto il resto.

Guardai il cronometro da polso. — Sono in ritardo — dissi. — Avrei dovuto iniziare il volo un paio di giorni fa. — Mi accostai di nuovo al pianoforte. — E anche se fossi partito allora? Quella è la nostra arma segreta? Possiede forse un supercampo di difesa che protegga me e la bambina dai raggi e dai proiettili delle Guardie Svizzere?

— No — disse A. Bettik. — Non ha alcuna capacità difensiva, a parte un campo di contenimento per deviare il vento e tenere al loro posto i passeggeri.

Scrollai le spalle. — Allora cosa faccio? Porto nella valle il tappeto e offro alla Pax un baratto? Un vecchio tappeto hawking in cambio della bambina?

A. Bettik rimase in ginocchio accanto al tappeto sospeso a mezz’aria. Continuò ad accarezzare il tessuto sbiadito. — Gli Ouster lo hanno modificato in modo da mantenere più a lungo la carica… fino a mille ore.

Annuii. Fantastica tecnologia dei superconduttori, ma del tutto irrilevante, nel nostro caso.

— E ora vola a più di trecento all’ora — continuò l’androide.

Mi mordicchiai il labbro. Così potevo arrivare laggiù l’indomani. Se decidevo di stare seduto su un tappeto volante per cinque ore e mezzo. E poi?

— Pensavo che dovevamo portarla via su questa nave — dissi. — Farla uscire dal sistema di Hyperion…

— Sì — disse Martin Sileno, con voce a un tratto stanca come l’aspetto dell’immagine olografica — ma prima devi portarla alla nave!

Mi allontanai dal pianoforte, mi fermai accanto alla scala e mi girai di colpo verso l’androide, l’ologramma e il tappeto. — Voi due non volete proprio capire, vero? — dissi, con voce più alta e più aspra di quanto non volessi. — Quelle sono Guardie Svizzere! Se pensate che il maledetto tappeto mi possa far passare sotto i loro radar, i rivelatori di movimento e gli altri sensori, siete pazzi. Sarei solo un facile bersaglio che svolazza a trecento all’ora. Credetemi, i grugniti delle Guardie Svizzere… per non parlare dei pulsorazzi delle pattuglie aeree… per non parlare delle navi torcia in orbita… colpirebbero quell’affare in un nanosecondo.

Esitai, li scrutai a occhi socchiusi. — A meno che non ci sia qualche altra cosa di cui mi avete tenuto all’oscuro…

— Certo che c’è — disse Martin Sileno. Riuscì a rivolgermi uno stanco sorriso da satiro. — Certo che c’è.

— Portiamo il tappeto alla finestra della torre — disse A. Bettik. — Dovrà imparare a manovrarlo.

— Adesso? — dissi piano. Già sentivo il cuore martellare.

— Adesso — confermò Martin Sileno. — Dovrai essere già esperto nel manovrarlo, domani alla partenza, ore zero-tre-zero-zero.

— Sul serio? — replicai, fissando il leggendario tappeto e provando una crescente sensazione del tipo: "È tutto vero… forse domani sarò morto".

— Sul serio — confermò Martin Sileno.

A. Bettik disattivò il tappeto e lo arrotolò. Seguii l’androide giù per la scaletta a chiocciola, nel corridoio, sulla scala della torre. Fuori il sole splendeva. Mio Dio, pensai, mentre l’androide srotolava il tappeto sul davanzale di pietra e lo riattivava. C’era sempre un bel salto, fino alle pietre del cortile. Mio Dio, pensai di nuovo, sentendo nelle orecchie le mie stesse pulsazioni. Non c’era traccia dell’ologramma del vecchio poeta.

A. Bettik mi invitò a salire sul tappeto librato a mezz’aria. — Verrò con lei per il primo volo — disse con calma. La brezza fece frusciare le foglie del vicino chalma.

Mio Dio, pensai per l’ultima volta. Mi arrampicai sul davanzale e da lì sul tappeto volante.

11

Esattamente due ore prima che la bambina emerga, come previsto, dalla Sfinge, nello skimmer di comando del Padre Capitano de Soya suona l’allarme.

«Rilevato velivolo, rotta uno-sette-due nord, velocità due-sette-quattro chilometri, quota quattro metri» dice la voce del controllore del perimetro difensivo della FCO, dalla nave Tre-C in orbita seicento chilometri più in alto. «Distanza dell’intruso, 570 chilometri.»

— Quattro metri? — dice de Soya, con un’occhiata al comandante Barnes-Avne, una donna minuta, dai capelli rossi, seduta di fronte a lui al pannello del comandante in capo, posto a mezza nave dello skimmer.

— Procede a bassa quota per sfuggire al rilevamento — dice la donna. I suoi capelli sono quasi invisibili sotto il casco da combattimento. Nelle tre settimane da che la conosce, de Soya non l’ha mai vista sorridere. — Visore tattico — prosegue la donna. Ha già abbassato il proprio. De Soya la imita.

Sul visore il puntino luminoso è nelle vicinanze della punta meridionale di Equus; dalla costa si muove verso nord. — Perché non l’abbiamo visto prima? — domanda de Soya.

— Potrebbe essere appena partito — risponde Barnes-Avne. Controlla l’attrezzatura da combattimento nell’ambito del display tattico. Dopo la prima, difficile ora in cui de Soya è stato obbligato a presentare il diskey papale per convincere la donna che il comando del fior fiore delle brigate della Pax doveva passare a un semplice capitano d’astronave, Barnes-Avne ha fornito la massima collaborazione. Naturalmente de Soya ha lasciato a lei le operazioni d’ordinaria amministrazione. Molti capitani della brigata di Guardie Svizzere credono che de Soya sia un semplice ufficiale di collegamento del Vaticano. De Soya non se ne cura. Pensa solo alla bambina; fintanto che le forze di fanteria sono ben comandate, non bada molto ai particolari.

— Nessun contatto visivo — dice Barnes-Avne. — Tempesta di polvere. Sarà qui prima dell’ora S.

"Ora S" è il termine che ormai da mesi i soldati usano per indicare il momento in cui la Sfinge si aprirà. Solo alcuni ufficiali sanno che una bambina è il centro di tutta quella potenza di fuoco. Le Guardie Svizzere non brontolano, ma poche apprezzano un’assegnazione così provinciale, lontano dai combattimenti, in un ambiente così sabbioso e disagevole.

«Il contatto continua verso nord, uno-sette-due, velocità adesso due-cinque-nove chilometri, quota tre metri» comunica il controllore, dalla Tre-C. «Distanza 570 chilometri.»

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